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Lenin e la religione

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Abbiamo affrontato il tema della storia della Chiesa come storia di potere. Al fine di approfondire l’atteggiamento dei marxisti nei confronti della religione, riportiamo un “classico” sulla questione ad opera di Vladimir Lenin, pubblicato sul Proletari [Il proletario], n. 45, 26 (13) maggio 1909 (in Vladimir Lenin, Opere complete, IV edizione, vol. 15, pp. 371-381).

Il discorso che il deputato Surkov ha pronunciato alla Duma di Stato in sede di discussione del preventivo per il Sinodo[2] e il dibattito che si è avuto in seno al nostro gruppo parlamentare durante la discussione del progetto di quel discorso, hanno sollevato una questione estremamente importante e che in questo preciso momento è di grande attualità. Senza dubbio l’interesse per tutto ciò che ha a che fare con la religione ha oggi permeato di sé larghe zone della “società”, penetrando, oltre che fra certi strati di operai, tra le file degli intellettuali vicini al movimento operaio. La socialdemocrazia è quindi assolutamente tenuta ad esporre il proprio atteggiamento verso la religione.

La socialdemocrazia fonda tutta la sua concezione del mondo sul socialismo scientifico, cioè sul marxismo. Base filosofica del marxismo, come Marx ed Engels hanno più volte affermato, è il materialismo dialettico, che ha completamente fatte sue le tradizioni storiche del materialismo del XVIII secolo in Francia e di Feuerbach (prima metà del XIX secolo) in Germania, materialismo incondizionatamente ateo, risolutamente ostile a ogni religione. Ricordiamo che tutto l’Anti-Düring di Engels, che Marx lesse nel manoscritto, accusa il materialista ateo Dühring di mancare di coerenza nel suo materialismo, di lasciare delle scappatoie alla religione e alla filosofia religiosa. Ricordiamo che, nel suo scritto su Ludovico Feuerbach, Engels rimprovera a quest’ultimo di aver combattuto la religione non per distruggerla, ma per rinnovarla, per escogitarne una nuova, più “elevata”, ecc.: “La religione è l’oppio del popolo”: questo detto di Marx è la pietra angolare di tutta la concezione marxista in materia di religione. Tutte le religioni e le chiese oggi esistenti, tutte – quali che siano – le organizzazioni religiose sono sempre state considerate dal marxismo come strumenti della reazione borghese, che servono a difendere lo sfruttamento e a stordire la classe operaia.

Nello stesso tempo, però, Engels ha condannato più volte i tentativi di coloro che, desiderosi di essere “più a sinistra” o “più rivoluzionari” della socialdemocrazia, volevano introdurre nel programma del partito operaio un esplicito riconoscimento dell’ateismo nel senso di una dichiarazione di guerra alla religione. Nel 1874, parlando del celebre manifesto dei profughi della Comune, dei blanquisti emigrati a Londra, Engels definisce la loro chiassosa dichiarazione di guerra alla religione una sciocchezza, affermando che una simile dichiarazione di guerra il mezzo migliore per ravvivare l’interesse per la religione e per ostacolare la sua reale estinzione. Engels rimprovera al blanquisti di non saper capire che solo la lotta di classe delle masse operaie, attirando sotto tutti gli aspetti i più larghi strati del proletariato alla prassi sociale cosciente e rivoluzionaria; è capace di liberare effettivamente le masse oppresse dal giogo della religione, mentre proclamare compito politico del partito operaio la guerra alla religione non è che una frase anarchica.

Anche nel 1877[3], dando spietatamente la caccia nell’Anti-Dühring alle più piccole concessioni del Dühring filosofo all’idealismo e alla religione Engels condanna non meno risolutamente l’idea pseudo-rivoluzionaria di Dühring dell’interdizione della religione nella società socialista. Dichiarare una simile guerra alla religione, dice Engels, significa “essere più bismarckiani dello stesso Bismarck”, ripetere cioè la sciocchezza della lotta bismarckiana contro i clericali (la famigerata “lotta per la cultura”, Kulturkampf, cioè la lotta che Bismarck condusse, negli anni dopo il 1870, contro il partito cattolico tedesco, il partito del “centro”, mediante persecuzioni poliziesche contro il cattolicesimo). Con tale lotta, Bismarck aveva solo rafforzato il clericalismo militante dei cattolici, non aveva fatto altro che nuocere alla causa della vera cultura, giacché aveva posto in primo piano le divisioni religiose invece di quelle politiche, aveva distratto l’attenzione di alcuni strati della classe operaia e della democrazia dai compiti quotidiani della lotta di classe e della lotta rivoluzionaria verso l’anticlericalismo più superficiale e più borghesemente menzognero. Accusando Dühring, che voleva essere ultrarivoluzionario, di ripetere sotto altra forma la stessa sciocchezza di Bismarck, Engels esigeva che il partito operaio, invece di gettarsi nell’avventura di una guerra politica contro la religione, sapesse lavorare pazientemente all’opera di organizzazione e di educazione dei proletariato, opera che porta all’estinzione della religione. Questo punto di vista è divenuto carne della carne e sangue del sangue della socialdemocrazia tedesca, che si è pronunciata, ad esempio, per la libertà per gesuiti, per la loro ammissione in Germania, per l’abolizione di tutte le misure di lotta poliziesca contro questa o quella religione. “Proclamare la religione un affare privato”: questo celebre punto del Programma di Erfurt (1891) ha consacrato questa tattica politica della socialdemocrazia.

Tale tattica è divenuta ormai abitudinaria e ha già generato un travisamento dei marxismo in senso inverso, nel senso dell’opportunismo. Ci si è messi ad interpretare la tesi dei Programma di Erfurt nel senso che noi socialdemocratici, il nostro partito, consideriamo la religione come un affare privato, che per noi come socialdemocratici, per noi come partito, la religione è un affare privato. Pur senza impegnarsi in una polemica aperta contro questo punto di vista opportunistico, Engels ha ritenuto necessario, negli anni intorno al 1890, di intervenire risolutamente contro di esso, non in forma polemica, bensì in forma positiva. E precisamente Engels l’ha fatto sotto forma di una dichiarazione, da lui appositamente sottolineata, in cui si afferma che la socialdemocrazia considera la religione come un affare privato dì fronte allo Stato, non già di fronte a se stessa, al marxismo, al partito operaio[4].

Questa la storia esteriore degli interventi di Marx e di Engels in materia di religione. Per coloro che considerano il marxismo con trascuratezza, per coloro che non sanno o non vogliono riflettere, questa storia è un groviglio di assurde contraddizioni e oscillazioni del marxismo: una specie di pasticcio fatto di ateismo “conseguente” e di “compiacenze” nei riguardi della religione, una specie di ondeggiamento “senza principi” tra la guerra rivoluzionaria contro dio e il pavida desiderio di “dare un contentino” agli operai credenti, il timore di spaventarli, ecc. ecc. Negli scritti dei parolai anarchici si può trovare una quantità di attacchi di questo tipo contro il marxismo.

Ma chiunque sia minimamente capace di considerare seriamente il marxismo, di riflettere sulle sue basi filosofiche, sull’esperienza della socialdemocrazia internazionale, vedrà agevolmente che la tattica del marxismo di fronte alla religione è profondamente coerente ed è stata profondamente meditata da Marx e da Engels; che quanto i dilettanti e gli ignoranti prendono per oscillazioni non è che la risultante diretta e necessaria del materialismo dialettico. Sarebbe un grosso errore credere che l’apparente moderazione a del marxismo nei confronti della religione si spieghi con delle cosiddette considerazioni “tattiche”, come il desiderio di “non spaventare”, ecc. Al contrario, la linea politica del marxismo è anche in questa questione indissolubilmente legata alle sue basi filosofiche.

Il marxismo è materialismo. Come tale, esso è altrettanto implacabilmente ostile alla religione quanto il materialismo degli enciclopedisti[5] o delle scienze sociali. Noi dobbiamo lottare contro la religione. Questo è l’abbicci di tutto il materialismo, e quindi del marxismo. Ma il marxismo non è un materialismo che si sia fermato all’abbicci. Il marxismo va oltre. Esso dice: bisogna saper lottare contro la religione, e per questo bisogna spiegare materialisticamente l’origine della fede e della religione tra le masse. Non si può limitare, non si può ridurre la lotta contro la religione ad una propaganda ideologica astratta; bisogna legare questa lotta alla prassi concreta del movimento di classe, tendente a far scomparire le radici sociali della religione. Perché la religione si mantiene negli strati arretrati del proletariato urbano, nei larghi strati del semiproletariato, nonché fra la massa dei contadini? Per l’ignoranza del popolo, risponde il progressista borghese, il radicale o il materialista borghese. Dunque, abbasso la religione, viva l’ateismo: la diffusione delle idee ateistiche è il nostro compito principale. Il marxista dice: ciò è falso. Un simile modo di vedere non è che un intellettualismo superficiale, borghesemente limitato. Un simile modo di vedere non spiega abbastanza a fondo, non spiega materialisticamente, ma idealisticamente, le radici della religione. Nei paesi capitalistici odierni queste radici sono soprattutto sociali. L’oppressione sociale delle masse lavoratrici, la loro apparente totale impotenza di fronte alle cieche forze del capitalismo, che è causa, ogni giorno e ogni ora che passa, delle sofferenze più orribili, dei tormenti più selvaggi per la massa dei lavoratori, in misura mille volte maggiore di tutte le calamità come le guerre, i terremoti ecc.: ecco in che cosa consiste attualmente la radice più profonda della religione. “La paura ha creato gli dei”[6]. La paura dinanzi alla cieca forza del capitale, cieca perché non può essere prevista dalle masse popolari, la quale ad ogni istante della vita del proletariato e del piccolo proprietario minaccia di portarli e li porta ad una catastrofe “subitanea”, “inattesa”, “accidentale”, che li rovina, li trasforma in mendicante, in povero, in prostituta, li riduce a morire di fame: ecco la radice dell’odierna religione che il materialista deve tener presente prima di tutto e al dì sopra di tutto, se non vuole restare un materialista da corso preparatorio[7]. Nessun libro di divulgazione potrà sradicare la religione dalle masse abbrutite dalla galera capitalistica, soggette alle cieche forze distruttive del capitalismo, fino a che queste masse non avranno imparato, esse stesse, a lottare in modo unitario, organizzato, sistematico e cosciente contro questa radice della religione, contro il potere del capitale sotto tutte le sue forme. del XVIII secolo o il materialismo di Feuerbach. Ciò è innegabile. Ma il materialismo dialettico di Marx e di Engels va più in là degli enciclopedisti e di Feuerbach, applicando la filosofia materialistica al campo della storia, al campo delle scienze sociali.

Ne risulta forse che un libro di divulgazione contro la religione sia nocivo o superfluo? No. La conclusione che ne risulta non è affatto questa. Ne risulta che la propaganda ateistica della socialdemocrazia deve essere subordinata al suo compito fondamentale: lo sviluppo della lotta di classe delle masse sfruttate contro gli sfruttatori.

Chi non ha ben riflettuto sulle basi del materialismo dialettico, cioè della filosofia di Marx e di Engels, può non capire (o per lo meno non capire di primo acchito) questa tesi. Ma come? Subordinare la propaganda ideologica, la diffusione di determinate idee, la lotta contro il millenario nemico della cultura e del progresso (cioè contro la religione) alla lotta di classe, cioè alla lotta per determinati fini pratici nel campo economico e politico?

Una simile obiezione rientra nel novero di quelle che si muovono correntemente al marxismo e che rivelano una completa incomprensione della dialettica marxista. La contraddizione che turba coloro che sollevano di queste obiezioni è la viva contraddizione della vita reale, cioè una contraddizione dialettica, non verbale o inventata. Separare con una barriera assoluta, insormontabile, la propaganda teorica dell’ateismo, cioè la distruzione delle credenze religiose in determinati strati del proletariato, dal successo, dall’andamento, dalle condizioni della lotta di classe di questi strati significa ragionare in maniera non dialettica, trasformare in una barriera assoluta quella che è una barriera mobile, relativa, significa scindere violentemente ciò che è indissolubilmente legato nella realtà della vita. Prendiamo un esempio. Il proletariato di una determinata regione e di un determinato ramo d’industria si divide, poniamo, in uno strato avanzato di socialdemocratici abbastanza coscienti, che sono beninteso, atei, e in operai piuttosto arretrati, ancora legati alla campagna e ai contadini, che credono in dio, vanno in Chiesa o sono perfino sottoposti all’influenza diretta del prete locale, che, poniamo, sta fondando un sindacato operaio cristiano. Supponiamo, inoltre, che la lotta economica in questa località abbia portato ad uno sciopero. Un marxista deve necessariamente porre il successo dello sciopero in primo piano, deve necessariamente reagire risolutamente contro la divisione degli operai, nel corso di questa lotta, in atei e cristiani, combattere risolutamente questa scissione. In tali circostanze, la propaganda ateistica può risultare superflua e nociva, non dal punto di vista di considerazioni filistee, sull’opportunità di non spaventare gli strati arretrati, sulla eventuale perdita di un mandato alle elezioni, ecc., ma dal punto di vista del reale progresso della lotta di classe, che, nelle condizioni della odierna società capitalistica, porterà gli operai cristiani alla socialdemocrazia e all’ateismo cento volte meglio di quanto non lo possa fare la nuda propaganda ateistica. In tale momento e in tali condizioni, il propagandista dell’ateismo farebbe il gioco del prete e di tutti i preti, in generale, i quali non desiderano nulla di meglio, che di poter sostituire la divisione degli operai in base alla loro partecipazione allo sciopero con una divisione in base alla fede in dio. L’anarchico, predicando la guerra contro dio ad ogni costo, aiuterebbe di fatto i preti e la borghesia (come sempre, del resto gli anarchici aiutano, di fatto, la borghesia). Il marxista deve essere materialista, cioè nemico della religione, ma materialista dialettico, che pone cioè la causa della lotta contro la religione non in modo astratto, non sul terreno di una propaganda astratta puramente teorica, sempre uguale a se stessa, ma in modo concreto, sul terreno della lotta di classe realmente in cammino e che educa le masse più di tutto e meglio di tutto. Il marxista deve sapere tener conto di tutta la situazione concreta, saper sempre trovare il limite tra l’anarchismo e l’opportunismo (questo limite è relativo, mobile, mutevole, ma esiste), non cadere né nel “rivoluzionarismo” astratto, verbale e praticamente vuoto dell’anarchico, né nel filisteismo e nell’opportunismo del piccolo borghese o dell’intellettuale liberale, che ha paura di combattere la religione, dimentica questo suo compito, si concilia con la fede in dio, si ispira non agli interessi della lotta di classe, ma ad un meschino, e miserabile piccolo calcolo: non urtare, non respingere, non spaventare nessuno, secondo la saggia massima: “vivi e lascia vivere”, ecc. ecc.

È da questo punto di vista che bisogna risolvere tutte le questioni particolari riguardanti l’atteggiamento della socialdemocrazia verso la religione. Si pone spesso, per esempio, la questione se un prete possa esser membro del partito socialdemocratico, e di solito a tale questione si risponde, senza alcuna riserva, affermativamente, richiamandosi all’esperienza dei partiti socialdemocratici europei. Ma questa esperienza è nata non solo dall’applicazione del marxismo al movimento operaio, ma anche da particolari condizioni storiche dell’Occidente, che non esistono in Russia (parleremo più avanti di queste condizioni) per cui una risposta incondizionatamente affermativa in questo caso è inesatta. Non si può dichiarare una volta per sempre e per tutte le condizioni che i preti non possono essere membri dei partito socialdemocratico, ma non si può nemmeno erigere a regola una volta per sempre il contrario. Se un prete viene tra noi per svolgere un lavoro politico in comune e svolge coscienziosamente il lavoro di partito, senza scendere in campo contro il programma del partito, noi possiamo accoglierlo nelle file della socialdemocrazia, poiché la contraddizione tra lo spirito e le basi del nostro programma e le convinzioni religiose di quel prete potrebbe restare in tali condizioni una contraddizione sua personale, che riguarda lui solo, e un’organizzazione politica non può sottoporre i propri membri a un esame sull’assenza o meno di contraddizioni tra le loro opinioni e il programma del partito. Ma naturalmente un simile caso non potrebbe essere che una rara eccezione anche in Europa, mentre in Russia esso è veramente poco probabile. E se, per esempio, un prete entrasse nel partito socialdemocratico e cominciasse a svolgere in questo partito, come lavoro principale e quasi esclusivo, un’attiva predicazione delle concezioni religiose, il partito dovrebbe necessariamente espellerlo dal suo seno. Noi dobbiamo non soltanto accogliere, ma attirare alacremente nel partito socialdemocratico tutti gli operai che conservano la fede in dio, siamo decisamente contrari a ledere minimamente le loro convinzioni religiose; ma li attiriamo per educarli nello spirito del nostro programma, e non per una lotta attiva contro di esso. Noi ammettiamo in seno al partito la libertà di opinione, ma entro certi limiti, determinati dalla libertà di raggruppamento: non siamo obbligati ad andare a braccetto con i propagandisti attivi di opinioni respinte dalla maggioranza del partito.

Un altro esempio. è lecito condannare ugualmente e in ogni condizione i membri del partito socialdemocratico per la dichiarazione: “il socialismo è la mia religione” e per la propaganda di concezioni corrispondenti a una simile dichiarazione No. Che qui vi sia una deviazione dal marxismo (e quindi dal socialismo) è innegabile, ma il valore di questa deviazione, il suo peso specifico, per cosi dire, possono variare a seconda delle condizioni. Se un agitatore o una persona che parla davanti alla massa operaia si esprime così per essere meglio compreso, per iniziare la sua esposizione per mettere meglio in rilievo le proprie opinioni usando termini più abituali per la massa incolta è un conto. Ma se uno scrittore incomincia a predicare l’”edificazione di dio” o un socialismo fondato sull’edificazione di dio (nello spirito, ad esempio, dei nostri Lunaciarski e C.), è un altro conto[8]. Quanto una condanna potrebbe essere un cavillo o addirittura una restrizione fuori luogo della libertà dell’agitatore, della libertà dell’azione “pedagogica” nel primo caso, altrettanto la condanna del partito indispensabile e obbligatoria nel secondo. La tesi “il socialismo è una religione” è per gli uni una forma di transizione dalla religione al socialismo, per gli altri dal socialismo alla religione.

Passiamo ora alle condizioni che hanno generato in Occidente l’interpretazione opportunistica della tesi: “proclamare la religione un affare privato”. Evidentemente si risente qui l’influenza delle cause generali che determinano l’opportunismo in generale come sacrificio degli interessi fondamentali del movimento operaio a vantaggi momentanei. Il partito del proletariato esige che lo Stato dichiari la religione un “affare privato”, senza per questo ritenere affatto un “affare privato” la lotta contro l’oppio del popolo, la lotta contro le superstizioni religiose, ecc. Gli opportunisti travisano le cose in modo tale da far credere che sia il partito socialdemocratico a considerare la religione un affare privato!

Ma oltre al solito travisamento opportunistico (che non è stato affatto chiarito nel dibattito svoltosi in seno al nostro gruppo parlamentare in sede di discussione dell’intervento sulla religione) vi sono delle particolari condizioni storiche che hanno dato luogo all’odierna eccessiva indifferenza, se ci è consentita l’espressione, dei socialdemocratici europei nei confronti della questione della religione. Queste condizioni sono di due specie. In primo luogo, quello di lottare contro la religione è un compito storico della borghesia rivoluzionaria, e in Occidente tale compito è stato in gran parte assolto (di colpo o a poco a poco), dalla democrazia borghese all’epoca delle sue rivoluzioni o dei suoi attacchi contro il feudalesimo e il medioevo. Sia in Francia che in Germania esiste una tradizione di guerra borghese alla religione iniziata molto prima del socialismo (enciclopedisti, Feuerbach). In Russia, date le condizioni della nostra rivoluzione democratico-borghese, anche questo compito ricade quasi completamente sulle spalle della classe operaia. Da noi, sotto questo rapporto, la democrazia piccolo-borghese (populista[9]) ha fatto non già troppo (come pensano i cadetti cento neri o i cento neri cadetti delle Pietre Miliari[10] testè rivelatisi), ma troppo poco in confronto all’Europa.

D’altra parte, la tradizione della guerra borghese contro la religione è già riuscita a creare in Europa una deformazione specificamente borghese di questa guerra ad opera dell’anarchismo, il quale, come i marxisti hanno già da tempo e più volte spiegato, si trova, nonostante tutta la “foga” dei suoi attacchi contro la borghesia, è sul terreno della concezione del mondo borghese. Gli anarchici e i blanquisti nei paesi neo-latini, Most (che fra l’altro fu discepolo di Dühring) e C. in Germania, gli anarchici degli anni ottanta in Austria hanno spinto al nec plus ultra la frase rivoluzionaria nella lotta contro la religione. Non c’è da meravigliarsi se socialdemocratici europei eccedono ora in senso opposto agli anarchici. Ciò è comprensibile ed in parte legittimo, ma noi socialdemocratici russi non dobbiamo dimenticare le condizioni storiche particolari dell’Occidente.

In secondo luogo, in Occidente dopo la fine delle rivoluzioni borghesi nazionali, dopo l’introduzione di una libertà religiosa più o meno completa, la questione della lotta democratica contro la religione era storicamente a tal punto respinta in secondo piano dalla lotta della democrazia borghese contro il socialismo che i governi borghesi tentavano coscientemente di distogliere l’attenzione delle masse dal socialismo organizzando una “crociata” pseudoliberale contro il clericalismo. Tale carattere ebbero e il Kulturkampf in Germania e la lotta dei repubblicani borghesi contro il clericalismo in Francia. L’anticlericalismo borghese come mezzo per distogliere l’attenzione delle masse operaie dal socialismo: ecco quanto ha preceduto in Occidente il diffondersi fra i socialdemocratici dell’attuale “indifferenza” di fronte alla lotta contro la religione. E ciò è, ancora una volta, comprensibile e giustificato, giacché all’anticlericalismo borghese e bismarckiano i socialdemocratici dovevano opporre precisamente la subordinazione della lotta contro la religione alla lotta per il socialismo.

In Russia, le condizioni sono completamente diverse. Il proletariato è il capo della nostra rivoluzione democratico-borghese. Il suo partito deve essere la guida ideologica nella lotta contro ogni residuo del medioevo, e perciò anche contro la vecchia religione ufficiale e contro tutti i tentativi di rinnovarla o di erigerla su basi nuove o in altro modo ecc. Pertanto, se Engels rettificava in termini relativamente moderati l’opportunismo dei socialdemocratici tedeschi, che sostituivano alla rivendicazione del partito operaio, che lo Stato proclamasse la religione un affare privato, la proclamazione della religione quale affare privato per i socialdemocratici stessi e per il partito socialdemocratico, si comprende che la ripresa di questa deformazione tedesca da parte degli opportunisti russi avrebbe meritato una condanna cento volte più decisa da parte di Engels.

Dichiarando alla tribuna della Duma che la religione è l’oppio del popolo, il nostro gruppo parlamentare ha agito in maniera perfettamente giusta, creando in tal modo un precedente che deve servire di base a tutti gli interventi dei socialdemocratici russi sulla questione della religione. Bisognava forse andare oltre e sviluppare più dettagliatamente le conclusioni ateistiche? Non lo crediamo. Ciò avrebbe fatto correre il rischio di indurre il partito politico del proletariato ad esagerare la lotta contro la religione, avrebbe potuto portare a cancellare la linea di demarcazione fra la lotta borghese e quella socialista contro la religione. Il primo compito che il gruppo parlamentare socialdemocratico ad una Duma centonerista doveva assolvere è stato assolto con onore.

Il secondo compito, il compito quasi più importante per i socialdemocratici, quello di spiegare la funzione di classe della Chiesa e del clero come puntelli del governo centonerista e della borghesia nella loro lotta contro la classe operaia, è stato ugualmente assolto con onore. Certo, vi è ancora molto da dire su questo tema, e negli ulteriori interventi i socialdemocratici sapranno trovare il modo di completare il discorso del compagno Surkov, ma ciò nonostante il suo discorso è stato eccellente e la sua diffusione per mezzo di tutte le organizzazioni di partito è un preciso dovere del nostro partito.

Terzo compito: bisognava spiegare nel modo più preciso il senso esatto della tesi, così spesso travisata dagli opportunisti tedeschi, “proclamare la religione un affare privato”. Questo, purtroppo, il compagno Surkov non l’ha fatto. Ciò è tanto più deplorevole in quanto, nell’attività precedente del gruppo parlamentare, su questa questione era già stato commesso l’errore, rilevato a suo tempo dal Proletari, del compagno Belousov. Il dibattito svoltosi in seno al gruppo indica che la disputa sull’ateismo ha distratto il gruppo stesso dal problema di dare un’esposizione esatta della famosa rivendicazione che la religione sia dichiarata un affare privato. Di questo errore dell’intero gruppo non incolperemo il solo compagno Surkov. Ma non basta. Riconosciamo apertamente che qui la colpa è di tutto il partito, che non ha sufficientemente chiarito tutta la questione, che non ha sufficientemente preparato la coscienza dei socialdemocratici ad afferrare il senso dell’osservazione di Engels all’indirizzo degli opportunisti tedeschi. Il dibattito svoltosi in seno al gruppo dimostra che si è trattato appunto del fatto che il problema non è stato chiaramente capito, non già della cattiva volontà di tener conto della dottrina di Marx, e noi siamo convinti che l’errore verrà corretto nei successivi interventi del gruppo.

Nel suo complesso, ripetiamo, il discorso del compagno Surkov è eccellente e dev’essere diffuso da tutte le organizzazioni. Discutendo questo discorso il gruppo ha dimostrato di assolvere in pieno e coscienziosamente il proprio dovere socialdemocratico. Non resta che augurarci che nella stampa di partito trovino posto più spesso corrispondenze sui dibattiti che si svolgono in seno al gruppo parlamentare, allo scopo di avvicinare gruppo e partito, di portare a conoscenza del partito il gravoso lavoro interno svolto dal gruppo, di giungere all’unità ideologica nell’attività del partito e del gruppo parlamentare.

Note

[2].Dai tempi di Pietro il Grande, che per meglio asservire la Chiesa allo Stato aveva soppresso il patriarcato “di tutte le Russie”, organo direttivo supremo della Chiesa ortodossa era il Sacro Sinodo, di nomina imperiale, costruito sul tipo dei ministeri, nel quale lo zar era rappresentato da un procuratore generale.

[3] Queste osservazioni di Engels sono contenute in un articolo pubblicato sul Volksstaat nel 1874.

[4] Nel 1891, ricordando l’attività legislativa della Comune, Engels scriveva: “…decretavano riforme che la borghesia repubblicana aveva trascurato soltanto per viltà, ma che rappresentavano una base necessaria per la libertà d’azione della classe operaia, come l’attuazione del principio che di fronte allo Stato la religione non e che un semplice affare privato” (Prefazione a K. Marx, La guerra civile in Francia, Roma, Edizioni Rinascita, 1947, p. 16).

[5] Gli autori della famosa Enciclopedia francese, nella quale tutto il sapere umano era trattato in senso materialistico, e che fu pubblicata nel 1751-72 sotto la direzione di Diderot e di D’Alembert.

[6] Primus in orbe deos fecit timor (“la prima a creare gli dei sulla terra fu la paura”): aforisma latino riferito per la prima volta dal poeta satirico del I secolo Petronio Arbitro (Fragmenta, 27. ed. Buecheler) e ripreso poco dopo da Stazio (Tebaide, III, 661); viene citato anche da L. Feuerbach nelle sue Lezioni sull’essenza della religione.

[7] In base all’ordinamento scolastico prerivoluzionario, prima del primo corso di scuola secondaria (ginnasio, istituto tecnico o commerciale) c’era un corso preparatorio di un anno. Nell’articolo La disfatta del proprio governo nella guerra imperialistica pubblicato il 26 luglio 1915 sul Sozial-Demokrat Lenin scriveva: “la guerra solleverà certamente nelle masse i sentimenti più impetuosi, che romperanno l’abituale stato psicologico di sonno… Quali sono le principali correnti di questi sentimenti impetuosi? La paura e la disperazione. Di qui il consolidamento della religione. Le chiese cominciano a riempirsi di nuovo, esultano i reazionari. “Dove ci sono sofferenze, c’è religione”, diceva l’ultrareazionario Barrès. Ed ha ragione.” (Opere, vol. 23, ed. russa, pp. 251).

[8] Dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905, durante il periodo della reazione di Stolypin, sorse in Russia, fra una parte degli intellettuali aderenti al Partito operaio socialdemocratico russo, una corrente filosofico- religiosa antimarxista che postulava l’”edificazione di dio”. Gli aderenti a questa corrente (Lunaciarski, Bazarov ed altri) predicavano la creazione di una religione nuova, “socialista”, sforzandosi di conciliare marxismo e religione. Per un certo periodo all’”edificazione di dio” aderì anche Gorki. Nel giugno 1909 l’assemblea allargata della redazione del Proletari condannò, in una speciale risoluzione, l’”edificazione di dio” dichiarando che “con un simile travisamento del socialismo scientifico” la frazione bolscevica del partito non aveva niente in comune. Lenin mise a nudo la natura reazionaria della corrente degli “edificatori di dio” nel libro Materialismo ed empiriocriticismo e in alcune lettere a Gorki del febbraio-aprile 1908 e del novembre-dicembre 1913.

[9] Il populismo una corrente rivoluzionaria russa degli ultimi decenni del secolo XIX. Nei primi anni del suo sviluppo il populismo sostenne che per rovesciare lo zarismo e le classi padronali bisognava puntare esclusivamente sulle masse contadine, andare nelle campagne, «verso il popolo» (donde il suo nome). Più tardi quando le repressioni poliziesche crearono sempre maggiori difficoltà a questo genere di attività rivoluzionaria, passò al metodo del terrorismo individuale, organizzando, tra l’altro, la soppressione dello zar Alessandro II (1881). Questo metodo, che sarà poi ripreso dai socialisti-rivoluzionari, s’ispirava alla falsa teoria secondo cui soltanto gli “eroi”, e non la “folla”, avrebbero potuto mutare il corso della storia, e pertanto distoglieva dalla lotta rivoluzionaria le grandi masse e in particolare la classe operaia, di cui i populisti non riuscirono mai a comprendere la funzione d’avanguardia.

[10] Raccolta di saggi pubblicata nel 1909 da un gruppo di intellettuali borghesi (tra cui gli ex marxisti Struve, Bulgakov, ecc.), i quali, caduti ormai nell’idealismo e nel misticismo, deploravano l’atteggiamento rivoluzionario assunto durante la rivoluzione del 1905.

Fonte: “La voce delle lotte.it”

Guarda “Lenin’s Speech – How the working people can be saved from Opression“:

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