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Non c’è accoglienza senza riscatto

Uno dei principali effetti della strage senza fine di migranti che contraddistingue la nostra epoca storica è un senso generalizzato di impotenza.

La continua ripetizione delle stesse immagini, che perdono così di ogni carica di eccezionalità per diventare rito ripetuto in qualche secondo di servizio al telegiornale, rende lontana ogni possibilità di invertire la rotta. Questo è obiettivo scientificamente perseguito dai media, che si pongono al servizio di una narrazione che anestetizza le cause dell’esodo e della tragedia migrante per riportare la colpa a lontani intrecci geopolitici o peggio, scaricando la colpa sul migrante stesso e sulla sua volontà di lasciare i luoghi di origine.

Alla colpa del migrante fanno riferimento esponenti politici xenofobi e neo-identitari in tutta Europa, tra cui la nostrana Lega Nord. A questa posizione si contrappongono forze europeiste che nei fatti sono quelle che avallando le odierne politiche sono la causa del processo, come il nostrano PD. All’interno di questo ultimo campo però le posizioni sono sfumate: da un lato c’è che si sposta sempre più verso posizioni simil-leghiste, con il sogno di sfondare a destra diventando partito pigliatutto, dall’altro invece c’è chi assume considerazioni più complessive che partono anche dalle esigenze della sfera economica e che fanno intravedere un discorso più particolareggiato di chi urla semplicemente “Stop!” ad una invasione che non c’è.

Nell’ultimo numero di Limes, il demografo Livi Bacci diffonde dati poco spesso ripresi nelle analisi sulle migrazioni: ovvero che negli ultimi due anni “la contabilità anagrafica conferma una diminuizione di circa 200.000 abitanti”. L’afflusso migratorio, contrastato e avversato come la peggiore delle pesti e giudicato insostenibile per le finanze pubbliche, non sarebbe insomma neanche in grado di pareggiare il calo demografico dovuto alla mortalità di una popolazione sempre più anziana. Ma non solo. In un irreale caso di vittoria dell’opzione “zero immigrati”, l’Italia verso la metà del secolo avrebbe una popolazione di otto milioni di abitanti in meno.

Queste due rapide considerazioni ci portano a comprendere in maniera differente il senso di alcuni fatti politici delle ultime settimane. In particolare, della marcia di Milano dello scorso sabato, partecipata anche dal sindaco Sala. Lo stesso che plaudeva all’intervento pomposo delle truppe di Minniti alla Stazione Centrale, finalizzato a combattere l’insicurezza percepita, ovvero la paura del nero in quanto nero che gira libero per le nostre strade e che non ha altro obiettivo se non minacciare e intimidre le nostre vecchiette. Ci fa ragionare inanzitutto sulle contraddizioni di un certo tipo di accoglienza: quella intesa come normazione della vita del migrante, al quale viene concessa la possibilità di vivere sul nostro territorio solamente se utile a noi che lo ospitiamo, e ovviamente se si adegua ai valori di tipo “occidentale” (??) come stabilito dall’ormai celebre sentenza della Crote di Cassazione passata anch’essa in relativo silenzio rispetto al suo peso specifico.

Per Sala Milano deve mantenere un profilo internazionale, accogliendo chi decide di annullare ogni briciolo di propria identità una volta sbarcato in Italia per imbiancare le nostre case o accudire i nostri anziani. Ovvero gli unici ruoli che sono ammessi nella società per il migrante, il quale deve scordarsi ogni tipo di soddisfazione che vada oltre la sfera economica e per il quale la realizzazione non deve coincidere anche con la dignità o con il riscatto da una condizione sociale miserevole. Da qui si vede l’effetto combinato di questo nuovo mix di apertura e repressione che il Partito Democratico sta sperimentando con Minniti: lavoro gratuito si accompagna a retate, esasperazione mediatica sulla criminalità si mischia ad inserimento negli ambiti lavorativi ed esistenziali più duri.

Chissà se è questa l’idea di “immigrazione di qualità” che lo stesso Livi Bacci suggerisce nella fine del suo articolo sopracitato; ad ogni modo, risulta difficile immaginare come si possa scendere in piazza sul tema dell’immigrazione insieme con Minniti, Orlando e Sala. La sacrosanta repulsione verso la xenofobia più sboccata non deve accecare rispetto alle molteplicità delle forme di estrazione di valore dal movimento migrante: ancor più grave sarebbe trasformare l’impotenza di questa epoca storica in benzina per le forme di ristrutturazione più avanzate del sistema capitalistico del nostro paese, permettendo alle sue figure trainanti persino di ripulirsi la faccia!

L’idea di Sala comunque non è affatto nuova. Non dimentichiamoci che la stessa Merkel è riuscita ad accreditarsi come paladina della libera circolazione dei migranti quando aveva manifestato l’intenzione di accogliere in Germania un milione di profughi siriani, riuscendo a far dimenticare delle politiche di frontiera dell’Unione Europea, notoriamente dominate da Berlino in termini di guida politica. La mossa di Merkel era motivata dalla alta scolarizzazione e preparazione dei migranti siriani, che per questo potevano rendere un servizio migliore all’economia teutonica rispetto a migranti di altri paesi. Un diritto fondamentale diventa quindi merce di scambio: non si può applaudire, legittimare o sfruttare in ambito politico pratiche di questo tipo.

La sfida che si pone davanti non è soltanto sull’accoglienza o meno, ma anche sul modo in cui la intendiamo. L’imperativo inderogabile della libera circolazione sulla terra di tutti e di tutte non può farci chiudere gli occhi su forme di accoglienza che sono parte del problema invece che della soluzione. Eventi simbolici di rappresentazione del sostegno ai migranti sono sicuramente necessari, ma rischiano di lavorare per il nemico nel momento in cui ad essi non si affiancano percorsi di rivendicazione pratica del diritto dei migranti di vivere in senso pieno oltre che a sopravvivere mettendosi al nostro servizio.

La messa in schiavitù di tipo nuovo che avviene alle nostre latitudini, la segregazione in ghetti dove la guerra tra poveri si sviluppa sotterranea, i processi di assimilazione culturale portati avanti dagli Stati sono il carburante di ogni nuova Manchester che verrà.

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