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A proposito di immigrazione…

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La Seconda internazionale (1889-1916) era un raggruppamento internazionale di partiti socialisti a cui partecipò anche Engels nei suoi ultimi anni di vita. Nel 1907 tenne il suo settimo congresso mondiale a Stoccarda, tra i punti in discussione c’era la questione dell’emigrazione e dell’immigrazione. I delegati statunitensi vi si recarono con un piglio battagliero perché al congresso precedente, ad Amsterdam (1904), dove c’erano stati i primi battibecchi tra due posizioni contrapposte, si era deciso di rinviare a Stoccarda ogni decisione sulle politiche migratorie, per lasciare tempo alle sezioni nazionali di rifletterci sopra. Solo che in America l’internazionale aveva diverse sezioni rivali tra loro; in particolare il Partito socialista (Sp) di Morris Hillquit e il più radicale Partito socialista del lavoro (Slp) di Daniel DeLeon, che sugli immigrati la pensavano in due maniere differenti.

Per capire il livello di simpatia e fair play che c’era tra i due: l’International Socialist Review, che faceva riferimento all’Sp, parlava di DeLeon in questi termini:

Prese tutte queste cose in considerazione, sembra pressoché inevitabile la conclusione che DeLeon stia giocando la parte di una spia capitalista nei ranghi socialisti.

Scaldando i motori per Stoccarda, sulla stessa rivista scrive così Morris Hillquit in persona:

Una delle questioni importanti lasciate in sospeso dall’ultimo Congresso sociale [sic] internazionale è stata l’atteggiamento del socialismo verso l’immigrazione. Il tema era nuovo quanto ampio, e ha trovato i delegati impreparati a occuparsene in maniera intelligente e soddisfacente. Delle due risoluzioni proposte, quella stesa dalla commissione si dichiarava, in pratica, a favore dell’immigrazione di manodopera senza restrizioni, mentre l’altra, proposta da molti rappresentanti dell’Olanda, dell’Australia e degli Stati Uniti, dava voce all’opposizione del movimento operaio organizzato all’importazione nei paesi avanzati di lavoratori di razze arretrate, come i coolie cinesi e africani.

Coolie – un nome dal suono infelice in italiano – è un termine considerato dispregiativo per altre ragioni anche in inglese. Sono in pratica degli “sgobboni”, tipicamente indiani, cinesi o africani, che lavorano in condizioni semischiavili perché, per esempio, sottoposti a servitù debitoria o ad altre forme di contratto-capestro. Ci sono oggi migliaia di lavoratori sikh nei campi dell’Agro pontino, provenienti dal subcontinente indiano, immigrati legalmente, che subiscono condizioni simili e hanno organizzato alcuni degli scioperi più importanti delle comunità asiatiche in Italia.

Hillquit continua fornendo molti dati sull’immigrazione di quegli anni negli Stati Uniti proveniente dall’Europa. Parla dei migranti europei di tipo economico e anche dell’emigrazione politica (profughi) dalla repressione in Francia e Germania, e quella degli ebrei perseguitati in tutto il vecchio continente. Questi migranti per lui vanno bene. Poi, però, ci sono i migranti sui barconi…

L’immigrazione per queste cause rappresenta un movimento naturale e spontaneo, e dev’essere meticolosamente distinto dall’immigrazione stimolata di proposito e artificialmente.

Infatti, una considerevolissima porzione dell’immigrazione americana è prodotta con mezzi artificiali e senza scrupoli, e le maggiori colpevoli a tal riguardo sono le compagnie di battelli a vapore transatlantici. Il giro d’affari delle traversate in piroscafo è cresciuto enormemente negli ultimi decenni, e si dice che oltre centoventicinque milioni di dollari siano investiti nelle principali linee navali. […] Il ruolo delle compagnie di piroscafi e dei loro agenti nell’indurre l’emigrazione non è generalmente riconosciuto o considerato, perché nel grosso dei casi è condotto clandestinamente…

Il “complottismo navale”, a quanto pare, andava forte anche più di un secolo fa. Anche oggi Partito democratico e Lega (con rispettive sinistre di destra al seguito) si dividono nel sostenere due diverse teorie complottiste: secondo il centrosinistra le traversate di migranti nel Mediterraneo sono l’opera degli elusivi “scafisti libici”; secondo la destra a tirare i fili di tutto sono invece le flotte delle Ong finanziate dal diabolico Soros. Per rispondere ai primi basterebbe segnalare che migliaia di migranti arrivano anche via terra, senza necessariamente doversi rivolgere a scafisti (nel primo trimestre del 2018 sono state contate 4.046 entrate via terra irregolari in Europa, il ventuno per cento del totale).Per rispondere ai secondi si osservi che le Ong dal 2014 al 2017, prima della “stretta” salviniana, non hanno avuto nessun ruolo nell’ottanta per cento dei salvataggi in mare, che sono stati eseguiti in maggioranza da navi statali.

Hillquit prosegue spiegando la posizione della borghesia e dei sindacati maggiori in America rispetto all’immigrazione. Ma guarda a volte le coincidenze, scopre che la pensano in maniera simile: gli uni e gli altri si sono messi da alcuni anni a fare la guerra agli immigrati («È così capitato che sulla questione dell’immigrazione gli interessi apparenti del movimento operaio […] hanno largamente coinciso con quelli delle classi padronali»).

In questo modo sono passate molte leggi restrittive, in particolare contro i piroscafi, i cinesi e gli anarchici. Del complottismo sui piroscafi si è già detto. I cinesi sono stati esclusi, spiega Hillquit, in seguito a proteste contro l’immigrazione cinese in California, condivise da un partito di sinistra, con lo slogan «Via i cinesi!». Gli immigrati anarchici sono stati banditi perché nel 1901 un anarchico (nato nel Michigan!) aveva ucciso il presidente McKinley. Hillquit lo dice tenendo le distanze dagli atteggiamenti razzisti dei padroni e della burocrazia opportunista dei sindacati. Però…

E bisogna ammettere che l’atteggiamento poco amichevole del movimento operaio americano verso l’immigrazione non è interamente infondato, per lo meno per quanto riguarda l’aspetto economico della faccenda.

Riecco tirar fuori con circospezione la calcolatrice per giustificare una posizione, di fatto, xenofoba. La circospezione prosegue quando il socialista americano va a esporre la propria posizione sul tema: prima di arrivare al tasto dolente, fa tutta una serie di premesse: non bisogna essere di strette vedute, l’immigrazione non sarà un toccasana ma i suoi effetti negativi vengono esagerati, in fondo anche gli immigrati allargano mercato e sviluppano l’economia, dopo un po’ si integrano e si iscrivono anche al sindacato. Del resto, la distinzione tra autoctoni e immigrati nel caso americano è molto relativa, visto che la popolazione del paese è quasi esclusivamente di recente origine straniera. Però… (tenetevi forte)

Però, se i socialisti non possono condividere tutti i punti di vista in voga nel movimento operaio organizzato sull’immigrazione, nemmeno possono permettersi di ignorarli del tutto.

Le considerazioni suindicate si applicano solo all’immigrazione prodotta naturalmente e normalmente dalle vigenti condizioni economiche […]. Ma va applicato uno standard totalmente diverso agli altri aspetti dell’immigrazione menzionati in questo articolo. […] la maggioranza dei socialisti americani si schiera con i sindacati nella loro rivendicazione che siano esclusi i lavoratori di quelle razze e nazioni che non sono ancora state tratte nella sfera della produzione moderna, e che sono incapaci di assimilarsi coi lavoratori del loro paese d’adozione e di unirsi alle organizzazioni e alle lotte della propria classe. Questa rivendicazione è un’espressione diretta del naturale istinto di autoconservazione.

Quali razze di preciso vadano incluse in questa categoria è una questione che può essere decisa solo di volta in volta […] Anni fa i lavoratori cinesi in California furono dichiarati per consenso generale immigrati indesiderabili, e recentissimamente si è sollevata la medesima questione in riferimento ai lavoratori giapponesi.

Insomma, guarda caso, i bersagli di Hillquit sono gli stessi della legge americana vigente in quegli anni: piroscafi e cinesi . Tutto soddisfatto di questo bell’articolo, Hillquit si fionda in Germania al congresso, convinto che gli europei accoglieranno le sue osservazioni. Ci si reca, presumo, proprio in piroscafo.

Il 19 agosto inizia il dibattito. Tra gli extraeuropei gli australiani, come già tre anni prima, gli danno corda e anzi rilanciano con una posizione ancora più estrema: un certo Trömer si scaglia contro l’immigrazione asiatica e dice anche che per fortuna pubblicando una lettera sull’Avanti! sono riusciti a fermare l’immigrazione dall’Italia (falso, visto che proprio in quegli anni si ebbero diversi insediamenti italiani in Australia e molti casi di razzismo anti-italiano; oggi gli italo-australiani sono circa un milione).Una posizione simile la prende il delegato sudafricano (bianco).

Tra i socialisti europei, tuttavia, queste posizioni criptorazziste non attaccano. I francesi avanzano una proposta fortemente antirazzista e “open border”. Il compagno Dier dall’Ungheria fa notare che il trattamento che Hillquit e Trömer stanno riservando alla “razza gialla” avrebbe potuto pochi anni prima applicarsi agli immigrati ungheresi negli Usa, che sembravano impossibili da sindacalizzare; invoca «libera emigrazione e libera immigrazione» e i verbali registrano «applausi vivaci».Sulla stessa linea si esprimono compagni dalle delegazioni austriaca, rumena, svizzera, inglese, russa, olandese, polacca, galiziana, italiana («Siamo contro i controlli sull’emigrazione», dice poeticamente un certo compagno Balère, «poiché sappiamo che la frusta della fame che schiocca dietro gli emigranti è più forte di qualsiasi legge fatta dai governi»). Solo il tedesco Käplow si schiera con Hillquit, che invece è prevedibilmente e aspramente criticato anche dal delegato Hammer dell’altro partito americano rivale (il Partito socialista del lavoro di DeLeon).

Il colpo di grazia, tuttavia, l’aveva già dato il compagno Kato Tokijiro. Me lo immagino salire al piedistallo per prendere la parola, tacere un secondo e guardarsi attorno lentamente, fissando uno per uno, attraverso il taglio stretto degli occhi, i delegati, quasi tutti bianchi, quasi tutti maschi. Fa un sospiro profondo, non guarda gli appunti e parla a braccio.

Come rappresentante dei socialisti giapponesi, io devo proprio prendere la parola su questa specifica questione. Gli americani ci hanno deportato dalla California e l’hanno giustificato in due modi: primo, che i lavoratori giapponesi deprimerebbero i salari e le condizioni di vita dei lavoratori locali; e, secondo, che sottraggono tutte le opportunità di lavoro. Devo sottolineare che non sono soltanto i giapponesi, ma anche gli italiani, gli slovacchi, gli ebrei ecc. che fanno questo. Io chiedo dunque: come mai sono solo i lavoratori giapponesi a essere espulsi? Ci sembra che qui giochi un ruolo il razzismo, che gli americani siano influenzati dalla paura del cosiddetto “pericolo giallo”. La storia della nazione americana conferma questo punto di vista.

Una causa supplementare sembra essere che i capitalisti americani stanno cercando di ingannare i loro lavoratori. I giapponesi vivono sotto la pressione del capitalismo così come gli altri popoli, e solo la disperata necessità ci spinge fuori dalla nostra terra natia per cercare fortuna all’estero.

È compito dei socialisti accogliere questi fratelli poveri, prendersi cura di loro e combattere il capitalismo insieme. Il fondatore del socialismo, Karl Marx, non guardava a questa o quella nazione, ma a tutte le nazioni. L’internazionalismo è scritto sulla nostra bandiera, e sarebbe uno schiaffo in faccia al socialismo se i poveri sfruttati dal Giappone venissero esclusi.

E qui il verbale dice «vivaci applausi prolungati». Per molti di loro è il primo giapponese con cui avessero mai avuto a che fare. Kato Tokijiro torna al suo posto, qualcuno gli stringe la mano, qualcuno gli dà una pacca sulla spalla. La risoluzione giusta passerà.

Al ritorno in America, con la coda tra le gambe, Hillquit fa rapporto su come è andata a finire.

La questione dell’immigrazione è stata un’altra in cui gli Stati Uniti sono interessati al massimo grado – molto di più, in effetti, che ogni altro paese preso singolarmente, e quasi quanto tutti gli altri paesi presi assieme. Eppure nel suo complesso la risoluzione è stata formulata da altri paesi che non hanno veramente un problema di immigrazione e che l’hanno affrontata da un punto di vista quasi totalmente dottrinario.

Il Congresso è stato decisamente contrario a tutte le restrizioni dell’immigrazione basate su distinzioni razziali o nazionali, e ha acconsentito solo a restrizioni per il lavoro contrattato [tramite agenzie] e per i crumiri professionisti.

Quando si dice saper perdere!

Guarda “[LA SEGUNDA INTERNACIONAL] Historia del movimiento obrero“:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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