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Migration compact. Quando l’Italia aiuta a casa loro i governanti africani

I paesi di transito, in particolare della fascia nordafricana, sono individuati come paesi terzi sicuri verso cui espellere cittadini di qualsiasi nazionalità ma soprattutto sono invitati a costruire hot-spot e altri centri di semi-detenzione in cui filtrare i migranti, evitando quindi all’UE di doversi incaricare di verificare direttamente lo status delle persone in transito.
L’unico modo per salvaguardare l’involucro del diritto europeo sembra quindi quello di comprare la disponibilità di governi di paesi terzi a trattenere con tutti i mezzi migranti. Poco importa se, come con l’accordo con la Turchia, l’Unione europea passa ingenti somme di denaro a uno dei principali finanziatori nonché supporti logistici dello Stato islamico o se si tratta, come per il caso di questo Migration compact a firma italiana, di dare sostegno logistico e finanziario agli eserciti di paesi di dubbio stampo democratico. Ciò che conta è tenere i migranti lontano dagli occhi e lontano dal cuore ma soprattutto aprire nuovi spazi di guadagno per gli investitori europei in cerca di profitti.

Da sempre, barattare vantaggi commerciali e investimenti con un maggior controllo delle frontiere costituisce il principale asse secondo cui si è strutturata la cosiddetta “cooperazione economica” tra Unione europea e paesi africani. È in particolare dall’inizio del processo di Khartoum che è stata fissata la pratica corrente che subordina l’arrivo di capitali europei alla riammissione dei cittadini espulsi verso i paesi aderenti. Riprendetevi i clandestini e faremo affari, insomma.
Il Migration compact proposto dall’Italia s’inserisce in questa politica di medio periodo proponendo ai governi africani di scambiare una pioggia di soldi con un maggior controllo dei flussi migratori, per la gioia di investitori e imprenditori di tutti i continenti. Sono stati già individuati sette paesi (Costa d’avorio, Senegal, Nigeria, Ghana, Etiopia, Niger e Sudan) con cui concludere i primi contratti, per trattenere i migranti saranno retribuiti con due miliardi e mezzo di euro. Per l’autunno si parla del varo di un nuovo fondo che grazie a una leva di 3 miliardi si spera possa arrivare ad attirare 30 miliardi di finanziamenti pubblici e privati. Ma le ambizioni sono ben più ampie. Il governo italiano, dopo aver ottenuto che i soldi spesi per il controllo e la repressione dei flussi migratori fossero esclusi dal patto di stabilità, ha proposto che il Migration compact venisse finanziato con l’emissione di Eurobond, sperando che “l’emergenza immigrazione” possa servire da cavallo di Troia per varare questo strumento di condivisione dei rischi del credito fortemente combattuto dalla Germania. La questione migrazioni, insomma, si configura sempre di più come il perno intorno cui far ruotare le politiche d’investimenti esteri del grande capitale italiano e guadagnare posizioni nel quadro delle tensioni crescenti all’interno dell’UE.

Repressione dei flussi migratori, liberalizzazione dei rapporti commerciali e consolidamento delle élites globali sono da sempre fenomeni che avanzano insieme e concorrono a creare il mondo in cui viviamo, dove i lavoratori che vivono in ogni angolo del mondo subiscono condizioni di precarietà crescente, povertà e sfruttamento. La libertà per i ricchi di far circolare merci e capitali è sempre avanzata di pari passo con una negazione sempre più importante della libertà di circolare delle persone, con buona pace di leghisti, neo-fascisti e dei confusi adepti delle teorie mondialiste.

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