Sciopero in Università: saper cogliere l’occasione
E’ notizia di qualche giorno fa la decisione di migliaia di docenti e ricercatori degli atenei italiani di proclamare uno sciopero in merito alla prossima sessione di esami universitari autunnale.
Lo sciopero riguarderà la sessione di esami dal 28 agosto al 31 ottobre. Con l’astensione i professori sperano di ottenere una nuova legge che porti allo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali per loro e per i ricercatori, fermi dal primo gennaio 2015.
Una decisione senza dubbio d’impatto, che va a colpire un nodo importante della normale riproduzione del funzionamento degli atenei, e che ha come prevedibile provocato la reazione di tanti studenti e studentesse che nei gruppi di facoltà e nelle aule di lezione discutono animatamente delle conseguenze di questa decisione.
Tra chi si comprende le ragioni dello sciopero e chi si lamenta delle sue possibili ricadute si può dire che solo la proclamazione dell’agitazione ha già fatto centro. Il motivo è che viene riaffermato il principio cardine di una pratica come questa: fare male, creare un danno, aprire il dibattito.
Le parole di Renzi e Delrio nelle scorse settimane già avevano mostrato come uno sciopero come quello dei sindacati di base avesse avuto un effetto potente. Gli stessi tentativi di procedere ad una ulteriore regolazione delle possibilità di scioperare sono conseguenti alla potenza della lotta messa in campo, e di questo è necessario che ragioni anche chi sta agendo un percorso di mobilitazione come quello di cui stiamo parlando.
Da decenni il mondo dell’università è attraversato da rapporti di fortissimo ricatto e sfruttamento nei confronti delle sue componenti meno garantite, che hanno però sempre reagito all’interno di dinamiche corporative incapaci poi di costruire rapporti di forza vincenti.
Senza una mobilitazione congiunta con la composizione studentesca, senza un’apertura verso le rivendicazioni che essa esprime e che perdono anch’esse di forza in uno scenario di reciproco isolamento, sarà difficile invertire la tendenza che presiede al dispiegamento ulteriore delle pratiche di governance neoliberale all’interno degli atenei.
Mettere in comune una lotta come questa, parlare di come è concepita e di come funziona l’università oggi può essere anche utile per allargare il dibattito su quali saperi regolano il discorso di una società sempre più immersa nel ricatto e chiusa in sé stessa.
Il rischio contrario è invece di comunicare una sorta di ostilità nei confronti degli studenti, che potrebbero reagire in maniera negativa a partire da un approccio anch’esso corporativo come quello adottato da diverse associazioni studentesche “gialle”, che potrebbero cavalcare l’effettivo danno subito alla carriera accademica degli studenti per chiudere ulteriori spazi di possibilità alle rivendicazioni del copro docente.
In attesa di aggiornare ulteriormente sul tema e di allargare la discussione sullo sciopero, postiamo un commento del CUA di Bologna sulla vicenda. Buona lettura.
BUONGIORNO SCIOPERO DOCENTI!
Più di 5000 docenti degli atenei italiani si stanno organizzando per mettere in piedi uno sciopero che si pone come obbiettivo quello di bloccare (in parte) la sessione di esami autunnale dal 28 agosto al 31 ottobre. Tra questi docenti più di 200 fanno parte dell’Alma Mater Bologna. Il problema è il blocco agli scatti stipendiali dal 2011 al 2015.
Ora qualcuno potrebbe dire che, tutto sommato, viste le condizioni di tantissimi altri soggetti che vivono l’università, si parla qui di “privilegi”. Ma chi ci conosce lo sa, su certe dinamiche preferiamo sempre rifuggire dalle semplificazioni, dai giudizi tranchant. Ci nutriamo delle contraddizioni e nelle contraddizioni ci facciamo largo. Dal nostro punto di vista potremmo dire anche “eppure ve lo avevamo detto”. Lo andiamo dicendo da tempo che sono tante, troppe, le cose che non vanno. E scusateci se lo sottolineiamo, ma siamo rimasti tra i pochi a batterci con tenacia dentro questa macchina distruttiva, sempre più produttrice di ansie ed angosce e non di saperi, che è l’università italiana. E lo abbiamo fatto senza mai soffrire di sindrome da reducismo. Certo qualcuno lo abbiamo incontrato, con tanti non sono mancate reciprocità. Senza dubbio però mai abbiamo visto emergere una vera volontà di uscire dalla cappa asfissiante che si vive nelle aule universitarie, dall’assenza di dibattito critico.
Abbiamo visto lasciar correre, sempre più spesso, sugli attacchi mossi contro gli spazi di dissenso degli studenti e delle studentesse. Grazie al silenzio (non il nostro) sull’applicazione del Codice Etico siamo arrivati alla situazione in cui, in un anno, sono caduti a pioggia sanzioni e sospensioni per chi ha protestato contro l’università. Proprio in questi giorni, infatti, stanno arrivando diversi, nuovi, procedimenti nei confronti di chi l’8 e il 9 febbraio ha manifestato contro l’istallazione dei tornelli nella biblioteca del 36 di via Zamboni. Ma anche su questo vogliamo guardare avanti: ripartiamo dalla solidarietà che comunque si è data. E poiché, probabilmente, anche nei prossimi mesi ce ne sarà bisogno, ci auguriamo che sempre di più si allarghi il fronte dei docenti solidali che permettono agli studenti sospesi di sostenere ugualmente l’esame. Lo si potrebbe leggere anche come monito: si sa che certi meccanismi vengono sperimentati sui piani più bassi ma sono pronti a colpire anche altri. E’ buono tenerlo a mente, soprattutto quando ci si appresta a far emergere il dissenso, come in questo caso.
E tornando allo sciopero, lo ha scritto bene il Cua di Pisa: che questa iniziativa non nasce per noi lo sappiamo. E non nasce, probabilmente, nemmeno per amore dell’università. Ma non possiamo che essere contenti che anche altri vogliano, almeno per un momento, bloccare un sistema pensato e costruito contro di noi, contro le nostre vite.
Su un livello più alto della governance si aprono delle contraddizioni. A dimostrazione che per chi governa le università italiane il terreno non è affatto liscio. A noi il compito di esasperarle. E a contraddizione aggiungere contraddizione.
Il piatto piange: c’è il blocco agli scatti stipendiali dei docenti e c’è tanto altro ancora. Che nell’Ateneo bolognese ci siano tutta una serie di problematiche legate alla mancanza di fondi per il diritto allo studio e il welfare lo diciamo da tanto tempo. E allora noi ci siamo e ci saremo. Pronti a mettere il “carico da 11”: sulla mensa più cara d’Italia, sugli spazi e sulle biblioteche, su servizi e welfare, sui ritmi di studio e sui saperi. E ci sembra che la forza non ci manchi affatto.
Questa volta non possiamo non convenire: bloccare questa macchina per metterne in discussione il funzionamento, per trasformarla. E’ questa la necessità.
L’ultimo pensiero lo dedichiamo ai nostri colleghi, ai tanti studenti e alle tante studentesse che abbiamo incrociato in queste ore, molti di quali ci hanno espresso la loro preoccupazione: non viviamo questo evento come l’ennesima occasione di ansie ed angosce, ma come spazio di possibilità. Qui non può risolversi tutto nella speranza che non salti un appello. Oggi c’è l’ansia per l’esame posticipato, domani ci sarà l’angoscia per lo stage non retribuito e poi di nuovo l’ansia per il contratto rinnovato di 3 mesi in 3 mesi per un lavoro di merda e poi ancora l’angoscia per non avere i soldi per il concerto a cui tenevo tanto o per l’aperitivo con gli amici. Insomma, non è un esame in più o meno che ci sottrarrà a questo ciclo opprimente in cui siamo attanagliati, alle condizioni di vita imposte che prima ancora del futuro già ci negano il presente.
Allora qui c’è bisogno di una cesura, di un taglio netto. Come dicevamo prima, di bloccare per trasformare radicalmente. E ogni contraddizione che si apre può essere occasione. Cogliamola!
Noi ci siamo, ci siamo sempre stati. Ci vediamo in strada, nelle aule, nelle biblioteche, e perchè no, a ricevimento…
Collettivo Universitario Autonomo Bologna
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