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Stralci di inchiesta (7): nuova logistica metropolitana – Il lavoro di consegna nelle flotte di driver tra giungle malesi, Jedi francesi e lumache

 

 

Sgnam si rifà all’idea di istituire una piattaforma per la consegna di cibo a domicilio, all’interno di una ormai consolidata tradizione negli Stati Uniti e nel nord Europa che invece si sta diffondendo in Italia solo di recente. Sgnam, fondata nel 2012, agisce per ora solo su Bologna. Ha un CEO e un paio di dipendenti fissi in ufficio. Inizialmente si fondava solo sul garantire un supporto online e non aveva nessun fattorino suo diretto dipendente, mentre ora sta progressivamente gestendo tutti i proprii driver. Cerca di ritagliarsi uno spazio di mercato garantendo la consegna entro 31 minuti (a differenza dei circa quaranta di JustEat) e puntando sui locali “di lusso” – che generalmente non prevedevano la consegna a domicilio, creando dunque ex novo il servizio a domicilio. Ha un costo di consegna di 2.90 euro a differenza di JustEat, tendenzialmente gratuito.

Si compila un form online per proporre la propria candidatura lavorativa con Sgnam, e viene fissato su whatsup un appuntamento nella loro sede. L’ufficio è in un interno, e sul campanello non c’è scritto nemmeno il nome della ditta. Lavorano quattro ragazzi sui 25 anni (tra cui “l’inventore” di Sgnam e due persone dedite alla gestione degli ordini, dicono che al momento manca “lo smanettone”). L’ufficio disadorno è composto di due piccole stanze, con delle scaffalature a parete dove sono posizionati i grossi zaini termici di color arancione di Sgnam (“all’interno ci possono stare 11 pizze”). In una stanza ci sono due tavoli di lavoro, nell’altra, dove si viene ricevuti, un solo tavolo e una piccola libreria con una manciata di testi dai titoli significativi: “Meritocrazia”, “Falce e carrello”, “Come diventare imprenditori”, più vari testi in inglese sulle startup. Il ragazzo (vagamente hipster, una camicetta a quadri rossi e neri e occhiali dalla montatura nera larga) col quale si svolge il colloquio, spiega che prima il lavoro era pagato 8 euro l’ora ma che è appena passato a 7.30 l’ora sotto forma di voucher (che però, spiega, regolarizzano il tutto – prima era di fatto tutto in nero – e consentono di fare una assicurazione incidenti per il portantino). Non si stipula nessun contratto, si tratta di prestazioni occasionali equiparate a un lavoratore autonomo. Il lavoro viene organizzato la domenica su whatsup, quando ciascun driver deve dare le proprie disponibilità settimanali, mentre concretamente il lavoro inizia attendendo da casa il primo ordine, e dovendo garantire l’arrivo nel ristorante in 15 minuti e altrettanti per portare l’ordine a destinazione. Per sostenere questi tempi è pressoché necessario muoversi in motorino, considerando che le distanze da coprire possono essere anche molto ampie, ma la benzina non viene pagata. Dalla sede trasuda un vago afflato di quello spirito animale, di frontiera, del capitalismo degli scantinati, col mito a là Silicon Vally del self-made man che con una buona idea e un po’ di competenza tecnologica può diventare miliardario.

Anche Justeat funziona come intermediario tra clienti e ristoranti ma su un volume di mercato molto più ampio. La multinazionale è basata nel Regno Unito e opera in 13 paesi tra Europa, Asia, Oceania e Americhe. La piattaforma è stata fondata in Danimarca nel 2000 e lanciata nel 2001, per poi espandersi in Inghilterra, Olanda e Irlanda, fino ad arrivare con una joint venture in India nel 2011. Si sta oggi espandendo a macchia d’olio anche tramite acquisizioni e partnership con servizi analoghi in tutto il mondo. Con un fatturato globale di 200 milioni di euro nel 2015, è quotata in borsa e inizia ad affacciarsi anche con pubblicità televisive dopo una vita di advertising sul web. Il servizio, in Italia dal 2011, è oggi attivo in una decina di città italiane e garantisce il farsi recapitare a casa allo stesso costo del ristorante qualsiasi tipologia di cibo, dalla pizza al sushi, dai primi ai secondi piatti fino ai dolci. JustEat ha un notevole investimento tecnologico, puntando ad esempio molto sull’utilizzo dei big data: al momento 40 analisti stanno lavorando sull’incrocio di dati per consentire alla piattaforma di comprendere con precisione i gusti degli utenti, in modo che questi possano visualizzare solo i ristoranti di proprio interesse rispetto a tutti quelli affiliati a JustEat.

Come si evince da quanto detto sinora, queste aziende creano dal nulla un servizio con un investimento iniziale estremamente ridotto e relegato sostanzialmente alla creazione di app e software. Il nodo decisivo tuttavia è la disponibilità di attingere a una forza-lavoro a bassissimo costo ed estremamente disponibile e flessibile. È infatti propriamente la costituzione di queste flotte di fattorini l’elemento che consente a queste nuove aziende di funzionare. Certo, a prima vista l’organizzazione algoritmica del lavoro e l’ordinazione online sono gli elementi più d’impatto, ma è (come sempre in una società capitalistica) a partire dalla concretezza del lavoro che vanno comprese le attuali innovazioni. Questa nuova logistica metropolitana in espansione delle consegne a domicilio riproduce inoltre le stesse logiche e immaginari della logistica globale, ossia la fantasia di uno spazio liscio in cui le merci possano circolare senza attriti, just in time and to the point, con un sistema il più possibile automatizzato. Dall’intervista fatta con il lavoratore di JustEat emergono tuttavia in controluce una serie di elementi che vengono obliterati da questa narrazione.

Riprendiamo alcuni dei tratti salienti e dei punti da portare in luce dell’intervista, incrociandoli con il lavoro presso Sgnam, per poi lasciare direttamente alle parole del lavoratore:

. il lavoro presso queste piattaforme si basa sulla profonda ambivalenza della flessibilità. Mentre fino agli anni Settanta la richiesta di flessibilità contro la rigidità del sistema-fabbrica era un’istanza operaia, la sussunzione di tale spinta ha reso oggi la rigidità il peggior nemico per il capitalista collettivo. Tuttavia, lungi dal riattivare decadenti retoriche lavoriste, la flessibilità permane come spinta anche del lavoro vivo – e proprio su questo vortice si gioca la partita. Il punto è che il contesto nel quale si definisce la relazione tra capitale e lavoro è inscritto in un quadro in cui la forma-contratto è sempre più evanescente, il mercato del lavoro totalmente sregolato e l’intermediazione e le prestazioni di welfare statale ormai ridotte al lumicino;

. è a partire da tali condizioni che riemergono forme del lavoro che si credevano ormai superate da lungo tempo, rispetto alle quali il lavoro a cottimo di JustEat è indubbiamente emblematico. Inoltre, sempre dal punto di vista degli intrecci storici, i lavoratori del delivery hanno uno statuto che paradossalmente li rende quasi artigiani, in quanto sono detentori degli strumenti di lavoro (in primis la bicicletta o il motorino) – ovviamente per esternalizzare del tutto i costi da parte delle aziende. Della forza-lavoro viene messa a valore sia la performatività fisica (l’uso delle gambe per pedalare) che l’abilità e rapidità nel sapersi orientare nell’ambiente tecnologico di app e mappe online che filtrano e incanalano il movimento urbano. Da sottolineare come lo smartphone, “il dispositivo”, diviene nelle parole dell’intervista “il mio luogo di lavoro”, e si verifica una valorizzazione dell’emotività e del fare gruppo nell’interazione da social network che si sviluppa su whatsup;

. tutto ciò avviene in “un lavoro duro, con un sacco di robe fuori di testa, pericoloso, dove non ti mettono a disposizione niente”, in cui “si lavora sempre, che ci sia pioggia, neve o una bufera”. Un lavoro dove predomina la logica organizzativa del subappalto, in cui vige una moltiplicazione estrema delle forme contrattuali che stratifica e mette in conflitto tra loro i lavoratori, e in cui si costruisce la prestazione di un “lavoro alla spina”, in cui la parte datoriale può attivare e disattivare a proprio piacimento il lavoro (“dal momento in cui mi dichiaro disponibile non ricevo soldi però, li ricevo solo da un quarto d’ora prima di quando mi arriva il primo ordine”). Dentro questo contesto si costruiscono assemblaggi lavorativi molto variegati: giovani e studenti per lo più alla ricerca dei cosiddetti lavoretti, la gig economy; persone più adulte che cercano di farne un lavoro fisso; persone che usano questo lavoro come integrazione rispetto ad altri lavori che non garantiscono loro un reddito adeguato (“Vuoi mettere a valore il tuo tempo libero? Vieni con JustEat!” è un loro annuncio pubblicitario dell’azienda); una forza-lavoro migrante che si orienta su queste mansioni in primis per la semplicità dell’assunzione;

. nella prima puntata di Stralci di inchiesta avevamo proposto una tendenza al “divenire smart” della logistica rispetto a grandi aziende come H&M e Amazon, che si presentano sempre più come ambienti multinazionali intriganti e che portano lavoro sul territorio. Anche nella logistica del delivery metropolitano si assiste a tale inclinazione, dalle pubblicità alle relazioni di lavoro dove chi organizza il lavoro fa ampio ricorso a smile e frasi a effetto che cercano simpatia, iniziando ogni turno con brevi commenti pop che sono ripresi nel titolo di questo articolo e si trovano sul finire dell’intervista;

. rispetto alle possibilità di organizzazione e riscatto del lavoro all’interno di questi ambiti si sta assistendo nell’ultimo anno a diverse mobilitazioni, in particolare a Londra e, per quanto riguarda l’Italia, si rimanda al caso Foodora a Torino (1 e 2). Dall’intervista emerge come il progressivo deterioramento del trattamento economico e organizzativo (“ci sono stati dei grossi peggioramenti”) stia inducendo a una insofferenza diffusa (“io percepisco un incazzamento”). I punti chiave per l’instaurazione di un possibile nuovo rapporto di forza paiono essere in sostanza quattro, due “positivi” e due “negativi”. Sul primo fronte: “la cosa interessante è questa concentrazione virtuale dei lavoratori sulla quale lavorano anche come ingegneria sociale i capi che ci stanno dentro con questo livello di governance molto soft”, dunque il fatto che tutti i lavoratori siano su un unico gruppo e in comunicazione fra loro (anche se l’app di Sgnam non lo prevede, a differenza di quella di JustEat); l’immediatezza con la quale è possibile sottrarsi al lavoro e il grosso danno di immagine che si produrrebbe anche bloccando le consegne per solo un’ora – senza tra l’altro che siano previste specifiche sanzioni in proposito. Sul fronte opposto però proprio questa immediatezza si può riassorbire molto velocemente: “sta azienda qua che ha basato tutto su lavori ultra-flessibili ti può sostituire in 0.2 secondi”, soprattutto perché “già da subito hanno un bacino da cui attingere talmente ampio che ti possono sostituire subito”. L’assenza di un vero e proprio contratto che obblighi il datore di lavoro a garantire la prestazione lavorativa lo pone in una posizione di ricatto estremamente forte;

. va considerato che le piattaforme come JustEat e affini hanno un impatto urbano e sociale molto significativo. Nel giro di pochi mesi le città si riempono infatti di porta-consegne coi colori della propria ditta che percorrono velocemente le strade, e molti negozi e ristoranti iniziano a esporre i bollini di affiliazione ai servizi di delivery. Inoltre si iniziano a strutturare vere e proprie infrastrutture che possono in tendenza ridefinire gli stessi assetti urbani (soprattutto per quanto riguarda servizi di logistica metropolitana come Amazon, che stanno istituendo magazzini di prossimità e centri di consegna diffusi, associandoli alla costruzione di nuovi grandi magazzini nelle periferie di molte città e vere e proprie infrastrutture per rotte commerciali). Inoltre questi servizi modificano i tempi di vita e le percezioni, e tendono a svuotare di senso economico molte attività economiche nei quartieri;

. infine, è certamente affrettato affermare che questa nuova logistica organizzata online possa svolgere un ruolo analogo alla grande trasformazione economica e urbana indotta dalla cosiddetta Retail revolution (la “rivoluzione della distribuzione”, ossia l’affermarsi, detta in maniera semplificata, dei grandi supermercati durante gli anni Ottanta), ma indubbiamente le possibilità che questa logica distributiva inizi a imporre standard produttivi e forme di costruzione delle infrastrutture urbane funzionali alla massimizzazione del proprio funzionamento è plausibile – soprattutto se ciò viene associata all’affermarsi del modello della smart city e alla tensione al divenire infrastruttura di governo del sociale del platform capitalism (di cui le recenti mosse e dichiarazioni del CEO di Facebook sono emblematiche). Tuttavia, ciò che per ora è certo, è che questi possibili inizi di una nuova “rivoluzione” si stanno producendo a partire dall’uso smodato di un lavoro estremamente precarizzato, e JustEat e simili stanno spingendo ulteriormente in basso le sue condizioni.

 

 —

 

 

Intervista a S., lavoratore di JustEat a Bologna

 

 

Qual è il tuo lavoro?

Io lavoro per una ditta chiamata Pony Express che ha ricevuto l’appalto da JustEat, quindi non lavoro direttamente per JustEat, e noi lavoriamo con una app che si chiama Food Pony. È una ditta che gestisce il servizio di ponyeraggio, di logistica metropolitana all’interno della città direttamente per JustEat. L’azienda si appoggia a un software per la gestione degli ordini che non è suo, ma è usato anche da altre aziende di delivery. Si possono fare sia i turni a cena che i turni a pranzo – se faccio il turno serale devo essere disponibile dalle sette meno un quarto. A quell’ora mi arriva un avviso sulla app, alla quale devo essere collegato, che mi dice: “Vuoi attivare il servizio di ricezione ordini? Sì o no?” – e da quel momento io posso ricevere degli ordini. Dal momento in cui mi dichiaro disponibile non ricevo soldi però, li ricevo solo da un quarto d’ora prima di quando mi arriva il primo ordine. Questo per quanto riguarda la mia tipologia di contratto, che ho un contratto a ore. Quando si viene assunti si può scegliere tra tre contratti: uno è quello a ore, uno è un contratto a consegna, l’altro è un po’ strano: metà a cottimo metà ad ore. Per il contratto a consegna ti pagano 4 euro a consegna, che è relativamente buono per questa tipologia di lavoro. Per il contratto a ore ti pagano 6 euro all’ora più tutta una serie di aggiunte nelle situazioni particolari: se lavori nei festivi festivi prendi 0.50 in più all’ora per il mio contratto, nei pre-festivi 0.25, se lavori durante i giorni di pioggia prendi 1 euro in più all’ora – perché si lavora sempre, che ci sia pioggia neve o una bufera. Per la consegna funziona così: si prende un tot di più a consegna a seconda che sia festivo, pre-festivo o pioggia, e in più prendi un euro in più a consegna dopo la prima consegna e un euro in più all’ora dopo la quinta consegna nel contratto a ore. Poi c’è un terzo contratto, che non sceglie mai nessuno: ti danno 8 euro fissi a turno, a prescindere da quello che fai, e 2 euro in più a consegna. Lo prende chi fa i pranzi, poi ti spiego meglio. Ma insomma per fare dei soldi su sta dimensione qua devi capire qual è il modo per poterti vendere meglio. E la modalità con cui ti mettono al lavoro è proprio uno stimolo all’auto-imprenditorialità del sé. C’è una narrazione di marketing […] quando ho beccato sto avviso preso da JustEat uno dei titoli era: “Vuoi mettere a valore il tuo tempo libero? Vieni con JustEat!”. Poi da questo punto di vista c’è la solita retorica aziendale del “Tu sei l’eroe delle consegne”, “Sei pronto a sfrecciare per portare a termine la tua consegna?”.

Comunque, ritornando a come funziona la app, ti dicevo che si viene pagati a partire da un quarto d’ora prima rispetto alla prima consegna. Quindi, se vado a ritirare un ordine a un ristorante alle sette e un quarto, io comincio a prendere soldi dalle sette. Mi è successo più di una volta di cominciare il turno alle otto, iniziando dunque a prendere soldi dalle sette e quarantacinque. Considera però che io dalle sei e quarantacinque alle sette e quarantacinque io ero disponibile, quindi non mi potevo muovere da casa – la tipica inculata di ste robe qua, devi essere sempre disponibile. […] Il grosso problema è quando sei a pranzo, che per ora funziona poco. Io le poche volte che l’ho fatto ho fatto al massimo due ore in un solo turno, il che voleva dire essere disponibili per quattro ore e prendere in tutto 12 euro. Ancora peggio se hai il contratto a consegna, perché magari fai solo una consegna e prendi 4 euro per essere disponibile svariate ore. Per questo ti dicono di fare il contratto a ore se fai i pranzi. In tutto ciò a dicembre c’è stato un cambio di contratti, che ha eliminato molte delle condizioni vantaggiose che c’erano prima.

Dunque, io ricevo gli ordini sulla app e la app mi dice dove devo andare. Io devo essere collegato col Gps e chi mi dà gli ordini, che si chiama dispatcher, utilizza whatsup. In pratica tutto avviene tramite lo smartphone, se tu non hai il dispositivo non puoi fare questo lavoro. Infatti una delle maggiori preoccupazioni in questo lavoro è che devi sempre avere il telefono carico, che non è una sciocchezza, e se non ce l’hai sei fregato, non esisti. Tra l’altro è una cosa abbastanza peculiare perché io non ho mai visto il mio datore di lavoro, ho visto una sola volta il manager di Pony Express che mi ha dato il lavoro. Io prendo gli ordini, il lavoro e tutto quanto attraverso whatsup e il dispositivo, quindi diciamo che è questo il mio luogo di lavoro.

 

Come mai hai deciso di lavorare per JustEat?

Perché sono uno studente universitario, ma sono al quinto anno e inizio ad aver bisogno di essere indipendente dai miei. Su tutta una serie di cose avrei avuto bisogno di farmi aiutare, ma siccome l’aiuto non c’era ho scelto di fare questo lavoro per poter avere un po’ più di tranquillità su queste cose, per potermi pagare un po’ di spese. L’ho scelto perché uno dei vantaggi di questo lavoro è che posso scegliermi i turni, c’è il massimo della flessibilità e scegli tu quando lavorare. Anzi, la tipologia del contratto è abbastanza particolare, c’è proprio scritto in un comma del contratto che tu non sei legati a orari o a vincoli con il tuo datore di lavoro, e puoi scegliere tu quando e come lavorare. A inizio settimana ti fissi i turni, che possono essere dai due ai sette. Ovviamente questo a livello formale, perché poi a livello informale ci sono le pressioni… Per ora non ho ancora visto se possono dare luogo a qualcos’altro. Quando sono stato assunto mi hanno detto: “Tu puoi lavorare quando cazzo ti pare, puoi anche non lavorare per due settimane”, però di base hanno bisogno di te il sabato e la domenica e almeno cinque volte durante la settimana. Io ho un contratto di sei mesi che poi potranno rinnovarmi, ma se io inizio a scazzare loro possono tranquillamente dirti: “Bella, non lavori più”, ciò non ti fanno più lavorare – perché qui è molto semplice non farti lavorare, basta non darti le consegne sulla app e sei fregato. Per me che lavoro a ore, anche solo cominciare a darmi la consegna alle otto o alle otto e mezza vuol dire farmi perdere dieci euro di lavoro così.

La gente che lavora con JustEat è abbastanza variegata. Ci sono molti universitari e ragazzi giovani, ci sono migranti, ci sono ragazzi che hanno un contratto fisso da 36 ore a settimana… ci sono molti tipi di contratti diversi, e in genere lavorano ragazzi dai venti ai trent’anni che molto spesso fanno anche altri lavori, usano questo per arrotondare un po’. Ma in generale il punto è proprio che negli impegni di una vita questo lavoro di dà una grossa possibilità di scelta, a differenza ad esempio di un lavoro fisso come il cameriere in cui devi lavorare tutti i giorni fino a una certa ora ecc… a sto giro invece posso scegliere quando cazzo lavorare.

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Potresti parlarmi invece dell’ambiente di lavoro, rispetto ai capi e ai colleghi.

Abbiamo un gruppo whatsup, all’interno del quale c’è una modalità da parte di chi è al comando molto soft di lavorare coi dipendenti. A inizio turni si riceve sempre un messaggio, dopo te ne faccio vedere qualcuno, in cui i dispatcher mandano un messaggio a tutti quelli che hanno gli ordini del tipo: “Ciao Tigri di Mompracem, siete pronti ad affrontare la giungla metropolitana?”, quindi c’è un approccio con tanti smile, tanti vezzeggiativi, cercano sempre di essere molto simpatici. Rispetto ai colleghi c’è invece un gruppo whatsup interno a quelli che lavorano per Pony Express in cui ci coordiniamo tutti quanti, parliamo, e qui dentro c’è poco lavoro e molto cazzeggio. C’è un buon rapporto, spesso emergono qui dentro anche problemi di lavoro. […] Ad esempio, prima accennavo del cambio di contratto di dicembre rispetto al fatto che prima si prendevano 7.50 euro all’ora, che è decente no?, e in più prendevi i fissi per due ore di turno. Tipo a pranzo prendevi sempre due ore anche se non facevi un cazzo. Invece ora hanno messo i 6 euro all’ora con tutte le limitazioni che ti dicevo prima e hanno messo le consegne. Alcuni hanno scelto il contratto a consegna perché la sera diventava meglio. Se tu lavori all’ora, e la sera si lavora al massimo quattro ore, in un non festivo prendi 24 euro al massimo, se invece lavori a consegna e pedali come un pazzo – perché il cottimo è così, hai la spada di Damocle sempre sulla testa e non è un lavoro che non ha rischi, anzi è un lavoro abbastanza pericoloso. Stai per ore in bici in mezzo al traffico in qualsiasi condizione meteorologica, e col cottimo devi spingere di brutto e puoi fare anche sette otto consegne così, ma vuol dire metterti abbastanza a rischio. Poi vabbé, sempre nel limite di quel che vuol dire andare in bicicletta, ma insomma non è esente da rischi, non è come fare il tassista.

Poi è venuto fuori che hanno fatto un botto di assunzioni ultimamente. A me pare che JustEat in questo momento sia in una fase di assestamento, sta capendo come si struttura il mercato, quindi sta continuamente rimodellando la sua forza-lavoro. All’inizio JustEat aveva detto a Pony Express di prendere un sacco di gente, poi improvvisamente una settimana fa gli è arrivata la cosa di prendere molta meno gente, e noi non capiamo se sia dovuto alle pressioni di chi ha il contratto a consegna. Perché ovviamente sta cosa di aver preso un botto di gente ha significato che chi ha il contratto a consegna non ha più consegne. Quindi questa settimana hanno deciso di mettere meno gente per turno, e per me che ho il contratto a ore è una grossa inculata. Su questo si sono create tensioni all’interno del gruppo whatsup, ma a parte questo c’è una dimensione di socialità nel gruppo. Considera che nel gruppo intervengono anche le figure di comando. Per esempio tempo fa c’è stato un ritardo nel pagamento dello stipendio e c’è stata abbastanza incazzatura, e i capi sono intervenuti – sempre in questa dimensione molto soft, che ovviamente è costruita come tipo di impostazione, di avere questo rapporto molto amichevole, anche se non voglio dire che magari non c’è anche una attitudine personale, che magari con chi c’è da più tempo questo rapporto può essere anche più esplicito nel suo essere falso. Però sta cosa magari non viene fuori perché poi non è detto che questa persona sia così una merda, però appunto di base la cosa è costruita con tanti smile, tanti vezzeggiativi, battute…

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Quanti siete in questo gruppo e quanti di questi hai incontrato fisicamente?

Siamo 35 e ne ho conosciuti una ventina, anche perché spesso ci si incontra in piazza Maggiore in pausa turno. Cioè durante il turno spesso ci si dice: “Bella rega, ma chi è che è in pausa che ci si becca in piazza Maggiore?”.

 

Mi incuriosisce capire che tipo di rapporto sviluppi con la città nel tuo muoverti per il lavoro.

Tutto in realtà dipende dall’abilità di chi ti dà gli ordini. Io delle volte sono andato da un estremo della città all’opposto, una volta da San Mamolo altissima fino a San Donato profonda. Comunque ti muovi su Google Maps, che è integrata direttamente all’interno dell’applicazione. Per ogni ordine che ricevi sulla app c’è un tasto che ti consente di tracciare il percorso migliore. E sempre su Maps vedono i tuoi spostamenti, in base ai luoghi dei ristoranti e della consegna.

 

Qualche tempo fa c’è stata una mobilitazione a Foodora a Torino, non so se hai in mente. Pensi possa succedere anche qui qualcosa di analogo?

Bhé guarda, in realtà c’è un grosso incazzamento. Prima ho fatto quell’appunto sulle figure di riferimento, che però sono proprio interne… […] C’è incazzamento perché il cambio di contratto ha prodotto il peggioramento delle condizioni di vita per tante persone, e ho conosciuto qualcuno che fa il porta pizze per altri ristoranti e ha deciso di tenere JustEat solo per qualche pranzo, un paio hanno pensato di rivolgersi al sindacato. C’è incazzamento, anche se non so se c’è il livello per poter esprimere qualcosa. Il vantaggio di ste cose qua è che c’è già una aggregazione virtuale, sul gruppo whatsup, e sembra una banalità ma hai già tutti i numeri dei tuoi compagni di lavoro, in più hai dei luoghi specifici in cui ti trovi. Se si volesse impostare una dimensione di blocco, uno sciopero… Lo potresti fare, se un giorno dici: “Io non prendo più ordini”, ok, gli metti casini. Però sta azienda qua che ha basato tutto su lavori ultra-flessibili ti può sostituire in 0.2 secondi. Quindi magari sul primo giorno funzioni, però già da subito hanno un bacino da cui attingere talmente ampio che ti possono sostituire subito. Non hai nemmeno di fatto dei luoghi dove fare dei blocchi. Certo, magari hai dei ristoranti più grandi dove si potrebbe immaginare di fare qualcosa… Per come sento l’atmosfera dentro c’è un livello di insofferenza, perché comunque è un lavoro duro, abbastanza duro, con un sacco di robe fuori di testa, pericoloso, dove non ti mettono a disposizione niente, e materialmente in questo lavoro hai un botto di tempi morti, e se lavori a cottimo è normale che esci fuori di testa perché devi sempre aspettare la consegna che ti arriva. I tempi morti sono davvero un problema, perché tra una consegna e l’altra puoi aspettare magari mezz’ora e non è che hai un posto dove andare. In inverno stai al freddo fuori da solo senza un cazzo da fare. La bici te la devi pigliare te, l’unica cosa che ti danno è il cassone, che tra l’altro è scomodissimo e gli serve solo per farsi pubblicità sto giubbotto di JustEat che un po’ effettivamente ti copre ma non è un cazzo impermeabile. Non ti danno il casco… Ok sì hai la sede di Food Pony dove puoi andare a ripararti la bici, ma non è che è aperta la notte quando lavori. Il catarifrangente te lo devi prendere da te, tutto lo devi prendere da te, e in più sono paghe da fame. Se lavori 36 ore a settimana prendi 900 euro al mese, che è una miseria se conti che alla fine ti prende tutta la giornata per quattro lire. Poi sì è un lavoro duro su dei livelli, perché nei tempi morti magari puoi fumarti la paglia (anche se secondo i regolamenti aziendali non potresti), puoi cazzeggiare, quindi vivi un po’ in ambiguità sta cosa perché hai dei margini per gestirti. Ma appunto, ci sono stati dei grossi peggioramenti e io percepisco un incazzamento.

La cosa interessante è questa concentrazione virtuale dei lavoratori sulla quale lavorano anche come ingegneria sociale i capi che ci stanno dentro con questo livello di governance molto soft. Ti faccio un esempio. Un tipo di questi che mi danno le consegne, mai visto mai conosciuto, mi manda improvvisamente un messaggio su whatsup in cui mi chiama col diminutivo e mi chiede: “Dove sei?”, perché ero in ritardo per una consegna, con tutte le faccine tristi. Ti leggo un po’ di cose simpatiche dei messaggi di inizio turno. Una volta hanno mandato una versione in latino, un’altra hanno scritto: “Ciao lumachine amorose, purtroppo stasera siamo tutti in turno, vogliamo scambiarci le bave con le altre lumachine? Vi propongo il gioco delle mance. Siccome stasera consegnerete a coppiette, e che il Lui della situazione si farà in quattro per pagare per mostrare la sua indipendenza alla nobil donna che tenta di sedurre, sarete ricoperti da euro di mancia. Buon turno e tante bave dal francese” – perché tra l’altro sta gente, sti dispatcher stanno a Torino e addirittura uno sta in Francia. Un’altra simpatica: “Buona sera ragazzi, Marco ai comandi, pronti al decollo?”, oppure “Ciao a tutti, spero siate pronti alla gara di sgusci di stasera, motori a potenza, alzate gli scudi di Dark Matter e altri termini fantascientifici tutti confusi. Fate i bravi, andate piano. Il vostro maestro Jedi francese”, o ti rileggo quello che dicevo all’inizio: “Ciao tigri di Mompracem, stasera siete tantissimi. Quindi non temiamo i pericoli della giungla e armati dei nostri kriss consegneremo gli idoli d’oro e sconfiggeremo la malvagia popolazione dei tassisti della Malesia”. Io a ogni inizio turno mi becco sti messaggi qua, che mi fanno salire la gioia della serata… Ah un’ultima cosa, rispetto al fatto di doversi gestire da soli il lavoro, sul sito ti organizzi anche tutte le ore che hai fatto e devi essere tu a controllare che i pagamenti vengano fatti giusti. 

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VALDITARA NON POTRÀ PATRIARCARE PER SEMPRE! DIMETTITI. VERSO E OLTRE IL 25 NOVEMBRE, PER UNA SCUOLA ED UN’UNIVERSITÀ TRANSFEMMINISTA

Riprendiamo il comunicato di ZAUM: Noi, student3 dei licei e delle università, non possiamo restare in silenzio di fronte alle gravissime dichiarazioni del Ministro “dell’Istruzione e del Merito” Giuseppe Valditara, rilasciate la settimana che precede il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza di genere. Affermazioni che riducono il patriarcato a una “questione ideologica”. Vogliamo […]

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Conflitti Globali

“Li hanno uccisi senza che muovessero un muscolo”: Esecuzioni sommarie, fame e sfollamenti forzati da parte dell’esercito israeliano nel Nord di Gaza

La squadra sul campo dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo ha documentato strazianti episodi di uccisioni sommarie ed esecuzioni extragiudiziali di civili da parte di soldati israeliani, eseguite senza alcuna giustificazione. Fonte: English version Dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i Diritti Umani – 17 novembre 2024Immagine di copertina: Il fumo si alza da un edificio residenziale dopo un attacco israeliano a Beit […]

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Conflitti Globali

Nuova Zelanda: migliaia di indigeni Maori assediano il Parlamento

Dopo poco più di una settimana, la marcia lanciata dal popolo Maori in difesa dei propri diritti è arrivata a Wellington.

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Crisi Climatica

Sardegna: sgomberato il presidio “La rivolta degli ulivi”

Sgombero di polizia in corso questa mattina a Selargius, nel Cagliaritano, del presidio permanente “La rivolta degli ulivi” sorto per contestare il cavidotto elettrico “Tyrrhenian Link” tra Sardegna e Sicilia. 

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Crisi Climatica

Nessun bacino a Saint-Sauvan, uno sguardo sulla marcia popolare e contadina

Sabato 16 novembre 2024, nonostante il freddo e i blocchi stradali della gendarmeria, quasi 1.000 persone hanno manifestato a Saint Sauvant contro i mega bacini e a favore di un’equa condivisione dell’acqua, in risposta all’appello lanciato dai collettivi Bassines Non merci, A l’eau la Vonne e dalla Confédération Paysanne.

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Conflitti Globali

Basta armi a Israele: manifestazione regionale a Torino

Nella giornata di sabato 5000 persone provenienti da tutto il Piemonte si sono radunate a Torino per dare vita ad un ricco e partecipato corteo regionale.