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Arresto in flagranza differita: di quale sicurezza ci parla l’arresto di Andrea?

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Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”: questo il nome tecnico del meglio noto Decreto Minniti. “Sicurezza delle città” è davvero una bella espressione: sta ad indicarci che il decreto è stato emanato per farci dormire sonni più tranquilli, per rendere le nostre città vivibili, per rendere noi – appunto – più sicuri. Sorge però un dubbio, una domanda: di quale sicurezza stiamo parlando? La nostra o la loro? I fatti avvenuti sabato a Venaria, dopo le contestazioni in occasione del g7, con il primo arresto “in flagranza differita” di un attivista, indicano chiaramente quale sicurezza preoccupa il ministro Minniti: è quella dei potenti, dei vertici politici ed economici, di chi ha paura del dissenso. Un breve contributo a carattere giuridico che fa la genealogia delle disposizioni del decreto Minniti che hanno portato all’arresto di Andrea, storico compagno dell’Askatasuna.

Le figure giuridiche introdotte dal decreto Minniti sono sostanzialmente due, ed entrambe sinistramente innovative nel panorama delle misure coercitive. La prima è il DASPO urbano, modellato sul precedente Divieto di Accesso a Manifestazioni Sportive; permette a prefetto e sindaco di allontanare un soggetto da determinate aree urbane in ragione di una non meglio definita e completamente arbitraria valutazione di “pericolosità sociale” da parte dei questori. 

Il secondo è ”l’Arresto in Flagranza Differita” per le manifestazioni di piazza. Anche qui si tratta di un dispositivo già introdotto nel 2010 negli stadi, che si confermano veri e propri laboratori repressivi di misure poi allargate al resto della società. Con questo dispositivo a Minniti è riuscita una mossa epocale: svuotare il senso stesso dell’arresto in flagranza di reato. L’art. 380 del codice di procedura penale ha come presupposto fondamentale che l’arresto possa essere contestuale alla commissione del reato solo e soltanto quando le forze dell’ordine siano presenti e nelle condizioni pratiche di poter procedere all’arresto nel momento in cui il reato viene commesso. D’altronde lo stesso termine di “flagranza” non lascia grande spazio all’interpretazione. La flagranza non prevede una valutazione ex post da parte della polizia della condotta criminale presunta: senza le indagini, e le valutazioni del giudice (anche solo quello delle indagini preliminari) entreremmo nella presunzione di reato.

Il ministro degli interni, inventandosi l’arresto in flagranza differita per le manifestazioni (forse Minniti è un amante degli ossimori?) salta a piè pari qualsiasi previsione costituzionale e codicistica, creando una figura ad hoc per colpire gli attivisti politici. Basta ormai che un agente della polizia politica dica “ho riconosciuto X” perché scatti l’arresto, annullando ogni garanzia giuridica e invertendo l’ordine logico che regola il diritto occidentale: indizio, indagine, prova, arresto. Il tutto in un contesto di uso già smodato delle misure cautelari contro i militanti politici in totale assenza di pericolo di fuga e inquinamento delle prove. Si legge testualmente nelle note di spiegazione del testo del decreto che ” è previsto l’arresto in flagranza differita […] quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto, per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica.” Di nuovo ritorna la parola sicurezza che sembra tanto cara al nostro ministro. Di nuovo ci chiediamo, come nel caso del DASPO urbano: ma la valutazione di pericolosità da quali parametri è data? Non c’è una norma, non c’è un metro oggettivo di chi sia pericoloso. Sembra che la valutazione sia quindi tutta politica , e nient’affatto giuridica. È esattamente quello che è successo ad Andrea a Venaria. Ormai da anni sappiamo che la piazza torinese è fucina di sperimentazione per i poteri che sempre più vengono concessi alle questure. Questa volta, per la prima volta in Italia, viene utilizzato lo strumento dell’arresto in flagranza differita ai danni (guarda caso) di chi stava contestando un vertice blindato. Un vertice che ha ignorato le istanze popolari, per poter raccontare poi ai media la favola del “va tutto bene”. Che non vada tutto bene è chiaro, e basti solo pensare che il nostro ministro dell’interno scrive ed emana un decreto che per l’ennesima volta conferma l’utilizzo politico della “giustizia” verso chi è scomodo. Rendere legali canali di repressione fuori da ogni controllo o garanzia: ecco quello che si propongono le “Disposizioni urgenti”, rendendo sempre più arbitrari dei dispositivi repressivi ai danni di fasce di popolazione oculatamente scelte, che ormai conosciamo da diverso tempo. Basti pensare alla gestione degli stadi, alla “pulizia” dei quartieri centrali nelle nostre città: gli elementi di disturbo vengono messi nelle condizioni di essere innocui nel primo caso, vengono nascosti e sanzionati nel secondo. Tutto attraverso maglie (vedi sindaco, o prefetto) che sfuggono agli apparati giudiziari in senso stretto ma che hanno nella realtà delle nostre metropoli un potere enorme in mano, assolutamente fuori controllo e quasi sempre privo di possibilità di replica. Non abbiamo paura delle rappresaglie legali, ma di certo vogliamo sottolineare che la “giustizia” e la “legalità” (le stesse che a dir vostro vengono lese da chi scende in piazza) sono in realtà parole vuote. La legge che viene piegata dalle esigenze politiche di chi fa solo e soltanto i propri interessi merita di essere infranta. La legge che viene emanata per colpire gli oppositori politici non ha nulla di legale. 

Il decreto Minniti è l’ennesimo attacco a chi avrebbe tutto di guadagnato a vedere i potenti cadere dalla poltrona. Ma è anche la prova che nessuna Legge, per quanto ghettizzante o persecutoria, può fermare la lotta di chi vuole riprendersi ciò che gli è stato ingiustamente tolto.

Chi non ha più paura siamo noi. Chi ha sempre più paura siete voi.

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