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“Sport e Proletariato”

7 ottobre 1920

Lo sviluppo della ginnastica promosso dalle Società di mutuo soccorso a fine Ottocento si era concentrata sul movimento dei “ciclisti rossi” che si diffonde in alcuni centri del Nord Italia. Nel primo Novecento, quando la bicicletta inizia ad affermarsi come strumento di libertà e di emancipazione sociale, i “ciclisti rossi” utilizzano questo mezzo a fini propagandistici e agiscono come reparti di “staffetta” e di autodifesa in occasione degli scioperi dando vita ad un fenomeno che verrà ripreso dalle “Guardie rosse volanti”, a fianco degli Arditi del popolo nel tentativo di contrastare la violenza fascista. Questa tradizione si rinnoverà dopo l’8 settembre del 1943 diventando parte integrante della Resistenza che utilizzerà la bicicletta come mezzo per trasportare documenti e stampa clandestina, mantenere i collegamenti tra i reparti partigiani. 

Ricercare nel passato tracce di sport nel movimento operaio e comunista può aiutare a capire il difficile rapporto intercorso tra la sinistra e uno dei fenomeni sociali di massa del Novecento. Se nel 1910, i giovani socialisti approvarono al loro congresso un ordine del giorno secondo il quale “lo sport non aiuta l’educazione fisica del corpo umano, anzi lo debilita , lo rovina e degenera la specie”,  nella seconda decade del Novecento si assiste al fiorire di numerose organizzazioni sportive operaie,  particolarmente durante il Biennio Rosso. L’ossatura  dello sport operaio è rappresentata da due società sportive: L’Apef,  fondata il 7 ottobre 1920, (Associazione proletaria di educazione fisica) e  l’Ape (L’Associazione proletaria escursionisti) entrambe sorte a Milano, le cui radici affondavano nel tessuto associativo operaio delle società di mutuo soccorso sorte sul finire dell’800. A Torino sorgono associazioni sportive  come “Primo Maggio”, “Carlo Marx”  e “Internazionale”  delle quali riferisce  L’Ordine Nuovo di Gramsci . Nasce  nella città della Fiat anche un comitato centrale sportivo , per coordinare i gruppi sortivi operai. Sorge l’esigenza di un organo di informazione nazionale, e la sinistra se ne fa interprete dando vita il 14 luglio del 1923 al settimanale “Sport e Proletariato”,  che arriverà a vendere quasi 10mila copie. Il settimanale, in una logica contrapposizione al quotidiano sportivo “borghese”  La Gazzetta dello  Sport  che ha le pagine rosa, viene stampato su pagine verdi. L’editoriale    del primo numero di Sport e Proletariato” esplicita gli intenti:  “ Era tempo di finirla di combattere lo sport, ma bisognava piuttosto aiutarne la diffusione nella folla delle officine e dei campi per farlo diventare un mezzo di emancipazione del proletariato”. E riguardo al programma è ancora più esplicito: “dare opera perché in ogni paese non manchi la società sportiva proletaria”. L’editoriale del secondo numero :“Vogliamo essere soggetti nell’attività sportiva ……. Vogliamo vivere sempre meglio  migliorandoci anche fisicamente nello sforzo armonico cui lo sport deve educarci” l’articolo  attacca lo sport borghese che “gonfia  i campioni e i campionissimi  e ne fa asini carichi di quattrini”.  Dal sesto numero il dibattito si anima intorno a quale struttura darsi, le prime iniziative, la connotazione politica della Federazione. “Noi non pensiamo ad alcun predominio di partito sullo sport. Più che al partito pensiamo alla classe”.  Il numero uscito l’8 dicembre del 1923  dalla tipografia Zerboni di Milano pone un unico dubbio: convocare un congresso di fondazione o affidare il tutto a una commissione mista dell’Arpef  e dell’Ape? Non ci sarà tempo per sciogliere il dubbio, perché il 10 dicembre le squadracce fasciste assaltano le redazioni de l’Avanti e del Corriere della sera  e bruciano la tipografia dove si stampavano, oltre a Sport e Proletariato  anche Pagine Rosse e Sindacato Rosso.  Dopo l’assalto fascista  il ministero degli  Interni spenderà le pubblicazioni fino al gennaio 1924, quando l’ordine di divieto sarà revocato ad eccezione di Sport e Proletariato.

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