Intervista con un operaio Alfa Romeo
La disobbedienza all’Alfa ha raggiunto livelli molto alti, ma permangono differenze legate al tipo di lavorazione. La proposta di inchiesta operaia vuol portare in luce tutti i tipi di situazione legate alla tematica del comando.
La nostra è una società gerarchica, tutto è organizzato in base a gerarchie ; la divisione del lavoro, la divisione del potere, la distribuzione della ricchezza. Nella società sappiamo chi comanda o meglio pensiamo e cerchiamo di saperlo. Ma nella fabbrica chi è che realmente, concretamente comanda, qual’è L’organizzazione del comando dentro l’azienda, cos’è cambiato dal 1968 ad oggi? Con chi l’avanguardia e l’operaio di base, della catena, viene a diretto contatto e chi c’è gerarchicamente sopra di lui? Chi lo costringe a stare ottodieci ore al suo posto di lavoro senza muoversi per più di dieciventi minuti?
Chi è che controlla e reprime il compagno, non del PCI, ma quello che propone una strategia di lotta differente? Il controllo e comando sull’operaio dentro l’azienda ha tre momenti:
1. controllo della produzione e disciplina sul lavoro;
2. controllo di un comportamento «prepolitico»: manifestazioni di scontentezza, assenteismo, dissenso aperto;
3. controllo del comportamento politico: partecipazione a scioperi, comportamento e partecipazione ai cortei interni, discussioni nel reparto e altre manifestazioni politiche generali. Per conoscere qual’è la situazione nelle aziende su questi aspetti non abbiamo alcuna documentazione né pubblicazione.
Esistono molti studi, più o meno validi, sull’organizzazione del lavoro: taylorismo, neo-taylorismo, rotazioni delle mansioni, job evolution, ecc. Ma questi studi – fatti anche dal sindacato – con l’apparente scopo di alleviare il lavoro operaio, o addirittura ridurre l’alienazione, in pratica servono a far sì che l’operaio abbia condizioni migliori per produrre di più. Non partono dalla logica delle necessità individuali, sociali e politiche dell’operaio, ma dalla logica della produzione. Mancando una qualsiasi base di analisi, di inchiesta operaia sull’argomento dell’organizzazione del comando dentro l’azienda ci proponiamo di iniziare questo lavorò. Proprio per la caratteristica dell’uscita quindicinale del giornale ciò e possibile. L’inchiesta dovrebbe avere tre indirizzi:
1. quello della conoscenza degli organismi (nuovi) proposti dalla direzione del personale (es. Alfa e Alemagna, quest’ultima con la commissione antiassenteismo);
2. il ruolo del delegato del PCI a livello di controllo politico e del comportamento (come ad esempio alla Siemens).
3. un momento d’inchiesta più diretta, meno razionalizzata a livello politico, sull’operaio (giovane) che vorrebbe esprimere comportamenti e ideologie differenti e si sente represso a priori. Negli anni ’60 fino al ’69-70, il controllo e il comando sull’operaio avvenivano attraverso le guardie e i capi reparto, in altre situazioni invece attraverso le assistenti sociali, sociologi, psicologi.
Nella direzione del personale erano previsti una serie di personaggi (diretta espressione della direzione), che controllavano e reprimevano direttamente l’operaio. Le guardie giravano per i reparti, i capi davano multe, se l’operaio staccava prima del tempo trovava la guardia nello spogliatoio che lo spiava. Ora non è più così, ma nonostante la diminuzione (apparente) del controllo, l’operaio non si muove dal suo posto di lavoro (o si muove sempre poco) non stacca prima del tempo, politicamente non può esprimere comportamenti e idee «troppo rivoluzionari». Nel reparto le due figure che sono allo stesso livello gerarchico sono il capo e il delegato. Ma come avviene questo controllo? Individualmente come lo subisce? Quali strumenti di risposta collettiva si devono dare? Riproduciamo qui di seguito ciò che ci ha detto un compagno dell’Alfa di Arese sulla situazione da lui vissuta nel suo lavoro alla catena. «Per spiegarti qual’è la mia opinione sull’argomento ti racconterò l’esperienza del controllo che subisco quotidianamente. Alcuni giorni fa ad esempio c’è stato lo sciopero di un’ora con corteo interno (che dura un’ora e mezza). Al mio rientro ho trovato un gran casino… il lavoro era andato avanti. Ho cercato di spiegare che il corteo era durato di più, ma nessuno voleva capire, tutti dicevano che far politica non era compito mio ma del delegato. Quindi vedi che una delle funzioni del delegato è quella di impedire che l’operaio si occupi di politica. Per dirti un altro aspetto che il delegato assolve: ho una scatola con un solvente che sta per staccarsi, sono già alcune volte che lo faccio presente al capo, se il solvente si rovescia è nocivo. Il capo dovrebbe metterlo a posto e non lo fa. A questo punto io vado dal caporesponsabile o dal delegato. E poi il delegato va dal capo. Chi diventa delegato ha naturalmente uno stretto rapporto con il capo reparto: i nostri due delegati (PCI) fanno spesso i corridoi insieme al capo. Spesso parlano insieme. Il delegato non è una forza effettiva, si serve della forza passiva e non di mobilitazione degli operai di linea. Il capo e il delegato si mettono sempre d’accordo.
Ti parlo della mia esperienza, in altre situazioni può essere diverso, ma da noi il delegato meno si occupa di politica meglio è. Deve solo eseguire gli ordini del PCI. A questo proposito la presenza del partito dentro la fabbrica è molto pesante. Ormai utilizza l’arma della calunnia. Anche nel linguaggio, basti pensare che per definire una persona in termini spregiativi, una specie di teppista, si dice «è un rivoluzionario» . Anche il momento elettorale è completamente sputtanato. Vi è una tendenza ad eleggere il delegato precedente. Oppure viene eletto per amicizie o conoscenze, oppure (caso più frequente) gli attivisti del partito sparsi per tutta la linea passano la parola e si vota chi vogliono loro. Inoltre vi è una grossa differenza fra le elezioni dei delegati del 69-70 e le attuali. Ora ci sono delle forze (PCI, CISL, CGIL) che vogliono spartirsi i delegati. I delegati del nostro reparto non solo impediscono che si sviluppi una discussione autonoma, dei momenti politici spontanei, ma a loro stessi non interessa la politica, sono dei semplici funzionari. A tutto questo aggiungi poi il fatto di situazioni in cui chiaramente l’organizzazione sindacale si scopre, com’è successo nel famoso episodio di Lettieri e Breschi nell’ufficio di Cortesi durante un corteo interno. Ma il fatto non è tanto che avrebbero dovuto essere con noi o in piazza Duomo alla manifestazione, ma che quando ci hanno sentiti arrivare si sono nascosti nei cessi e abbiamo dovuto scoprirli noi se no non uscivano. Per concludere io non mi posso muovere dal poste di lavoro, mi è difficile discutere, e, ad esempio non potrei mai essere eletto delegato. Quindi la gerarchia del comando – come la chiami tu – anche se meno visibile di una volta, senza guardie che girano per i reparti è altrettanto repressiva e in più crea una maggiore confusione nella coscienza operaia». Questa intervista dovrebbe servire soprattutto come proposta di un metodo di lavoro su quest’aspetto della condizione operaia dentro la fabbrica.
da «Rosso. Giornale dentro il movimento»
Guarda “Picchetti contro i sabati lavorativi all’Alfa Romeo – Aprile 1978“:
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