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Dal margine al centro: ripensare il/i Sud tra giustizia sociale e territoriale

Parlare del margine, per Jacques Derrida, significa, in realtà, parlare del centro. Per il filosofo francese, infatti, osservare dal margine ci mette nella condizione di smascherare la presunta neutralità del centro, di coglierne le aporie, di interrogarne la legittimità.

di La Base Cosenza

Il Sud, in questa prospettiva, non è più una periferia da sviluppare o redimere, ma un luogo da cui partire per decostruire modelli imposti, narrazioni egemoniche, gerarchie consolidate. A partire da questa idea, abbiamo pensato a una serie di incontri che indaghino il Sud o, meglio, i Sud, come chiave di lettura critica del presente, come laboratorio di alternative culturali, politiche, ambientali ed economiche.

Il Sud non è solo una questione geografica: è una condizione, un campo di forze, una mappa di diseguaglianze prodotte storicamente. Non basta, dunque, rivendicare generiche pari opportunità tra Nord e Sud: occorre risalire alle radici dei processi di marginalizzazione, a partire dalla costruzione stessa dello Stato nazionale. La cosiddetta “questione meridionale” è stata a lungo il dispositivo attraverso cui si è legittimata una narrazione dello sviluppo centrata su un Mezzogiorno deficitario, passivo, bisognoso di interventi straordinari. Una narrazione che ha trovato sponde sia nel liberalismo post-unitario che nel riformismo socialista e comunista del Novecento, spesso alimentando approcci emergenziali e assistenziali, senza mai mettere davvero in discussione i rapporti di potere alla base della diseguaglianza.

Oggi questa logica si ripresenta in forme nuove, ma non meno violente. L’autonomia differenziata rappresenta l’ultimo passaggio di un lungo processo di ridefinizione dello Stato in senso competitivo e aziendalista. Il cuore pulsante della riforma non è la responsabilità o la prossimità amministrativa, bensì la competitività: si afferma un modello in cui i territori sono chiamati a competere per attrarre investimenti, risorse, capitali. In questo scenario, chi non riesce a nuotare affoga. Ma non è solo il Sud a essere in pericolo: è l’intero sistema di diritti, tutele e solidarietà a essere messo in discussione. A essere conteso non è più solo il rapporto tra Nord e Sud, ma ciò che l’OCSE e la Commissione Europea definiscono “capitale territoriale”: quell’insieme di risorse materiali, infrastrutturalie e sociali che determinano il valore strategico di un luogo. In questa nuova geografia, i centri si ristrutturano secondo logiche esclusivamente estrattive, drenando energie, servizi e opportunità dalle periferie – siano esse nel Meridione, nelle Isole o nel profondo Nord. Il rischio è una “nuova questione territoriale” in cui interi territori – urbani, montani, costieri – vengano sacrificati sull’altare dell’efficienza, intesa non come risposta ai bisogni collettivi ma come mera ottimizzazione del profitto.

In questa cornice, parlare dei Sud significa anche interrogarsi sulle forme di resistenza e immaginazione politica che possono emergere dalle aree marginali. Si tratta di restituire voce e potere decisionale a chi abita i territori, rovesciando il monolitismo dei processi decisionali calati dall’alto. Non si tratta di idealizzare il “locale”, ma di riaprire spazi di autodeterminazione reale: poter scegliere di restare, non essere costretti a partire, non dover mendicare briciole dai centri di potere. Proponiamo per questo un ciclo di discussione che muova da un approccio alternativo ai Sud: non più oggetto di politiche riparative, ma soggetto di un nuovo pensiero meridiano capace di interrogare l’intero ordine politico, economico e culturale. Pensare dal Sud significa coltivare una collocazione plurale, fatta di confini attraversabili, di identità multiple, di storie rimosse. Significa anche riscoprire e valorizzare le forme di sapere e di lotta che da sempre animano i territori – pratiche mutualistiche, esperienze di economia solidale, pratiche di autorganizzazione – ma anche di tradizioni musicali, linguistiche e culturali, capaci di resistere alla omologazione neoliberale.

In questa ottica, abbiamo immaginato un contenitore di discussioni che si articolerà in cinque aree tematiche, ognuna delle quali intende riflettere sui Sud come problema e come possibilità:

  1. Sud e stato
    Un’analisi critica del progetto di autonomia differenziata alla luce della storia dell’unificazione italiana e dei dispositivi di colonialità interna. Cosa vuol dire oggi “unità d’Italia”? Quale modello di Stato si delinea dietro la retorica della responsabilità territoriale?
  2. Sud e sviluppo capitalista
    Un’indagine sulle forme di accumulazione, sfruttamento e razzializzazione che hanno segnato – e segnano tuttora – l’economia del Sud: dalla migrazione forzata alla devastazione ambientale, dalle mafie ai processi di industrializzazione fallimentari.
  3. Sud e cultura
    Una riflessione sul potere della cultura nel decostruire gli stereotipi che hanno storicamente costruito l’immagine del Sud come “altro”. Analizzare questi meccanismi in chiave storico-culturale permette di leggere criticamente le diseguaglianze e le dinamiche di esclusione del presente, anche e soprattutto attraverso la musica, la letteratura, e le arti.
  4. Sud e ambiente
    I territori del Sud come frontiere ecologiche: aree sacrificate, discariche, zone industriali tossiche ma anche custodi di biodiversità, saperi contadini, resistenze ecologiche. Un’ecologia meridiana per ripensare il rapporto tra natura e sviluppo.
  5. Sud e partecipazione
    Una discussione sulle forme di democrazia radicale, partecipata, dal basso. Come costruire spazi decisionali aperti e processi di pianificazione comunitaria capaci di  sovvertire le gerarchie e restituire centralità ai territori?

In un tempo segnato dalla crisi dei paradigmi ideologici del Novecento, non cerchiamo certezze assolute ma luoghi di sperimentazione. Preferiamo il rischio della ricerca di strade e linguaggi nuovi all’immobilismo del lamento. Per questo, partire dal Sud significa non solo parlare dei Sud, ma tentare di trasformare il presente da una prospettiva diversa, laterale, e proprio per questo radicale. Immaginiamo questo come un cantiere aperto, uno spazio collettivo in cui contributi e proposte di tutte e tutti possano convivere e alimentare una discussione viva, dinamica e condivisa per decostruire finalmente i concetti di centro e margine. Un margine che, a ben vedere, proprio perché tale, può farsi centro di una nuova possibilità di trasformazione radicale.

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