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London is burning: un rogo di classe

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Tratto da I Diavoli.com

Londra è una città rigidamente divisa in classi sociali e bantustan etnici, compartimenti stagni tanto sovrapponibili quanto impossibili da esondare. Mentre l’inchiesta giudiziaria stabilirà quale è stata la scintilla che ha materialmente scatenato le fiamme alla Grenfell Tower, i motivi dell’incendio già li conosciamo. Il rivestimento, usato per rendere digestibile la visione di questo palazzone agli abitanti dei quartieri ricchi ha preso fuoco in meno di cinque minuti.

 

“London’s burning! London’s burning! All across the town, all across the night” vomita nel microfono la voce rabbiosa di Joe Strummer nel lontano 1977, quando per dare l’assalto al cielo il proletariato metropolitano inventa nuove pratiche di sabotaggio che esondano dai luoghi del lavoro.

Quarant’anni dopo, quando i luoghi del lavoro sono scomparsi o sono stati delocalizzati, e il proletariato metropolitano è stato definitivamente sconfitto nella lotta di classe condotta dall’alto contro i poveri, Londra brucia di nuovo.

“Brucia la città, brucia per tutta la notte”. E’ un rogo di classe.

Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower, grattacielo di edilizia popolare della zona di Hammersmith.

Brucia per tutta la notte Grenfell Tower, e il proletariato urbano crepa, arso vivo o soffocato dal fumo. O lanciandosi dalle finestre.

Sopravvive un bambino che si lancia dal decimo piano. A decine ne muoiono. A decine sono scomparsi, a decine ricoverati in codice rosso.

Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower, brucia perché i ricchi tutt’intorno non sopportavano di vedere quel grattacielo i cui muri si stavano scrostando.

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Durante gli ultimi lavori di riammodernamento il grattacielo è stato ricoperto di un rivestimento a basso costo e altamente infiammabile. “Perché migliori l’aspetto esteriore [dell’edificio] quando è osservato dai quartieri limitrofi”, come è scritto nei documenti del consiglio di zona che ha approvato i lavori nel 2014.

Documenti che insistono, in maniera parossistica, sulla “questione dell’aspetto esteriore”, “dell’apparenza”. Documenti che spiegano chiaramente come sia fondamentale proteggere “la condizione di vita dei quartieri limitrofi”, ovvero le enclavi del lusso di Ladbroke e Avondale, e in generale l’intera zona gentifricata e privilegiata di West London, che deve essere “protetta” dalla vista di quel mostro.

Per questo è messo quel rivestimento povero, strati di alluminio e poliuretano altamente infiammabili e dall’effetto di camera a gas. Per risparmiare. Per non disturbare la vista dei ricchi.

Grattacielo di 80 metri di altezza, 24 piani, 120 appartamenti capaci di contenere dalle 400 alle 600 persone, la Grenfell Tower viene costruita nel 1974 grazie al piano di edilizia popolare del già ricco Royal Borough of Kensington and Chelsea, in un’appendice di disagio urbano e melting pot fallito che sconfina oltre la Westway (la tangenziale ovest) nella zona povera e meticcia di Hammersmith.

Sono gli anni in cui a Ladbroke Road e Portobello Road le seconde e terze generazioni di immigrati caraibici si rivoltano contro la segregazione economica razziale. Gli anni in cui The Clash in White Man In Hammersmith Palais invocano la ribellione del proletario contro le false promesse del welfare state.

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“White youth, black youth, better find another solution. Why not phone up Robin Hood, and ask him for some wealth distribution”, vomita nel microfono la voce sarcastica di Joe Strummer nel 1977. Non sarà il welfare state a salvarci, gli alloggi popolari a rendere la nostra vita degna. Scendiamo in piazza tutti insieme. Ribelliamoci. E i riots esplodono a Notthing Hill e Lewisham, Handsworth e Brixton.

Ma poi i ricchi vincono la lotta di classe. Lo stile punk è sussunto e canonizzato da un punto di vista estetico. La gentrificazione trasforma il mercato di Portobello e le zona di Hammersmith e Shepherd’s Bush in luoghi di culto, set di film e di spot pubblicitari.

I prezzi delle case aumentano a dismisura. I poveri sono cacciati.

Quelli che restano finiscono bruciati vivi.

Dal 1977 al 2017, la zona di Hammersmith ha subito una profonda trasformazione. Il centro commerciale di Westfield attrae ogni giorno decine di migliaia di visitatori e turisti altolocati. Tutto intorno Londra Ovest trasuda ricchezza e benessere. Le risacche di proletariato urbano, le escrescenze di povertà, sono sempre meno.

Quelle che restano vanno nascoste alla vista.

Lo fece anche la sanguinaria Junta Militar argentina quando ospitò i Mondiali di Calcio del 1978, innalzò a Buenos Aires un muro che nascondesse la miseria dei quartieri poveri agli occhi dei tifosi e dei giornalisti che dall’Europa giungevano per raccontare l’evento. Perché non deve farlo il democratico Royal Borough di Kensington & Chelsea per proteggere i turisti del lusso, i giovani designer, i producer, i lavoratori della City che scelgono West London come buen ritiro dopo una lunga giornata di lavoro?

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Nel 2014 il KCTMO – Kensington and Chelsea Tenant Management Organisation (il dipartimento di urbanistica e gestione dell’edilizia popolare del quartiere di Kensington ndr.) – decide di avviare i lavori di riammodernamento del Grenfell Tower.

Vengono aggiunte alcune unità abitative, un nuovo ingresso, un asilo nido e una palestra di boxe. E’ rifatta completamente l’intera facciata dell’edificio, finestre dai doppi vetri, nuove condutture del gas. Un rivestimento impermeabile e, soprattutto, capace di riflettere negli occhi degli opulenti vicini una visione meno disgustosa della povertà. Capace di attenuare il disgusto per quei migranti – due sono italiani, Marco e Gloria, scomparsi – ammassati nel grattacielo.

Il KCTMO affida quindi i lavori, per un costo complessivo di 10 milioni di sterline, alla compagnia Rydon, che sul suo sito si vanta di aver offerto all’edificio “un look più fresco e moderno”.

Sempre Rydon racconta come Nick Paget-Brown, membro del Partito Conservatore e Presidente del consiglio di zona di Kensington & Chelsea, dopo una visita a lavori conclusi nel maggio dello scorso anno, si complimenti di come “in prima istanza il rivestimento del grattacielo ha migliorato il suo aspetto esterno”.

Ma come successe nel 2009 al Lakanal House di Southwark, anche qui qualcosa è andato storto.

Mentre l’inchiesta giudiziaria stabilirà quale è stata la scintilla che ha materialmente acceso il rogo di classe nella notte londinese, i motivi dell’incendio già li conosciamo. Il rivestimento, usato per rendere digestibile la visione di questo palazzone agli abitanti dei quartieri ricchi ha preso fuoco in meno di cinque minuti.

Lo spazio tra gli strati di alluminio e poliuretano ha alimentato le fiamme e mantenuto in circolo il gas.

Londra è una città rigidamente divisa in classi sociali e bantustan etnici, compartimenti stagni tanto sovrapponibili quanto impossibili da esondare. E il resto del paese è pure peggio. Chiunque parli o scriva di multiculturalismo e integrazione non è mai stato a Londra. O non l’ha mai capita.

Quando però “brucia la città, brucia per tutta la notte”, non si può fare finta di niente.

E così anche i tabloid più diffusi, che lavorano per i ricchi e sono comprati dai poveri, fulgido esempio di come la lotta di classe l’abbiano vinta i primi, sparano in prima pagina le iniquità sociali che hanno prodotto il disastro.

The Sun intervista Arnold Tarling. “Il rivestimento dall’esterno sembra molto carino, ma è composto di materiali di pessima qualità e strutturato in maniera assolutamente eccepibile, anche se i regolamenti lo permettono – dice l’esperto di sicurezza -. Quel rivestimento è un killer silenzioso. Questa era una tragedia che doveva solo accadere. I pannelli infiammabili e il rivestimento per abbellire la facciata hanno funzionato da camino”.

Il Daily Mail racconta di come Rydon, l’azienda che ha ottenuto l’appalto da 10 milioni dal Royal Borough di Kensington & Chelsea, abbia subappaltato i lavori della facciata al prezzo di 2,6 milioni di sterline a Harley Curtain Wall, compagnia dell’East Sussex che ha dichiarato fallimento due anni fa – e per questo non è perseguibile – per essere stata condannata a risarcire dei lavori fatti male, salvo essere stata subito inglobata nella Harley Facades Limited, il cui azionista di maggioranza è sempre Raymond Bailey.

Tutti sono concordi. I lavori di riqualificazione sono stati fatti al risparmio. I lavori di ammodernamento servivano solo a nascondere la povertà.

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Londra è una città rigidamente divisa in classi sociali e bantustan etnici. L’uomo è scomparso. La città crudele ha divorato i suoi abitanti, il ghetto li ha digeriti.

Da una parte le gated communities per ricchi, dall’altra le zone per poveri, e quando i secondi disturbano le prime, vanno eliminati.

Poco dopo la mezzanotte del 15 luglio 2017, dalle finestre, dalle terrazze e dai giardini dei loro appartamenti di lusso, negli occhi degli abitanti Kensington finalmente riposati e felici, messi al riparo dalla brutture dell’edilizia popolare, si è accesa la fiamma purificatrice della lotta di classe dall’alto.

Black people gotta lot a problems, but they don’t mind throwing a brick. White people go to school, where they teach you how to be thick” implora nel microfono la voce rabbiosa di Joe Strummer nel lontano 1977, invocando una White Riot, una ribellione del proletariato meticcio, bianchi e neri uniti.

Ma la rivoluzione bianca è stata quella della Maggie’s Farm thatcheriana e della Cruel Britannia blariana, della vittoria dei principi di competizione e alla concorrenza intraspecifica stabiliti dalla scuola ordoliberale. Come il ceto medio è diventato proletario, così il bianco povero si è fatto negro. Per essere arso vivo.

Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower. Mentre Joe Strummer è morto, The Clash non li ascolta più nessuno e le lotte del 1977 sbiadiscono e scompaiono in questo atroce 2017.

Perché oggi è il pubblico, lo Stato, ad avere fatto suoi quei principi di competizione e concorrenza. Come ha buon gioco a spiegare oggi Rydon: “Tutti i lavori sono stati eseguiti seguendo le norme previste dalla legge”. E’ la legge che prevede che al proletariato urbano non siano concessa una vita dignitosa e una morte decente. E’ la burocrazia kafkiana che ha stabilito che i ricchi hanno vinto la lotta di classe contro i poveri.

Lo spiega David Collins, membro del Grenfell Action Group, il comitato di abitanti dell’edificio costituitosi oramai diversi anni fa.

“Abbiamo avvisato più volte il KCTMO di come durante i lavori di abbellimento della facciata non siano state tenute minimamente in conto tutte le problematiche riguardanti la sicurezza dell’edificio in caso di incendio – dice Collins a The Guardian – Abbiamo consegnato una petizione firmata da oltre il novanta percento degli abitanti. Il dipartimento non ci ha mai risposto”.

Sullo stesso quotidiano gli fa eco Judith Blakeman, consigliere di zona e membro del KCTMO.

“Ho consegnato personalmente al dipartimento e al comune almeno 19 richieste di chiarimenti di singoli abitanti, e non mi è mai stato risposto, così come durante i lavori ho richiesto più volte un sopralluogo indipendente per verificare la qualità dei tubi del gas e della tenuta della facciata in caso di incendio. Ovviamente non mi è mai stato risposto”.

Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower, grattacielo di edilizia popolare della zona di Hammersmith.

Brucia per tutta la notte Grenfell Tower, e il proletariato urbano crepa, arso vivo o soffocato dal fumo. O lanciandosi dalle finestre.

E tutti lo sapevano.

Brucia per tutta la notte la Grenfell Tower, brucia perché i ricchi tutt’intorno non sopportavano di vedere quel grattacielo i cui muri si stavano scrostando. Disturbava il loro senso estetico.

La Grenfell Tower è una trappola di fuoco. Lo scrivono lo scorso novembre gli abitanti di questo inferno di cristallo sul sito del Grenfell Action Group.

Cassandre inascoltate lanciano l’allarme sulle “pericolose condizioni di vita all’interno del palazzo”. E aggiungono: “E’ terrificante a dirsi, ma siamo convinti che solo una catastrofe potrà mettere a nudo l’inettitudine e l’incompetenza del nostro padrone di casa, il KCTMO”.

“Brucia la città, brucia per tutta la notte”. E’ un rogo di classe.

 

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