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Il significato conteso del 25 aprile di fronte al genocidio. Spinte e possibilità.

Le iniziative ufficiali del 24 e 25 aprile di quest’anno sono state la dimostrazione della separatezza che intercorre tra il sinistro antifascismo istituzionale e quello quotidiano di chi non si rifugia in un’identità stantia priva di sostanza e attinenza alla realtà. Infatti, questa parte dell’antifascismo, quello della società, vive sulla propria pelle gli effetti di scelte scellerate dei governi che vanno nella direzione di alimentare le guerre, la precarietà lavorativa, le disuguaglianze sociali, il razzismo, la violenza di genere, la devastazione ambientale, il tutto condito da un’ipocrisia atta a mistificare la realtà nella dimensione dell’emergenza continua.

In diverse città italiane è stata espressa l’esigenza di scendere in piazza per questa data portando un’istanza ben precisa, ossia il sostegno alla popolazione palestinese e la necessità di rendere un punto di non ritorno questa fase storica. Se negli anni recenti la storia dei movimenti che guardano all’internazionalismo e alla solidarietà tra i popoli ha subito trasformazioni, momenti di centralità e curve discendenti, oggi dal 7 ottobre in avanti, il popolo palestinese ha saputo rimettere al centro la questione. Rispondere a questa chiamata è un compito storico di chiunque si consideri militante oggi.

Guardando alle nostre latitudini il governo in carica mostra falle e debolezze, in particolar modo nel rispondere ai bisogni della parte sociale alla quale si è rivolto per ottenere consensi. La crisi sociale mordente fa rimpiangere la poca fiducia ancora accordata a questa compagine politica che di giorno in giorno perde legittimità e credibilità. Le dichiarazioni dei Ministri che hanno partecipato al convegno al Politecnico di Torino risuonano come parole prive di senso e a tratti riescono a solleticare quelle sacche di indignazione che, con fatica, emergono dall’indifferenza della contemporaneità. Dare delle squadracce fasciste nei giorni delle celebrazioni per il 25 aprile agli studenti e studentesse che hanno animato la contestazione ha del ridicolo. La coltre di democraticità con cui il governo italiano rispetto agli altri Stati europei ha voluto trattare le manifestazioni in solidarietà alla Palestina vacilla, seppur si voglia mantenere un velo di libertà di espressione.

Parallelamente i festeggiamenti istituzionali per le giornate della Liberazione soffrono da anni di un progressivo impoverimento di adesioni da parte della cittadinanza, reso sempre più evidente dalla scelta delle parole d’ordine delle manifestazioni senza alcuna attinenza alla reale linea di condotta degli stessi partiti che ipocritamente invocano la Festa della Liberazione. Questa ricorrenza diventa così la plastica dimostrazione del fallimento di quei partiti, come il PD e tutta la costellazione ad esso afferente, che vorrebbero proporsi come alternativa a questo governo. Nel panorama attuale non hanno alcuna possibilità di guadagnare consensi nonostante un vuoto politico che nessuna forza politica in campo è in grado di colmare. La sinistra parlamentare, i sindacati confederali, la mancanza di capacità e credibilità di chi si dovrebbe porre come riferimento per i bisogni sociali altro non hanno fatto che preparare il terreno per l’ascesa di prodotti politici destrorsi costruiti sulla base dei populismi come via per nascondere i reali interessi della classe politica nella sua interezza. Un risultato dell’oggi che non ci porta a gridare “allarme son fascisti” ma che risulta esemplificativo della cementificazione delle dinamiche e degli interessi che vanno nell’unica direzione possibile per le élites europee: l’allineamento con gli USA e l’atlantismo, la guerra come strumento che garantisca egemonia occidentale, il soffocamento di composizioni sociali che soffrono condizioni di vita sempre più critiche, l’articolazione di rapporti disciplinanti e di controllo attraverso gli apparati polizieschi, burocratici e attraverso le agenzie formative e sociali.

Quest’anno, grazie alla capacità di resistenza che la popolazione palestinese sta dimostrando, indicando quella che è una reale possibilità di liberazione dai rapporti di dominio dell’oggi, anche qui vediamo un barlume. Nulla è dato né scontato, ma nelle piazze a sostegno della Palestina e in particolare nei giorni del 25 aprile si intravede il bisogno trasversale alle generazioni e alla società di riappropriarsi e ridare senso a queste giornate.

A Torino il 24 aprile, in occasione della tradizionale fiaccolata, si è organizzato uno spezzone che si schierasse al fianco del popolo palestinese e insieme riconoscesse il suo diritto ad autodeterminarsi contro il colonialismo genocida attraverso la Resistenza, esattamente come fecero i nonni e le nonne partigiani. Ricercare nel presente un senso aggiornato di antifascismo e di resistenza è fondamentale per non schiacciarsi sotto rappresentazioni romanzate di “ciò che è stato” utili solo a giustificare il degrado del “ciò che è”. I partigiani che lottarono per liberare l’Italia dal nazifascismo hanno insieme provato a gettare le fondamenta per una società più giusta e libera dal giogo della guerra degli imperi, nostro dovere è oggi dare continuità a questa intenzione sapendoci schierare e lottare per difendere gli interessi di quella parte di mondo con cui ci riconosciamo, quella degli oppressi e dei sacrificabili. Anche a Roma e Milano il senso delle piazze a sostegno della Palestina ha travolto la dinamica rituale istituzionale. In tutte le situazioni si sono verificate provocazioni avventate da parte di atlantisti con bandiere NATO, di sionisti di bassa lega e di sbandieratori ad arte.

In tutte queste situazioni le forze di polizia si sono schierate a difesa dei colletti inamidati con la fascia tricolore, delle bandiere sindacali di chi non fa gli interessi dei lavoratori, di qualche nostalgico, sbarrando l’ingresso nelle piazze agli spezzoni pro-Palestina.

Ma il colpo d’occhio delle piazze indica qualcosa di più dei saluti e dei discorsi istituzionali, indica il bisogno di esserci, dimostrato dai numeri nettamente maggiori di questi spezzoni rispetto alla parte ufficiale dei cortei, dalla vivacità dei cori, della presenza attiva e lucida. La conquista del palco a Torino ha qualcosa del simbolico ma che parla di una vittoria, di trionfo di chi sta in basso a fronte di chi vorrebbe utilizzare le occasioni che la ritualità impone per ingrassare il proprio bacino di elettori scommettendo sui sinceri democratici.

Si apre una fase intensa e di responsabilità collettiva alla quale dare continuità e capacità di rispondere ai bisogni che timidamente ma precisamente provano ad esprimersi. Essere all’altezza della fase attuale significa schierarsi e materialmente confrontarsi con la necessità di mettere in campo uno spazio di contrapposizione agli interessi dominanti che unisca tutte le composizioni sociali tradite e oggi sfruttate.

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