Dominiga Figus, al rogo
Dominiga Figus è una donna di Sinnai condannata al rogo – per stregoneria – a Cagliari nel 1547. La data della morte è incerta, probabilmente il 12 dicembre.
«Dominiga Figus (di Sinnai) era una delle streghe della città di Cagliari. Amante di Truisco Casula, un ricco possidente, aveva osato ribellarsi alle angherie della potente famiglia Zapata presso cui era serva. Accusata per questo di essere adoratrice del demonio e creatrice di sortilegi e maledizioni, era stata infine imprigionata. Il poco che sappiamo su di lei è noto perché la sua vita incrociò quella di un’altra donna: la viceregina Maria de Requenses, sospettata anche lei di stregoneria e implicata in uno scandalo che coinvolse l’èlite di Cagliari nella metà del Cinquecento. Un venticello malevolo aveva spirato ad arte in quegli elevati ambienti insinuando una voce che poi divenne inarrestabile: in molti erano disposti a giurare che la viceregina fosse una strega. Venne aperto il procedimento inquisitorio per appurare la reale natura dell’accusa ma il vicerè, certo dell’innocenza della consorte, riuscì a provare la falsità delle testimonianze e a dimostrare che era stato ordito un complotto per danneggiarlo. La regina fu prosciolta, mentre gli spergiuri condannati a pene lievi».
Ripreso da «La Donna sarda»
«….Il boia l’ha presa di sabato, il 12 dicembre del 1547, l’ha messa su in carretta. Un frate la teneva a bada con un crocifisso, torvo, come se fosse una spada. Dominiga prima di scendere giù dalla torre ha salutato il mare… Il boia prende Dominiga di peso giù dalla carretta, le infila dalla testa un saio bianco con due croci rosse, una davanti e una di dietro, le fa bere brodo di lampreda di nascosto (bevi, avrai meno male), il frate duro s’intromette col suo crocifisso brandico come un’arma… Il boia le infila un cappuccio cieco di orbace nero che all’altezza del naso ne mostra il respiro spaventato… Il boia l’aiuta a salire alla cieca sulla grande catasta, la regge, la porta di peso: le annoda le mani dietro il palo, la lega alle caviglie, l’assicura in vita… L’anguazile gli porge una torcia accesa, lui la prende e l’avvicina alla catasta. Non prende subito. Il frate brandisce la croce all’insù come una picca… Finché… un rimbombare più potente e lungo, fondo, di un tuono, un tuono vero sì, perché già le prime gocce cadono, e s’infittiscono, diluviano, poi grandine come pietre del selciato lì di Piazza Grande.
La grandine allontana tutti quanti, tutti sono delusi e anche contenti, che ha piovuto, però il rogo è spento prima che la fiamma arrivi ai piedi della strega… Il boia fradicio che risale la catasta spenta sulla scala a pioli, riprende di peso la strega, ridiscende, calmo sembra che porti una bestiola, un passero bagnato… L’alguazile raccomanda al boia di sbrigarsi a fare il suo dovere, mentre anche il frate grida di fare quello che va fatto in questi casi, di torcere il collo della strega, che muoia in un istante, che sbatta le ali come un cappone di sabato sera… Il boia fa qualcosa con la strega che tiene distesa sulle braccia, come a ubbidire al frate, però intanto le slega mani e piedi, morbida e disossata. La coga adesso è immobile, ha perso i sensi: “E’ morta”, dice il boia».
Tratto da «Le fiamme di Toledo» di Giulio Angioni
Fonte: Labottegadelbarbieri
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