Nasce Sante Notarnicola
Proletario, migrante interno, operaio, comunista. Sante Notarnicola raggiunge Torino, proveniente da Castellaneta, provincia di Taranto,nel 1953, soltanto quindicenne. Va a vivere in una delle zone più popolari della città sabauda ‘Barriera di Milano’, e si installa proprio in una “vecchia casa con il cesso sul ballatoio”, come scriverà, agosto 1985,nel componimento “La nostalgia e la memoria” .La barriera è un concentrato di umanità, complicità, solidarietà,ma anche disagio e difficoltà.
Popolata da operai Fiat ed indotto, da disoccupati e sottopagati, precari disperati, ‘spostati’, ribelli sociali,numerosissimi immigrati meridionali, militanti politici del Partito: il Pci, e punteggiata da tante boite artigiane. Botteghe gestite da exoperai, che per scelta, o discriminazione e disperazione, si erano messi in proprio, e svolgevano i più disparati mestieri. Ed è anchel’agglomerato urbano-periferico dove si costuisce la ‘BandaCavallero’, come verrà, anche per disprezzo, definita dai mezzi di comunicazione di massa, compagine armata formata da PieroCavallero (coordinatore di tutte le sezioni Pci della Barriera, bacino d’utenza attorno ai 70.000 abitanti); Adriano Rovoletto (militante comunista); Sante Notarnicola (già segretario della Federazionegiovanile comunista di Biella, poi tesserato al Partito); DaniloCrepaldi (partigiano ed ex operaio Fiat) ed il giovane Donato Tuccio Lopez, ragazzo di bottega di Natale Cavallero, padre di Piero. Sante Notarnicola nasce il 15 dicembre 1938.
Dal libro di Sante “L’evasione impossibile”. Oggi guardo indietro, a quei tempi, e misuro il distacco, la strada percorsa e sento che senza quell’esperienza forse non sarei finito in galera, ma sento pure che se non fossi diventato comunista, l’intera mia vita non avrebbe avuto senso. E per me essere comunisti è l’unico modo di essere uomini. Il futuro, vada come vada, ma le cose giuste della mia vita non posso rifiutarle, respingerle, neppure per rendere più tollerabile la mia situazione: vada come vada, sono stato e sono un comunista. Dicano quel che gli pare, i fottuti borghesi, me ne sono sempre sbattuto di loro, in modo giusto o sbagliato gli ho sempre sputato in faccia. E ora più che mai.
A maggior ragione ora che li conosco meglio, ora che ho conosciuto le loro galere, ho visto ciò che fanno ogni giorno ai poveri cristi. Non rimpiango di essermi ribellato contro i padroni, rimpiango di averlo fatto fuori tempo, in modo sbagliato. Se fossi nato dieci anni prima forse sarei stato un gappista. Avrei vissuto la Resistenza, probabilmente, e l’avrei vissuta in un certo modo. Anche il tempo, la situazione in cui si vive, contano, nel determinare un uomo e la sua sorte. Legati a un movimento partigiano, in un momento in cui erano validi il sabotaggio e il terrorismo, noi avremmo potuto compiere azioni utilissime, decisive per la lotta in una città come Torino o Milano. Fare il partigiano in montagna non sarebbe stato affar nostro, ma in una città avremmo dato del filo da torcere a tedeschi e fascisti. Se i partigiani erano in certo qual modo organizzazioni “regolari”, con una divisa, un territorio proprio, un confine sia pure labilissimo che li divideva dal nemico, un retroterra sia pure minimo in cui il nemico per inoltrarsi doveva impiegare forze massicce e poteva farlo solo in certe occasioni, per i gappisti si trattava di sparare proprio in mezzo al nemico, in casa sua.
Erano i partigiani dei partigiani. Un lavoro durissimo, la tensione era continua, in genere gli uomini duravano solo pochi mesi. Ogni soldato, e anche il partigiano, quando non è impegnato nell’azione , ha la possibilità di scaricarsi, di vivere qualche giorno o anche solo qualche ora “fuori pericolo”, in mezzo ai suoi. Può parlare, cantare, dormire in un’atmosfera amica.
Per il gappista non c’è un momento solo in cui possa abbandonarsi, ogni faccia che vede può essere il nemico, ogni parola nasconde un’insidia, chiunque lo avvicina può essere un delatore.
Ogni suono di campanello alla porta può essere il nemico che l’ha individuato e non c’è salvezza, in questo caso non ci sono azioni di difesa, non c’è strada di fuga, non c’è retrovia, non ci sono i compagni che possono intervenire. Quando si viene identificati è la fine, senza mediazioni, senza la possibilità estrema del combattimento o dello sganciamento. Se fossi nato prima, quello sarebbe stato il lavoro “giusto” per me, ognuno è fatto in un certo modo e per un certo tipo di azione
Una poesia di Sante:
UNA VECCHIA LETTERA DA BADU E CARROS [Sante Notarnicola]
“Poi, caro compagno, nei cortili
dopo gli idranti,
sono entrati i guardiani.
Avevano caschi, scudi
mazze e manganelli.
Ci siamo battuti,
a mani nude, noi.
E’ stata lunga la strada
dai cortili alle celle.
Qua e là: chiazze di sangue.
Nell’atrio
per le scale
e nelle celle: sangue.
La primavera è stupenda
da queste parti, lo sai.
E sai che a volte
i passeri più piccoli
cadono dal tetto
della prigione.
Uno era finito
nel nostro cortile.
Volava in modo
incerto, era buffo.
Io l’ho visto quando,
l’agente più giovane
del gruppo, lo colpì …
come fosse
una palla da baseball.
Finì appiccicato al muro.
Restò un attimo sospeso.
Poi cadde…
Ridevano tra loro
i guardiani: non
voleva rientrare …”
Compagno, la primavera
è stupenda da queste parti…”
PALMI, 16 dicembre 1984
TANTI AUGURI Sante………..
Guarda “Sante“:
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