Sciopero in Francia: un racconto da Lione
Il progetto di riforma delle pensioni, uno dei punti della campagna elettorale di Macron, si basa su alcuni cambiamenti essenziali della legge in vigore. Oggi, in Francia, le pensioni sono calcolate prendendo in conto una media dei 25 anni “migliori” nel privato, e degli ultimi sei mesi nel pubblico, ovvero durante i quali si è percepito tra i salari più alti, oltre alla durata dei versamenti di contributi. Con l’entrata in vigore della riforma, la somma totale della pensione dipenderà da dei “punti” che prendono in conto la totalità della carriera lavorativa. Questo significa che il lavoro part-time, gli stage, i periodi di disoccupazione o quelli sottopagati avranno un peso maggiore, svalorizzando il montante di punti finale. La conseguenza? Per avere più punti, e quindi una pensione decente, bisogna lavorare più a lungo, o compensare con dei fondi di pensioni private. Si tratta dell’ennesimo attacco alle condizioni di vita dei precari, delle donne, dei giovani. Ma in realtà questi dettagli interessano a pochi: Macron ha perso la fiducia di grandissime quote di popolazione. Quindi il contenuto della riforma è meno importante di chi la propone, ovvero quello che viene visto come “il presidente dei ricchi, degli azionisti e delle banche”.
Lo sciopero del 5 dicembre e delle settimane successive a Lione è stato attraversato principalmente da una composizione che non è estranea a questo tipo di attivazione e all’universo sindacale. Ci sono però delle soggettività nuove che si affacciano su una mobilitazione di questo tipo ma anche delle forme inedite che vengono sperimentate, che sono dunque interessanti da analizzare. Per fare ciò, è importante restituire il contesto che ha portato questa composizione a individuare, nella protesta contro la riforma delle pensioni, un momento propizio in cui prendere la parola.
L’8 novembre uno studente universitario, membro di un sindacato studentesco, decide di togliersi la vita davanti all’ente responsabile delle borse di studio (Crous). La mobilitazione che segue individua due bersagli principali: da un lato una presidenza dell’università incapace di prendere posizione sulla vicenda e che depoliticizza l’atto mettendo avanti dei presunti problemi psicologici dello studente; dall’altro lato e più in generale, una precarizzazione crescente di chi si trova costretto a lavorare per studiare, poiché gli aiuti statali (borse, aiuti per l’affitto, ecc…) sono insufficienti, se non irrisori. “Non dare pace a chi ha ucciso un nostro compagno”: e così si moltiplicano i giorni di blocco dell’università, le occupazioni di anfiteatri del campus e blocchi delle casse delle mense, gestite dal Crous, per rendere gratuiti i pasti.
Un’altra data importante e che si intreccia alle mobilitazioni in università è l’anniversario di un anno di Gilet Gialli: sabato 15 novembre. Dopo una rentrée deludente, che vede soltanto il nocciolo duro ed irriducibile continuare a scendere in piazza, sui gruppi Facebook cittadini ci si trova d’accordo su una cosa: l’anniversario è l’occasione per rilanciare il movimento. Il 15 novembre sono effettivamente tanti i volti che non si vedevano da un po’ di tempo, che investono la piazza Bellecour (tradizionale ritrovo del sabato); sono tanti anche gli studenti che nella mobilitazione dei Gilets Jaunes vedono un’opportunità da non mancare. La giornata è segnata da un assedio alla polizia, messa a difesa delle vie dello shopping, che dura ore e che ritrova la determinazione che ha caratterizzato l’anno passato.
I diversi mondi liceali sono accomunati da una capacità di percepire i momenti in cui irrompere sulla scena: il 5 dicembre sarà infatti il ritorno di blocchi e cortei selvaggi che scorrazzano nella città inseguiti da poliziotti incapaci di prevedere la mossa successiva degli studenti. C’è però una diversità sostanziale: da un lato i licei del centro che, anche a causa della presenza di sindacati studenteschi e altre organizzazioni, rientrano quasi sempre nella dinamica della rivendicazione; dall’altro ci sono i licei di periferia, raggiunti anche da studenti delle scuole medie e giovani che hanno abbandonato gli studi, che sono estranei alle assemblee generali, che esprimono “semplicemente” la rivolta contro un quartiere che si fa sempre più ghetto, la quotidiana brutalità della polizia e un futuro già scritto, segnato dalle stesse condizioni di vita dei loro genitori e fratelli, che non lascia via di scampo.
Questo sciopero ci parla quindi di una rivolta contro lo smantellamento della previdenza sociale, contro la precarietà che si aggrava nei confronti dei giovani ma che ormai caratterizza le condizioni di vita di buona parte della popolazione.
Ci parla anche di una città che oppone un centro-vetrina, fatto di shopping sfrenato e turismo, a una periferia caratterizzata da enormi impianti industriali da un lato e da quartieri-dormitorio dall’altro. Un centro che è inaccessibile a qualsiasi voce scomoda e che deve essere vissuto solo all’interno di fiumane di persone nei centri commerciali. “Qual è il messaggio che danno alla gente? Lavora, consuma e stai zitto” (travaille, consomme et ferme ta gueule); è questo uno degli slogan più gridati nelle manifestazioni. E quindi si sciopera e si fanno blocchi dei centri di produzione, si invade il centro, rovinando le ultime settimane di acquisti natalizi, e si fa sentire la propria voce.
MANIFESTAZIONI
Oltre ai blocchi nei vari posti di lavoro, le settimane di sciopero sono state una vera e propria invasione del territorio urbano. Dal 5 dicembre, quasi una manifestazione al giorno viene lanciata spontaneamente, dai sindacati, gilet gialli o studenti. I numeri sorprendono ogni volta: se già giovedì 5 la città di Lione contava 35.000 manifestanti, la settimana dopo ce n’erano 40.000. Durante questi cortei, il gioco della polizia è sempre lo stesso: cercare di dividere la testa, composta principalmente da gilet gialli, liceali ed universitari, dal resto della manifestazione, aiutati dalla stampa sempre pronta ad usare la retorica dei manifestanti “buoni” presi in ostaggio da quelli “cattivi”. Il dispositivo poliziesco è schierato a difesa di banche e delle vie dei negozi di lusso; e allora sono proprio questi i bersagli scelti dal corteo che decora alcune vetrine di banche con parole come “ladri” o ancora “assassini”.
SCUOLE
Il giorno dopo la manifestazione di giovedì, un gran numero di studenti si attiva per bloccare l’università Lyon 2. L’intenzione, oltre al gesto simbolico del blocco delle istituzioni nel periodo di sciopero, è quella di fare annullare i corsi, così che il maggior numero possibile di studenti possa partecipare alla manifestazione del pomeriggio. Principalmente perché gli studenti borsisti non possono permettersi un’assenza ai corsi obbligatori, su ricatto di dover rimborsare i soldi ricevuti. Gli agenti di sicurezza privata, che da qualche settimana sono stati assunti dall’università per impedire i blocchi, non riescono a fermare gli studenti: alle 7.30 arriva una mail della presidenza che conferma l’annullamento dei corsi della giornata.
Anche i liceali cercano di bloccare le scuole con lo stesso obiettivo, ma la situazione è molto più tesa: al liceo Ampère-Saxe, dopo che un centinaio di studenti si erano ritrovati per bloccare l’entrata, la polizia interviene con cariche, lanci di lacrimogeni e LBD (proiettili di gomma dura in dotazione alla polizia francese, che dall’anno scorso hanno mutilato una quarantina di persone in tutta Francia). Uno di questi proiettili colpisce in viso un ragazzo di 15 anni. L’intervento poliziesco è brutale ma non dissuade gli studenti, anzi li incoraggia a reagire, mobilitandosi ancora. Lunedì 9 dicembre il liceo Ampère-Saxe è nuovamente bloccato dai liceali con l’aiuto di alcuni membri della CGT, dei professori e degli studenti universitari: “difendiamo i nostri giovani che si mobilitano per il loro futuro”. Il blocco è un successo e gli studenti partono in corteo selvaggio, raggiunti da altri liceali, per ritrovarsi sotto al rettorato.
All’università, dopo la domenica di stop, ci si rende conto che non è bastato un fine settimana perché il movimento perda di intensità. Quindi ci si ritrova sul primo tram della mattina, direzione campus universitario. Se il terzo giorno di blocco consecutivo ha fatto sì che i numeri non siano gli stessi, la determinazione è rimasta intatta. È evidente a tutti che questa partita si gioca sul lungo termine. La presidente dell’università è però convinta che la mobilitazione sia durata anche troppo e allora dispiega gli agenti di sicurezza privata a tutte le entrate. Alle 7 le entrate principali sono barricate e cominciano ad arrivare macchine della BAC (Brigata anti-criminalità), che però non interviene, forse sperando che la sola presenza faccia disperdere gli studenti. È alle 8 che i poliziotti decidono di intervenire sull’entrata principale, dove sono riuniti la maggior parte degli studenti. Il loro arrivo viene accolto da qualcuno che intona la marcia imperiale di Star Wars; si ridicolizza chi crede che la propria arma migliore sia la paura. A fatica smantellano la barricata. Si forma allora un cordone, che ogni volta che viene sciolto con la forza si ricompone poco più indietro. Nel frattempo, la sicurezza privata sgombera le barricate e le altre entrate sono liberate. Mentre la polizia si ritira qualcuno urla “a domani!”.
Nei giorni seguenti, l’atmosfera all’università si fa sempre più conflittuale. Gli studenti cercano ogni mattina di bloccare i corsi riuscendo quasi sempre nei propri obiettivi, nonostante le misure anti-blocco. Alcune di queste misure sfociano nell’assurdità e mostrano bene come la determinazione degli studenti mette sempre più in difficoltà l’amministrazione universitaria. La mattina dell’11 dicembre numerosi cassonetti e transenne impediscono l’accesso al campus, ma il personale, sotto ordine della presidenza, invita migliaia di studenti a entrare da una porticina, ignorando le norme di sicurezza, pur di non annullare i corsi. Davanti alla mensa universitaria un cartello comunica la possibilità di essere perquisiti e il divieto di portare striscioni e volantini all’interno, confermando il clima di paranoia instaurato dalla presidenza.
Spalle al muro, la presidenza annuncia venerdì 13 la posticipazione a fine gennaio degli esami che sarebbero dovuti cominciare il lunedì seguente.
FESTA DELLE LUCI
Sabato sera, il terzo giorno di sciopero, un’esperienza inedita ha segnato la città di Lione. Dopo una giornata di manifestazione dei gilet gialli, le persone presenti al corteo sembrano tutto tranne che stanche. Malgrado il fatto che la giornata sia stata segnata da lunghi scontri con la polizia, la sera alle 19 ci si dà appuntamento alle porte del centro-città. Si tratta di un weekend delicato a Lione che ogni anno diventa città vetrina in occasione dell’8 dicembre, per la festa delle luci, che attrae quasi 2 milioni di turisti rendendo invivibile la città per chi ci abita. Già l’anno scorso, la festa delle luci faticava a nascondere il conflitto che attraversava la città, mettendo in crisi l’immagine di un centro pulito e pacificato. Infatti, la piazza Bellecour, piazza principale di Lione, è passata da essere una macchina da soldi a un incubo per gli ospiti della festa, che sono dovuti scappare da una pioggia di lacrimogeni che è durata tutto il pomeriggio fino alla sera tardi. Era il sabato della festa delle luci, ma era anche l’atto 3 dei gilet gialli.
Quest’anno quando lo sciopero del 5 dicembre è stato annunciato, il sindaco di Lione ha cominciato ad avere paura. Il suo terrore ce lo dimostra il dispositivo poliziesco che per tutto il weekend è rimasto schierato a difendere il centro città. Se ci saranno scontri, saranno lontani dagli occhi dei turisti, sembrava sperare Collomb. Eppure, qualcosa è andato storto. Alle 19, un corteo spontaneo di un centinaio di persone ha sfondato lo sbarramento di sicurezza sul perimetro della festa. Meno di una mezz’ora dopo il corteo si perdeva a vista d’occhio unito dallo slogan “spegniamo la festa delle luci”. Per più di un’ora una vera e propria manifestazione ha sfilato nelle vie principali interrompendo vari spettacoli, sotto gli occhi dei turisti curiosi. È stata l’occasione di parlare con persone che si sono poi unite al corteo, di fronte alla polizia che, completamente spiazzata, aspettava ordini dall’alto. Un manifestante ha gridato “Se volete manganellarci fatelo qui davanti ai vostri turisti”. Ma non hanno osato. Mostrare la loro debolezza di fronte alla rabbia della gente non era un’opzione.
Se le amministrazioni trovano i soldi di organizzare un evento del genere tutti gli anni, per non parlare del costo del dispositivo di sicurezza legato al piano antiterroristico Vigipirate, dove sono quei soldi quando si tratta di dare ciò che spetta a chi la città di Lione la abita? Questa è la domanda che aleggiava tra le persone presenti quella sera.
LAVORATORI
Martedì 10. Sesto giorno di sciopero. La mattina ci rechiamo al porto Herriot per raggiungere un picchetto all’inceneritore. Ci avviciniamo a un operaio con il gilet della CGT e gli chiediamo se è un lavoratore del posto. Lui ci dice sì e ci dice che sono una decina a essere al blocco (a cui si aggiungono lavoratori sindacalizzati di altri settori, tutti dipendenti della Métropole di Lione). G. ci spiega che però molti dei suoi colleghi sono costretti timbrare il cartellino perché obbligati per legge, attraverso il sistema delle requisitions (come i pompieri o i medici). Allora per evitare che lo sciopero venga reso impotente hanno deciso di bloccare il sito. Sono già stati in sciopero a settembre per un deterioramento progressivo delle condizioni di lavoro che “dura da anni” e hanno vinto proprio grazie alla tattica del blocco. Questa volta però non si tratta di una singola vertenza: lo sciopero è generale. Infatti, G. ci dice che questa azione ha una valenza strategica: sanno che, se i rifiuti non vengono smaltiti, si crea un grosso problema per l’amministrazione cittadina. L’aprile scorso, lo sciopero dei netturbini della società privata Pizzorno è stato vincente proprio grazie alle pile di sacchi d’immondizia che si accumulavano nelle strade. Chiediamo a G. se sono mai stati in contatto con i netturbini e lui ci risponde che loro hanno usato un “metodo alla Gilets Jaunes” e che “rifiutavano i sindacati”.
Durante il picchetto una donna ci dice che in un centro di riciclaggio vicino (Paprec) due lavoratori hanno un colloquio di licenziamento: la causa? Essersi sindacalizzati. Infatti, dopo 13 anni in cui hanno lavorato in questo centro, i due si sono detti che le condizioni penose in cui lavoravano dovevano finire. Così hanno creato una sezione Cgt della loro impresa. Il risultato è che il giorno dopo sono stati accusati di aver rubato del gasolio dal centro e un colloquio è stato fissato. Arriviamo sotto gli uffici amministrativi ed entriamo, salendo fino all’ufficio del dirigente: “siamo qua, siamo qua, anche se Paprec non vuole noi siamo qua” (riprendendo il coro simbolo dei Gilets Jaunes “on est là”).
Sabato 14. Decimo giorno di sciopero. Durante la manifestazione dei Gilets jaunes è l’occasione di parlare con i netturbini che seguono il corteo fino all’arrivo a Guillotière, dove la polizia si schiera con camionette e la solita griglia che impedisce completamente l’accesso al centro città. I netturbini confermano le nostre supposizioni: sono lì per eliminare ogni traccia della manifestazione. Ci raccontano anche che questo è dovuto a una chiamata ricevuta dal prefetto la sera prima, in cui venivano informati che, attraverso il sistema delle requisitions, non potevano rifiutarsi di lavorare. A. che lavora da 15 anni come netturbino per la Métropole di Lione, istituzione che si occupa dell’amministrazione del territorio lionese e delle banlieue attorno, ci spiega anche che è la prima volta che la prefettura gli impone di lavorare per un evento del genere, informandolo solo la sera prima. “Di solito questo tipo di cose succedono quando nevica, è un imprevisto a cui dobbiamo piegarci, anche se è il nostro giorno di riposo”, ci spiega. Ci dice che il 5 dicembre ha fatto sciopero e che sostiene il movimento contro la riforma delle pensioni dalla sua nascita, per questo non era certo contento di doversi occupare lui stesso di eliminare le tracce di una manifestazione a cui avrebbe voluto partecipare. “Ma non abbiamo scelta”, e aggiunge “ricordatevi sempre che il peggior datore di lavoro che ti può capitare è lo stato”. E in effetti, scopriamo grazie a lui che nel privato i netturbini godono di condizioni migliori: non esistono requisitions che possano impedire uno sciopero e i lavoratori sono liberi di rifiutare un servizio se lo ritengono giusto.
Martedì 17. Tredicesimo giorno di sciopero. Dopo la riuscita del blocco dell’inceneritore la settimana precedente, si sceglie di colpire il punto nevralgico della logistica a livello regionale. Alle 4.30 di mattina un centinaio di persone si danno appuntamento al porto fluviale di Lione. Il gruppo si spartisce sulle tre entrate dove i camion carichi di merci cominciano a creare i primi ingorghi nel traffico intorno al porto. Nel frattempo, oltre ai sindacalisti, arrivano gilet gialli e studenti, che dopo l’annullamento degli esami sono sempre più presenti sui blocchi in sostegno ai lavoratori: si montano barricate davanti alle tre entrate e il porto diventa ufficialmente inaccessibile. Tra le persone venute in solidarietà ai lavoratori ci sono i militanti di Eco défense che ci spiegano che il blocco del porto è anche un’azione che punta il dito contro i responsabili dell’attuale catastrofe ecologica: il porto è infatti uno dei punti principali di distribuzione di petrolio della regione. Per far tenere il blocco, e per riscaldarsi prima dell’alba, si fa un fuoco davanti alle barricate. Con la scusa del pericolo che può comportare un fuoco così vicino a una zona di scambio di materiali infiammabili, gli agenti di sicurezza chiamano i pompieri che vengono a portare il loro sostegno invece di impedire il blocco. Sul camion su cui raggiungono l’entrata vediamo una grande scritta: “en grève”, in sciopero. Ci esprimono tutta la loro solidarietà spiegandoci come dall’inizio del movimento sono stati presenti in manifestazione al nostro fianco. È l’occasione di discutere del loro “statuto speciale”, del fatto che insieme a militari e polizia sembrerebbero essere le uniche categorie a non essere toccate dalla riforma delle pensioni. “In realtà ci prendono in giro” ci spiega uno di loro “perché ci dicono che possiamo andare in pensione a 57 anni, ma per poter toccare una pensione piena, con la nuova riforma, dovremmo versare contributi almeno fino ai 59 anni”.
Il blocco si scioglie intorno alle 10 per raggiungere la manifestazione.
Mercoledì 18. Quattordicesimo giorno di sciopero. Gli agenti della sicurezza di Lynx (società di sicurezza privata) a cui Carrefour ha affidato la security dei suoi supermercati, a fianco del sindacato Uniti (sindacato di lavoratori isolati) chiamano a bloccare il grande magazzino all’interno del centro commerciale Part-dieu per attirare l’attenzione della direzione che non paga gli straordinari dei suoi lavoratori, oltre ad offrirgli delle condizioni di lavoro vergognose (come il cambio degli orari all’ultimo minuto). Bastano pochi minuti in cui il Carrefour viene bloccato dall’esterno, da un gruppo di manifestanti incordonati, a fare uscire la direzione che riceve i lavoratori, assieme a un rappresentante sindacale, per cominciare le negoziazioni. Il blocco tiene per mantenere il rapporto di forza; il padrone, che reagisce solo sotto minaccia, deve sapere che “non ce ne andremo fino a che non verrà proposta una soluzione”. Dopo ore di occupazione del centro commerciale, i dodici lavoratori escono dalle negoziazioni vittoriosi. In questo contesto di sciopero generale, basta poco per far cedere chi sa di avere molto da perdere: la direzione ha accettato di pagare retrospettivamente gli straordinari, di cambiare il modo in cui il planning viene inviato agli agenti. E non solo, prima di calpestare i diritti dei suoi dipendenti, da ora in poi ci penserà due volte, dopo aver visto quello che rischia: “ora sapete che fanno paura i lavoratori che si organizzano” grida un signore incordonato vicino a noi.
LE DONNE E LA RIFORMA
Durante queste settimane di sciopero è l’occasione per le donne di riunirsi e di discutere sulla loro condizione particolare nel mondo lavorativo. Non solo le donne guadagnano ancora oggi in media 24% in meno degli uomini, ma con il nuovo sistema “a punti” anche la loro pensione sarà particolarmente colpita. Mentre il governo utilizza le donne nella sua propaganda, dicendo che è una riforma a favore della parità di genere, basta leggersela un po’ per capire che il nuovo sistema le penalizzerà ancora di più.
Il 12 dicembre la prima assemblea “super-femminista” viene lanciata. Un primo giro di parola permette a tutte le donne presenti di raccontare la situazione della loro categoria lavorativa, ma anche sul piano personale, in quanto la riforma si permette di toccare a ciò che riguarda la maternità, il matrimonio e l’educazione dei figli.
Oltre all’assemblea, si decide di portare in strada un corteo di donne, per portare la loro specificità in questa lotta.
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