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Lettera n° 28: alla mamma | Antonio Gramsci: le lettere dal carcere

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Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera proprio oggi. Ti ringrazio. Sono molto contento delle buone notizie che mi dai, specialmente di Carlo. Non sapevo quali fossero le sue condizioni di lavoro e di vita.

Credo che Carlo sia un ottimo ragazzo, nonostante qualche sua capestreria del passato e credo anche che sia più solido negli affari di quanto lo fossero (e forse lo sono ancora) tanto Nannaro che Mario, che erano portati a vedere guadagni favolosi e a fare castelli in aria per ogni piccola cosa.

Ahimè! tutti in casa nostra (eccettuato io solo) hanno creduto di avere uno speciale bernoccolo per gli affari e non vorrei che tutti facessero una esperienza come quella famosa del «pollaio»; te ne ricordi? e Carlo se ne ricorda? Bisognerebbe ricordarglielo a sempiterno scorno dei Gramsci che vogliono fare degli affari. Io me ne ricorderò sempre, anche perché quelle galline, che non facevano mai l’uovo, mi hanno beccato e rovinato tre o quattro romanzi di Carolina Invernizio (meno male!).

La mia vita scorre sempre uguale. Leggo, mangio, dormo e penso. Non posso fare altro. Tu però non devi pensare a tutto ciò che pensi e specialmente non devi farti illusioni. Non perché io non sia arcisicuro di rivederti e di farti conoscere i miei bambini (riceverai la fotografia di Delio, come ti ho annunziato; ma Carlo non te ne aveva consegnata una nel 1925? quando Carlo venne a Roma? e Chicchinu Mameli ti aveva dato uno scudo di argento che avevo mandato a Mea perché si facesse fare un cucchiaino? e una tabacchiera di legno speciale per te? — mi sono sempre dimenticato di domandarti queste cose), ma perché sono anche arcisicuro che sarò condannato e chissà a quanti anni. Tu devi capire che in ciò non c’entra per nulla né la mia rettitudine, né la mia coscienza, né la mia innocenza o colpevolezza. È un fatto che si chiama politica, appunto perché tutte queste bellissime cose non c’entrano per nulla. Tu sai come si fa coi bambini che fanno la pipì nel letto, è vero? Si minaccia di bruciarli con la stoppa accesa in cima al forcone. Ebbene: immagina che in Italia ci sia un bambino molto grosso che minaccia continuamente di fare la pipì nel letto di questa grande genitrice di biade e di eroi; io e qualche altro siamo la stoppa (o il cencio) accesa che si mostra per minacciare l’impertinente e impedirgli di insudiciare le candide lenzuola. Poiché le cose sono così, non bisogna né allarmarsi, né illudersi; bisogna solo attendere con grande pazienza e sopportazione. Va là, tu sei ancora forte e giovane e ci rivedremo. Intanto scrivimi e fammi scrivere dagli altri: mandami tante notizie di Ghilarza, di Abbasanta, di Boroneddu, di Tadasuni, di Oristano.

Zia Antioga Putzulu, vive ancora? E chi è il podestà? Felle Tariggia, credo. E Nassi cosa fa? E gli zii di Oristano vivono ancora? Zio Serafino sa che ho dato nome Delio al mio bambino? E l’ospedaletto l’hanno finito? E le case popolari a Careddu le hanno continuate?

Vedi quante cose voglio sapere. E si parla, come penso, di unire Ghilarza ad Abbasanta? senza che gli abbasantesi insorgano in armi? E il bacino del Tirso serve finalmente a qualche cosa?

Scrivimi, scrivimi e mandami le fotografie specialmente dei bambini. Baci a tutti e tanti tanti a te Nino

E Grazietta perché non mi scrive neanche un rigo?

Guarda “Antonio Gramsci – Lettere dal carcere“:

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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