Cagliari contesta Papa Paolo VI
Correva l’anno 1970 e in Sardegna quando già si poteva intravedere il fallimento del “Piano di Rinascita”, venne a far visita a Sant’Elia, uno dei quartieri più poveri di Cagliari, Papa Paolo VI.
Nato dalle analisi della commissione Medici sui problemi della Sardegna, il Piano di Rinascita poteva contare su ingenti finanziamenti pubblici volti, teoricamente, al rilancio dell’isola, ma anche e soprattutto all’eliminazione del fenomeno del banditismo. Il Piano di Rinascita si prefiggeva il compito di “liberare”, è questo il termine usato dai vari parlamentari della commissione, i sardi dal comparto agropastorale, prima causa del banditismo. Come riuscire in questa impresa era abbastanza chiaro, costruendo tre poli industriali da dare in mano a capitalisti stranieri in modo che dalle campagne la forza lavoro si riversasse negli impianti. Tutt’ora il fallimento di questo piano, che sta portando alla chiusura di sempre più fabbriche, porta all’emigrazione di migliaia di giovani e meno giovani alla ricerca di un lavoro in Italia o nel resto d’Europa.
E’ in questo contesto che si inserisce la visita di Papa Paolo VI in uno dei quartieri più poveri d’Italia, la cui condizione è peggiorata negli anni fino a diventare un vero e proprio ghetto che si difende dall’arrivo delle retate anti-droga con lanci di mobili dai palazzoni fatiscenti. Alcune parole del Papa in particolare infiammarono i giovani del quartiere che non poterono ascoltare in silenzio.
“Siamo venuti per dimostrare a voi e per dimostrare a tutti che Noi riconosciamo la vostra eguaglianza, conforto di tutti gli altri uomini”, “non e’ un fatto anche il conforto? non e’ forse di parole che vengono dalla bocca di Dio che vive l’uomo, prima ancora che di pane materiale?” e ancora “il Papa non e’ ricco, come tanti dicono. Noi abbiamo difficoltà a sostenere le spese per i servizi necessari all’andamento centrale di tutta la chiesa; e poi abbiamo tante necessita a cui provvedere”.
Violenti scontri si scatenarono quando a un gruppo di anarchici venne impedito di manifestare contro la visita del Papa: privati del megafono senza uno straccio di verbale, i presidianti si posizionarono davanti al corteo di macchine provocando la reazione brutale della polizia. A difesa degli anarchici, toccati da vicino dalle vergognose parole del Papa e esasperati dalla militarizzazione del quartiere, numerosi giovani cagliaritani si scontrarono con la polizia che riuscì a fermarne trecento. Ventidue di questi fermi vennero tramutati in arresti, mentre in molti denunciarono violenze subite in piazza e in questura.
Ecco una testimonianza da parte di uno dei giovani arrestati nell’aprile del ’70 a quarantun anni di distanza da quello storico evento:
“Era il 24 aprile 1970, avevo esattamente 22 anni e mezzo. Non mi interessavo del papa ma conoscevo un gruppo di giovani anarchici che da alcuni giorni conducevano una sorta di contropropaganda, che metteva in evidenza le contraddizioni fra la ricchezza e le spese che attorniavano la visita del papa e la miseria del quartiere più degradato della città. I giovani erano controllati a vista da un enorme schieramento di polizia privati del megafono che era stato usato nei giorni precedenti.
La visita del papa avvenne senza incidenti e, quando il corteo di Paolo VI aveva già lasciato S.Elia, la polizia, con tutto il suo armamentario, si mosse a sua volta per abbandonare il quartiere.
Ecco, fu lì che scoppiò il casino. Gli anarchici che avevano chiesto inutilmente che gli fosse restituito il megafono, requisito senza aver in cambio nemmeno un verbale, si portarono al centro del passaggio dei mezzi militari all’urlo “megafono-megafono!”.
Ero vicinissimo, pensavo che gli anarchici fossero avventati, che rischiavano grosso ma che avevano ragione. Mi precipitai perciò fra di loro, gridai l’invito a sedere per terra, a mani alzate, per mostrare le intenzioni non violente e mi sedetti fra di loro.
Non servì a nulla. L’attacco fu immediato. Botte, anche con le catenelle delle manette e arresti.
Io non presi colpi ma fui preso di peso e messo su un cellulare, arrestato e imprigionato.
La stessa ricostruzione è venuta a galla solo col tempo perché lo scatenarsi delle veline di regime e di quasi tutti gli organi di informazione aveva immediatamente gridato dell’attacco al papa.
Io fui assolto e liberato dopo sette mesi ma l’effetto della campagna mediatica fu raggiunto pienamente. Erano i tempi degli “opposti estremismi” e la cosa fu ben usata per criminalizzare il movimento e la sinistra e far pagare quindi a lavoratori e masse popolari un prezzo altissimo in termini di repressione e di esclusione dal diritto alla libera organizzazione e manifestazione delle proprie rivendicazioni”.
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