Concorso morale: un approfondimento giuridico sul caso di Nicolò
Non è una novità il fatto che alcuni istituti vengano creati appositamente per arginare fenomeni di contrapposizione sociale; non è nemmeno una novità che chi amministra la Legge (i giudici, i pubblici ministeri) siano organi del tutto interni alle trattative ed alle esigenze politiche. A partire dagli atti giudiziari, un breve approfondimento sul caso di Nicolò e sulla fattispecie del “concorso morale”.
Il più delle volte ci ritroviamo a combattere contro istituti creati ad hoc per colpire le compagini sociali portatrici di evidente dissenso (nota è la vicenda del Daspo urbano, fortemente voluto dal Ministro degli Interni Minniti, sotto il governo del Partito Democratico); ci sono poi dei casi particolari in cui le norme vengono redatte in modo tale per cui si lascino scappatoie interpretative nella Legge: scappatoie manipolabili al fine di punire alcuni soggetti con più vigore rispetto alle condizioni normalmente poste dalla Norma. Altre volte in cui le norme o gli istituti giuridici vengono piegati a necessità politiche da parte di chi dovrebbe limitarsi ad applicarle, con l’effetto di creare ovviamente uno squilibrio tra la pena o la misura cautelare che dovrebbe essere applicata se non si usasse strumentalmente la norma, e quella che invece nei fatti viene poi comminata. Ovviamente questo accade per una ragione determinante: esiste una continuità tra l’operato di chi redige le norme, l’operato di chi quelle norme le applica e l’operato di chi è chiamato a giudicare il rispetto di quelle norme. In controluce, guardando bene oltre il fumo di menzogne e perbenismi della democrazia, di slogan come “la legge è uguale per tutti”, della imparzialità degli organi giudicanti, possiamo scorgere un disegno comune tra l’esistenza stessa di alcuni istituti nel nostro sistema giuridico e l’utilizzo che ne viene fatto.
È propriamente questo il caso di Nicolò, un giovane antifascista torinese. A seguito di una manifestazione di protesta in occasione del comizio elettorale di Simone Di Stefano (segretario di Casapound), Nicolò è in carcere da ormai tre mesi in forma preventiva (formalmente innocente fino alla fine del processo… figuriamoci prima dell’inizio) con la sola ed unica accusa di concorso morale in reati presumibilmente commessi da terzi (anch’essi ancora non accertati da alcun processo).
Il concorso di persone (art 110 c.p.) nasce per colpire i reati normalmente commessi in forma monosoggettiva anche quando questi vengano commessi invece da una pluralità di persone; il che implica che questa pluralità di persone possa concorrere in maniera differente a quello stesso reato, difatti si parla alle volte di “concorso morale” altre volte di “concorso materiale” che ritroviamo imputato agli esecutori materiali di un determinato reato. Secondo la Cassazione n.36739/2017, “affinché si possa configurare il concorso morale nel reato occorre che vi sia prova di un comportamento esteriore qualificabile come contributo alla commissione del reato, nel senso che esso abbia fatto sorgere il proposito criminoso altrui o che lo abbia rafforzato, ovvero ancora che abbia agevolato l’azione illecita, materialmente posta in essere da altri.“
Cos’è quindi in effetti il concorso morale, e come viene utilizzato?
Secondo Cassazione ed autorevole dottrina per configurarsi concorso morale forte deve essere l’ “elemento psichico”: che non può configurarsi in una mera connivenza, alias un’adesione interiore al reato, ma che deve realizzarsi attraverso un’ideazione del reato o un atteggiamento che favorisca la commissione dello stesso da parte di altri.
È facilmente intuibile che un istituto del genere, fondato su una valutazione “psichica” ben si presta all’essere declinato strumentalmente: difatti in giurisprudenza troviamo più di un caso nel quale il concorso morale diventa l’unica imputazione: vale a dire che l’elemento psichico (determinazione o istigazione che sia) viene sganciato da una base fattuale precisa deducendolo invece da elementi soggettivi riferibili all’accusato non aderenti alla commissione dei reati specificamente imputati. Questa è la storia di Nicolò.
Nicolò è un giovane lavoratore che si trovava in piazza a manifestare contro Casapound il 22 febbraio scorso. Questo è il dato certo (oltre che ampiamente rivendicato). Nicolo si trova da tre mesi in carcere con la sola accusa di essere stato presente in un determinato momento in un determinato luogo, con la presupposta adesione morale ad un reato presumibilmente commesso da altri, ma negli atti giudiziari non si legge da nessuna parte che Nicolò abbia commesso un fatto effettivamente riconducibile ad una volontà di concorrere al reato, e, pur basandosi il concorso morale su una base psichica, questa non può diventare un’astrazione giuridica del PM o del questore ma deve essere supportato da un dato reale dimostrativo della fondatezza dell’accusa. Invece, l’unica colpa che Nicolò sembra avere in questa vicenda giudiziaria è essere ciò che è: un antifascista.
Il concorso morale diventa di per sé reato, ma non è supportato da nessun fatto tipico, poiché la stessa accusa ammette che non esistono reati effettivamente imputabili, se non il concorso morale stesso.
In questa vicenda sembra essere messa sotto accusa la vita di Nicolò, la sua presenza ferma e ferrea in piazza, la sua riconoscibilità da parte delle Forze dell’ordine, ma niente negli atti di notifica lascia intendere che abbia altra colpa oltre l’essere stato presente in prima fila insieme a centinaia di altri manifestanti.
Candidamente (con la tranquillità di chi è abituato ad usare la Legge per eliminare ciò che gli è scomodo) si legge nell’accusa ” […] sotto questo profilo, è dunque, quantomeno, concorrente morale”. Per chi non è abituato ad avere a che fare con la Legge o masticare linguaggi giuridici questa potrebbe sembrare una frase come un’altra ma quel “quantomeno” indica che Nicolò non ha capi di imputazione a lui riconducibili.
È evidente quanto necessario sottolineare come questa vicenda giudiziaria sia scandalosa, nonché diventi un precedente giurisprudenziale pericolosissimo: si può far scontare una misura cautelare e portare a processo un ragazzo giovanissimo (e incensurato) con la sola accusa di avere determinate convinzioni politiche? Dovremmo quindi pensare che per essere relegati tre mesi in carcere –nonostante la misura sia stata commutata in arresti domiciliari questi non possono essere resi effettivi perchè lo Stato non fornisce abbastanza braccialetti elettronici – basta ed avanza partecipare ad una manifestazione in cui si verificano tensioni con le forze dell’ordine?
Visto che Nicolò non ha commesso alcun reato tranne quello di partecipare alla manifestazione ci viene da pensare: se tra tutte le persone presenti in Piazza quel giorno il “concorso morale” è toccato proprio a lui, più che una valutazione giudiziaria oggettiva sembrerebbe una rappresaglia personale; ciò che evidentemente si vuole scoraggiare non è la presenza costante nelle lotte sociali che innervano Torino, la generosità dello spendersi, l’effettiva contrapposizione politica agli “amici dell’ordine costituito” da Casapound, alla Lega, al non meno ladro e corrotto Partito Democratico?
La vicenda giudiziaria di Nicolò è un unicum in quanto il concorso morale non era mai stato fino ad ora assunto ad unica condotta illecita. Non è di certo però il primo caso in cui la Legge viene manipolata per colpire il dissenso e non c’è stato bisogno di aspettare l’arrivo di Salvini al governo. Citando di nuovo il Daspo urbano, la comminazione dello stesso è imperniata sulla valutazione di “Pericolosità sociale”; non è di certo un volo pindarico dire che valutare “pericolosa” socialmente una persona che manifesta (scopo del Daspo urbano, appunto) ha lo stesso margine di arbitraria valutazione degli organi giudicanti del presupposto psichico imputato a Nico per la concorrenza a reati da lui non commessi. L’arbitrarietà di queste valutazioni lascia spazio quindi a vere e proprie ritorsioni legali di chi fa il gioco delle Poltrone: i Pm, i giudici, le forze dell’ordine. Negli atti, ancora si legge: “pur non avendo patito detenzioni precedenti” e non avendo “altri carichi pendenti” si richiede (e dal giudice verrà accettata) la custodia in carcere in forma cautelare poiché la personalità di Nicolò lascia presagire all’accusa che sia un elemento da controllare vigilmente. Ancora una volta si contravvengono le più elementari garanzie, e pur in presenza di una situazione in cui l’imputato non ha precedenti condanne, viene richiesta ed accettata la forma più stringente di misura cautelare con la sola ed unica giustificazione, in parole spicciole, che uno che manifesta in piazza contro i fascisti di stare in carcere se lo merita.
Non è tollerabile un utilizzo della Legge e degli istituti giudiziali così sfacciatamente fazioso, così subdolo e carente di “garanzie costituzionali” proprio dagli organi che pongono la costituzione come vertice intoccabile della piramide democratica. Dobbiamo allora forse pensare che la Costituzione, la Legge, il sistema penale garantista vale solo per chi non sciupa il teatrino politico, non si contrappone alle spinte neofasciste di questi tempi, non smaschera le bruttezze dei partiti centristi e della loro finta indignazione?
G.A.
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