Per questo i Peshmerga al servizio di Barzani hanno da oltre un anno imposto un embargo durissimo al Rojava, ossia alla Confederazione della Siria del Nord protetta dalle Ypg e dalle Forze Siriane Democratiche, impedendo addirittura a viveri e medicinali di arrivare sulla linea del fronte più violenta del conflitto siriano. Questo blocco riguarda anche i combattenti (curdi o di altre provenienze), che spesso devono attraversare di nascosto il confine che, sebbene non sia più presidiato dal regime di Assad, è appunto controllato dal Pdk sul versante iracheno. È verosimilmente in questo quadro che i sette combattenti internazionali, intenzionati a tornare a casa, sono stati bloccati ed arrestati dagli Asaish del Pdk, ossia le forze di polizia collegate ai Peshmerga (da non confondere con quelli del Rojava, di natura diametralmente opposta). Non è la prima volta: già nell’aprile 2016, ad esempio, una dozzina di internazionali Ypg erano stati arrestati ed avevano passato due settimane nelle carceri di Barzani.
Per inquadrare meglio la situazione, è utile ricordare che il Pdk ha stretto nel 1992 un accordo ufficiale con il Mit (servizio segreto turco) per una fattiva collaborazione contro il Pkk e la sinistra curda. Già nel 1978 Barzani scrisse a Ocalan, che stava fondando con altri il Pkk in Turchia, questo messaggio: “Se proverai a introdurre il socialismo nella causa curda, ti spezzeremo le gambe”. Barzani, la cui famiglia è legata alla stessa confraternita musulmana di Erdogan (Nashbandi), non ha mai nascosto di volere la costituzione di un suo staterello personale nel nord dell’Iraq nella forma di un protettorato turco-statunitense. Diverso è il caso dei Peshmerga legati all’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk), che governa la provincia meridionale del Kurdistan iracheno (Suleimaniya). Sebbene il Puk non possa essere considerato un movimento di liberazione, essendo attraversato da dinamiche di conservatorismo e corruzione analoghe al Pdk, non condivide l’ostilità di quest’ultimo verso il Pkk e le Ypg, mettendo in primo piano l’unità dei movimenti curdi.
L’aggressività del Pdk di Barzani nei confronti del movimento di liberazione curdo è invece aumentata nel 2013, quando il suo partito satellite nella Siria del Nord, l’Enks, ha invocato l’invasione del Rojava da parte di nuovi Peshmerga del Pdk costituiti ad hoc (i cosiddetti Rojava Peshmerga o Roj Pesh) in opposizione alle Ypg e al progetto egualitario, femminista e confederale portato avanti dal Pyd, il partito siriano ispirato alle idee di Abdullah Ocalan da cui sono nate le Ypg e le Ypj. L’Enks, su spinta di Barzani, boicotta da sempre le comuni del Rojava, invitando le persone a non parteciparvi, e avversa la Confederazione sostenendo che i curdi dovrebbero pretendere uno stato separato etnicamente puro, e non dovrebbero collaborare con le altre comunità della regione (arabi, cristiani, ecc.).
L’Enks fa inoltre parte della Coalizione Nazionale Siriana, il ceto politico in esilio creato da Usa, Turchia, Arabia Saudita e Qatar (ed appoggiato a livello diplomatico dall’Italia) per sostituire Assad qualora il regime siriano dovesse crollare. Anche da quando la Cns ha assunto di fatto il ruolo di organo di propaganda e disinformazione a favore delle peggiori milizie islamiste che agiscono in Siria, ed anche quando queste ultime hanno attaccato con armi convenzionali o chimiche la comunità curda di Aleppo, l’Enks non si è ritirato dalla Coalizione, ritenendo più importante la fedeltà affaristica all’asse turco-saudita rispetto ai massacri commessi contro i curdi dalle milizie salafite siriane coperte dalla Cns. Lo scontro tra Barzani e il movimento di liberazione curdo, inoltre, si è aggravato in Iraq dal 2014, quando i Peshmerga del dittatore hanno disarmato la popolazione ezida di Singal (una minoranza religiosa di origine zoroastriana, da sempre perseguitata), nella provincia di Niniveh, vicino Mosul, e l’hanno abbandonata nelle mani dell’Isis, che ha compiuto su quella popolazione il peggior massacro della storiamediorientale di questo secolo, uccidendo decine di migliaia di uomini e riducendo in schiavitù sessuale migliaia di donne e bambini deportati (e tuttora prigionieri) a Raqqa e Deir El Zor.
I Peshmerga non fedeli a Barzani, ma al Puk, denunciarono questo fatto, ma non furono in grado di intervenire. Il Pkk intervenne invece immediatamente in sostegno agli ezidi, salvandone decine di migliaia, e contribuì alla formazione delle Unità di Resistenza di Singal (Ybs) durante il 2014 e il 2015, fino a che, il 13 novembre di quell’anno, esse liberarono la zona con l’aiuto del Pkk. I Peshmerga di Barzani però, supportati dagli Usa, si installarononuovamente nel sud della città, nonostante l’opposizione delle Ybs e della popolazione. Recenti manifestazioni ezide che protestavano contro movimenti di truppe Peshmerga nelle aree liberate dalle Ybs sono state attaccate dalla milizia di Barzani che ha fatto morti tra civili, combattenti curdi ed ezidi e giornalisti. Anche in un’altra zona di Mosul, nel campo profughi di Makhmur, i Peshmerga di Barzani si sono ritirati in buon ordine nell’estate 2015, lasciando il Pkk da solo a difendere (per fortuna con successo) il campo profughi dalle incursioni dei salafiti. Di recente, i Peshmerga di Barzani hanno tentato di bloccare i movimenti delle forze Pkk che combattono l’Isis tra Makhmur e Kirkuk.
Barzani non si è limitato ad avere un atteggiamento più che ambiguo nei confronti dell’Isis qualora quest’ultima organizzazione si scagli contro zone legate a minoranze o a movimenti politici diversi dal suo. Nel 2015 ha dato l’autorizzazione all’esercito turco per l’invasione dei suoi stessi territori nell’Iraq del nord, iniziata in sordina nel dicembre 2015 allo scopo di combattere la guerriglia curda del Pkk. Movimenti di truppe verso il quartier generale del Pkk a Qandil, Iraq, sono stati autorizzati da Barzani nelle scorse settimane, in vista di una possibile operazione militare su larga scala che, se avesse luogo, costerebbe centinaia di morti. Persino quando la Turchia, il 25 aprile, ha bombardato il cimitero degli ezidi caduti nella resistenza contro l’Isis a Singal, e ha anche colpito una non lontana postazione dei Peshmerga di Barzani, quest’ultimo si è affrettato a dare la colpa al Pkk, che non avrebbe dato seguito alla sua pretesa di abbandonare l’area di Singal (pretesa a dir poco illegittima non solo per le premesse di cui si è detto, ma anche considerato che la provincia di Niniveh non fa parte del Governo Regionale del Kurdistan secondo la costituzione irachena)
I comportamenti sempre più brutali del Pdk di Barzani contro gli ezidi, contro i movimenti di liberazione curdi, contro i giornalisti indipendenti e internazionali (cui i suoi uomini impediscono di recarsi a Mosul, a Singal e nel Rojava da anni, senza che la comunità internazionale sollevi questo problema dagli effetti devastanti per l’informazione mondiale) e anche i suoi comportamenti contro volontari internazionali anti-Isis come Mirko, Paolo e gli altri arrestati, sono possibili non soltanto grazie al supporto turco, ma anche a quello dell’Unione Europea e, non ultimo, dell’Italia. L’Italia supporta da sempre Barzani e (una rapida ricerca in rete può dimostrarlo) i nostri giornalisti hanno sempre buone parole per lui e i Peshmerga a lui fedeli, anche coprendo i crimini di cui è corresponsabile, a partire dal massacro di Singal del 2014. Inoltre nessun giornalista e nessun rappresentante istituzione dell’Italia ha mai fatto notare che dal 2013 Barzani non è più un presidente eletto legalmente, ma tenuto in piedi da un voto incostituzionale del parlamento.
Nel 2015, poi, persino il parlamento gli ha rifiutato la seconda estensione illegale del mandato, quindi da due anni Barzani non è presidente né sulla base della Costituzione irachena o del Krg, né di un suffragio elettorale, né di un voto del parlamento, sebbene tutti i diplomatici occidentali interessati al “suo” petrolio continuino a incontrarlo come se fosse il legittimo presidente. Nonostante il potere di Barzani si configuri come arbitrario dispotismo militare, l’Italia non ha mai smesso di legittimare il suo potere, anzi, ha dispiegato in Iraq centinaia di soldati per addestrare i suoi miliziani e difendere i lavori di una ditta italiana presso la diga di Mosul, controllata da essi (una vicenda i cui connotati lasciano enormi dubbi tecnici, ambientali ed economici; cfr. qui). I rapporti dei governi italiani con Barzani (cui l’Italia ha anche fornito carichi di armi) e quelli degli altri governi occidentali si inquadrano nella necessità di avere un intermediario di fiducia nello sfruttamento delle enormi risorse petrolifere dell’Iraq del nord (zona di Mosul e soprattutto di Kirkuk), controllate o contese dal Pdk.
Neppure le ambiguità di Barzani nei confronti dell’Isis hanno sollecitato una riflessione negli ambienti istituzionali e giornalistici italiani. Nel 2014 l’ex funzionario del Pentagono ed analista di guerra Michael Rubin ha fatto notare come vi fosse il sospetto più che fondato che Barzani avesse fornito all’Isis missili Kornet, nelle settimane precedenti la conquista di Mosul da parte dell’organizzazione salafita, in funzione anti-Baghdad (desiderando costruirsi un mini-staterello indipendente, l’entourage di Barzani ha più volte ammesso di considerare il governo centrale a egemonia sciita come il suo primo avversario in Iraq). Poche settimane dopo la conquista di Mosul da parte dell’Isis e due settimane dopo il massacro degli ezidi reso possibile dal magnate curdo, il 20 agosto 2014, il neo-presidente di turno dell’UE Matteo Renzi si è recato a stringere la mano proprio a Barzani, dichiarando che i suoi Peshmerga erano “le migliori forze mediorientali contro lo stato islamico”. In quella, come in altre occasioni, nessun giornalista italiano ha trovato nulla da ridire.
Le forze Peshmerga, anche legate al Pdk, si sono contrapposte e si contrappongono all’Isis in alcuni quartieri di Kirkuk e nella provincia di Mosul, ma proprio la debolezza e l’ambiguità politica del presidente e del suo governo ambiguo, familistico e corrotto hanno messo spesso a dura prova il morale nelle loro fila, sebbene questo non emerga dai reportage edulcorati e unilaterali sulla complessa realtà di questa forza combattente. Non soltanto nel caso del tradimento riservato alla minoranza ezida, che i Peshmerga avevano promesso di difendere, ma anche in relazione all’abbandono dei villaggi cristiani della piana di Niniveh nell’estate 2014, sono state molte le ritirate ambigue di queste forze, secondo testimonianze che io stesso ho raccolto a Erbil tra ex combattenti Peshmerga delusi e frustrati. Sembra che tutto ciò che non sia relativo a una presunta e monolitica “nazione curda” o alla religione sunnita, alla sua base di potere personale e alle risorse idriche e petrolifere dei territori che vuole controllare, abbia scarso valore per Barzani, la cui politica arriva offendere così anche il sacrificio di tanti giovani curdo-iracheni che si sono sacrificati in buona fede, nelle file dei suoi Peshmerga, nella lotta contro l’Isis in diverse occasioni.
Le condizioni di vita della popolazione del Kurdistan iracheno, inoltre, non hanno fatto che peggiorare in questi anni a causa dell’interruzione della corresponsione degli stipendi a migliaia di insegnanti, impiegati, poliziotti e a molti stessi Peshmerga del Krg, nonostante il presidente sia seduto su un fazzoletto di terra che esporta migliaia di barili di petrolio al giorno e conta appena cinque milioni di abitanti. Barzani ha cercato di dirottare l’attenzione accusando il governo di Baghdad, anche al fine di giustificare una sua futura secessione dall’Iraq d’accordo con Erdogan, ma la responsabilità del disastro economico del Krg è interamente sulle sue spalle e su quelle dei suoi ministri, che peraltro molto spesso sono suoi familiari. Il Kurdistan iracheno è oggi un paese economicamente sottosviluppato, la cui unica fonte di reddito è il petrolio, mentre il consumo si basa largamente sull’importazione turca, aumentando la dipendenza dei curdi iracheni dall’ingombrante ed assai problematico vicino. I tentativi della popolazione di manifestare per un cambiamento e un trattamento più dignitoso sono stati sempre più frequenti dal 2015 ma – denunciano i partiti di opposizione – repressi sistematicamente dalle forze di polizia. Addirittura il Presidente del parlamento curdo iracheno di Erbil, membro del partito di opposizione Gorran, non è da tempo autorizzato a raggiungere la città e quindi l’assemblea che dovrebbe presiedere.
Mirko e Paolo sono andati a combattere l’Isis in Siria con quella che è l’unica forza curda, se si esclude il Pkk su territorio iracheno, che è riuscita a infliggere perdite reali all’organizzazione che attacca ormai di continuo le nostre città in Europa: le Ypg. Nel fare questo hanno anche supportato e difeso le conquiste sociali e di genere rese possibili dalla rivoluzione che nella Siria del Nord hanno avviato proprio i curdi da sempre avversati, se non sovente perseguitati e repressi, da Barzani e dalle sue strutture in Kurdistan. Mirko e Paolo, come milioni di altre persone curde, arabe, assire, turcomanne e cecene anno dovuto patire l’embargo imposto da Barzani in termini di viveri, medicinali e personale sanitario sulla regione del medio oriente dove più dura è la guerra contro lo stato islamico. Infine, hanno dovuto subire l’onta dell’arresto da parte dei suoi uomini mentre cercavano semplicemente di tornare a casa, e per cosa? Per aver fatto una scelta giusta e aver contribuito alla libertà della Siria e alla difesa dell’umanità. Di questo e di molto altro il sistema di potere di Barzani in Iraq, e le potenze che lo sostengono, si trovano ad essere responsabili.