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Evasione da Treviso

2 gennaio 1977

Domenica 2 gennaio 1977, Treviso, carcere di Santa Bona: un detenuto della sezione penale simula un malore e con altri nove prigionieri riesce a prendere in ostaggio una decina di guardie.

Un centinaio di metri più in là, dove sono rinchiusi i detenuti politici, altri tre carcerati, estratti i coltelli, costringono i secondini a farsi aprire il cancello della sezione. Tra essi c’è anche Prospero Gallinari, esponente delle Brigate Rosse, arrestato tre anni prima a seguito del sequestro del giudice Mario Sossi, militante neofascista nonché uno dei più ferventi persecutori della sinistra extra parlamentare.

L’evasione dura pochi minuti, che però sembrano infiniti: prima si prende l’infermeria, poi il dormitorio delle guardie, e infine si arriva finalmente all’intercinta. I tredici detenuti impugnano armi e fucili dalla rastrelliera, rinchiudono le guardie in una cella e fuggono, chi in motorino, chi a piedi.
Il venticinquenne Gallinari, insieme ad altri sei, sale su una NSU Prinz ferma al semaforo, e dopo una serie rocambolesca di cambi di mezzi di trasporto giunge con due compagni a Padova.
Dopo alcuni mesi di soggiorno forzato nella città veneta, Prospero torna nella sua Torino, ma viene ben presto assegnato dall’organizzazione alla colonna romana, della quale farà parte fino al suo nuovo arresto, nel settembre del 1979.
Il progetto del lavoro politico che svolgerà nei due anni seguenti è da una parte una campagna contro l’uso controrivoluzionario dei mezzi di informazione, e dall’altra un attacco sistematico al partito della Dc, già individuata dalla Brigate Rosse come nucleo ed artefice dell’apparato statale ed è ben sintetizzato in un documento che verrà reso pubblico nel mese di novembre del ’77: ” Attaccare, colpire, liquidare la Democrazia Cristiana, asse portante della ristrutturazione dello Stato e della controrivoluzione imperialista”.
In questo contesto si delinea, tra la fine del ’77 e l’inizio del ’78, il progetto del sequestro di Aldo Moro, cui Prospero Gallinari prende parte attiva sia nella fase operativa dell’assalto di via Fani, sia nei cinquantacinque lunghi giorni del rapimento, durante i quali è uno degli inquilini di via Montalcini.
I mesi successivi al sequestro sono scanditi dal tentativo di ripresa di lavoro politico, e vedono la colonna romana e le Brigate Rosse tutte impegnate in attacchi contro la Confindustria e gli industriali, inchieste sui commissariati di polizia, azioni di propaganda ed attività contro le carceri speciali.
Gallinari viene arrestato per la seconda volta a Roma il 24 settembre 1979, mentre sta montando una targa falsa su un’auto rubata: nel conflitto a fuoco con le forze dell’ordine viene ferito gravemente alla testa.
Condannato a tre ergastoli, la pena gli viene però commutata in detenzione domiciliare a causa di motivi di salute dopo diciassette anni passati nelle carceri speciali.
Da queste carceri, alla fine degli anni Ottanta, escono numerosi documenti che portano la firma dei brigatisti detenuti, documenti di analisi politica e di richiesta di rivisitazione degli anni Settanta: nell’87 dichiarano chiusa la loro esperienza di lotta armata e negli anni successivi scrivono che “fu lo Stato a dichiarare guerra”, ma che ormai “la guerra è finita, lo Stato ha vinto”.

Prospero Gallinari è autore, nel 2006 di un testo autobiografico “Un contadino nella metropoli”, nel quale tra l’altro descrive, da protagonista, i momenti in cui il progetto brigatista entra in crisi ed egli vede avvicinarsi la sconfitta ma, a differenza di altri, continua ad assumersi la responsabilità delle scelte di vita, pur con la lucida consapevolezza che una storia è finita.

Ascolta l’audio di radiondadurto sulla vicenda:

Guarda “PROSPERO GALLINARI Una storia del novecento, parte 1”:

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