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Amburgo e il paradiso perduto dell’ordine pubblico europeo

Il benvenuti all’inferno di Amburgo è il paradiso perduto della cosiddetta gestione europea dell’ordine pubblico. Le categorie del politologismo – anche di movimento – che denunciano l’instarurarsi di uno stato d’eccezione nella liberale Germania ci dicono tutto sommato poco di quanto successo in questa settimana sulle sponde dell’Elba. Soffrono eccessivamente della stessa dialettica che le definisce: l’essere eccezione rispetto a un ordinamento sociale costituzionalizzato per il governo e quindi pacificato. Il dominio della politica contempla e anzi vive dell’irriducibilità di opzioni inconciliabili e non si confonde con il dominio del governo. Anzi sfugge a questo per farsi possibilità. Irriducibilità dell’ostilità al simbolo del G20, la distanza da questo in termini materiali, di vita, di condizione, di desideri sull’esistente. In questo senso le giornate di Amburgo segnalano un fatto semplice da assumere come precondizione per ragionare di altro: da giovedì pomeriggio fino a domenica lo scontro con il G20 è uscito da un campo di compatibilità, di dissenso governabile.

A quanti denunciano dal divano di casa l’impoliticità della cieca rabbia bastino i laconici comunicati stampa della polizia di Amburgo che resituiscono le proporzioni corrette di quanto accaduto perché nominano prima di tutto le difficoltà procurate al nemico. “Non garantiamo più la sicurezza, non abbiamo il controllo di alcune zone della città”. Certo sono solo eccezioni – queste sì – per lo più circoscritte a una temporalità limitata. Si tratta però di eccezioni capaci di far saltare un dispositivo poliziesco di pacificazione. Quello che pure con i numeri identificativi sui caschi, senza la ferocia dei manganelli e delle teste rotte di casa nostra, pure con tutta la professionalità attribuibile agli sbirri con i guanti (che sempre sbirri restano) ha lavorato per separare i più arrabbiati da chi “legittimamente”, dicono, protesta, il blocco nero dal resto dei manifestanti, i travisati da quelli a volto scoperto, rincorrendo schemi chimerici che per fortuna stanno sempre più nella testa di chi controlla di quanto non si riscontrino nella realtà. Attaccare il corteo welcome to hell ha significato non disperderlo ma frazionarlo in una resistenza a macchia e diffusa e protratta nei giorni successivi che ha trascinato il resto delle espressioni protestatarie che nel variegato universo della contestazione amburghese al G20 cercavano un posto per sé, arrivando fino a domenica con un corteo di centomila persone non separabile delle barricate di Schantze, di St. Pauli e di Altona. Una resistenza in grado di interrompere i flussi della logistica del vertice: gli spostamenti dei ministri e dei Capi di Stato, quella dei funzionari…. il loro svago alla Filarmonica e lo shopping di Melania Trump. In ultimo, la gestione europea dell’ordine pubblico si ferma alla gestione della pacificazione sociale.Superata questa, rinunciando allo scendere a trattative (keine Verhandlung, nessuna trattativa, recitava uno striscione in strada giovedì pomeriggio), si incontrano solo nuovi campi di contrapposizione e dunque di politicità e dunque di possibilità.
La gestione europea dell’ordine pubblico si ferma alla gestione della pacificazione: sarà una tautologia ma è ciò che ha procurato una difficoltà al primo ingranaggio addetto a preservare la serena arroganza del grande evento.

Il nemico di chi governa allora è sempre l’eventualità del conflitto, ovvero la possibilità di non recuperare alle proprie istanze un pezzo di realtà, una minaccia.
Le grottesche aggressioni a 11 tende di domenica scorsa, le identificazioni, fino alla caccia all’uomo e i rastrellamenti nei confronti dei manifestanti stranieri, italiani, francesi, greci a spagnoli (già, da noi all’elenco si dovevano aggiungere solo i black bloc tedeschi) sono il tentativo di rintracciare i volti di questo conflitto come un corpo esterno, qualcosa venuto da fuori. Alla faccia delle garanzie di Schengen. Ma ancora una volta queste banalità di base servono a ricordarci come uno spazio europeo dei conflitti non avrà nulla a che fare con questa Europa o con i suoi desiderata traditi dal cinismo del suo disintegrarsi. Servono a ricordarci che in fondo l’elemosina di Minniti in pellegrinaggio a Tallin e al G20 per chiedere più controlli e più quote di accoglienza agli altri “parteners” europei non è la traduzione poliziale del “buon senso” (cit. Gentiloni) di Renzi sui limiti dell’accoglienza – questo aspetto può riguardare chi si cura di governare il problema – ma è la rappresentazione plastica del semplice fatto che ogni venuto da fuori, ogni migrante come ogni giovane italiano incazzato con la farsa del G20, rappresenta sempre per chi comanda la minaccia del conflitto e dell’ingoverabilità di questa Europa. Minniti torna però a tasche vuote. Nessuno vuole accollarsi le grane degli altri. Anche Minniti è lo straniero di qualcuno, per Merkel e Macron solo un italiano rompicoglioni. Addio cooperazione, addio sogno europeo e benvenuti all’inferno.

 

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