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Russia le “giornate di luglio”

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l tentativo del Governo provvisorio di ingrossare le fila dell’esercito al fronte con truppe maggiormente fedeli per eliminare gradualmente i soldati che avevano partecipato alla Rivoluzione di febbraio non va a buon fine. Immediatamente i soldati di stanza a Pietrogrado, i più probabili ad essere destinati al fronte, si accorgono dell’inganno ed insorgono contro il Governo.

Altri due eventi contribuiscono allo stesso tempo ad esasperare ulteriormente l’animo degli operai e dei soldati:

  • le dimissioni dal governo di quattro ministri del partito Cadetto, che vanificano il tentativo di collaborare con i rappresentanti della “borghesia democratica”, tanto decantato da Socialisti rivoluzionari e Menscevichi e, di fatto, l’unica garanzia offerta da questi ultimi nei confronti del proletariato;
  • la pressione dell’Intesa sul Governo affinché risolva la rivoluzione con l’utilizzo delle armi, pena la perdita dell’alleanza.
  • Il 3 luglio i soldati della capitale tentano di coinvolgere gli operai nella loro lotta, e alle officine Putilov ottengono l’adesione di oltre diecimila operai, riuniti attorno alle parole d’ordine “tutto il potere ai Soviet”, già scandite durante l’imponente manifestazione di giugno.

    Subito si forma un corteo di protesta che si reca alla sede del Partito bolscevico chiedendo l’abbattimento del Governo provvisorio.

    Il Partito si mostra titubante all’idea di un’insurrezione, adducendo come motivazione un piano della borghesia atto provocare e indebolire il proletariato addossandogli la responsabilità di un fiasco al fronte. Nonostante ciò, quella stessa notte il Comitato Centrale del partito e quello di Pietrogrado decidono di appoggiare il movimento e di porsi alla sua testa, ma con lo scopo di assicurarsene il “carattere pacifico e organizzato”, dopo aver concluso che la fase rivoluzionaria è troppo delicata per lasciare il proletariato “orfano” di una guida politica.

    Il 4 luglio è una giornata caratterizzata da manifestazioni oceaniche cariche di rabbia, che si concludono con duri scontri di piazza e spari dell’esercito sui manifestanti. Le valutazioni dei bolscevichi rispetto alla giornata sono chiare e vengono esternate la sera del 4 da Zinovev, durante l’assemblea degli operai; gli ordini sono di tornare pacificamente a casa e attendere l’ora della rivoluzione, evidentemente non destinata a scoccare in quei giorni. Gli operai obbediscono.

    Il 5 luglio inizia la caccia ai bolscevichi, accusati di essere agenti tedeschi infiltrati, che si trasforma presto in un operazione atta a disarmare e spaventare gli operai, distruggere i mezzi di propaganda antigovernativa e incitare pogrom contro gli ebrei russi.

    La repressione è spietata e vuole destabilizzare in maniera definitiva l’effettivo potere del Partito bolscevico sulle masse popolari; tiratori isolati sparano sulle truppe che entrano in città spacciandosi per bolscevichi, le forze di polizia si operano per alimentare il panico nella popolazione e terrorizzare i lavoratori, mentre il Partito bolscevico viene praticamente messo fuori legge e i suoi militanti arrestati o costretti alla fuga.

    Lenin viene accusato direttamente da Kerenskij, capo del Governo provvisorio, di aver preso soldi dall’imperatore tedesco per finanziare un colpo di stato bolscevico in Russia, e di conseguenza, il ritiro delle truppe russe dalla guerra, trovandosi così costretto a riparare a Helsinki, in Finlandia.

    Proprio lì il 18 luglio, in reazione al tentativo di golpe bolscevico in Russia, il Parlamento finlandese approva una legge (valtalaki) per assumersi il compito di supremo organo di governo sul territorio del Granducato di Finlandia. La legge, dopo molte esitazioni, viene inviata per essere approvata al governo provvisorio russo, che non solo non concede il suo beneplacito, ma scioglie il Parlamento.

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