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L‘ultima azione di Rote Zora

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“Rote Zora nasce da una scissione del Revolutionäre Zellen (Cellule rivoluzionarie), costituita da donne si forma come gruppo di guerriglia urbana femminista.

Il gruppo, che trae il suo nome dal libro Die Rote Zora und ihre Bande (Rote Zora e la sua banda) di Kurt Held (una fiaba che racconta le vicende di una “terribile” ragazzina che rubava ai ricchi per dare ai poveri), si palesò in Germania nel 1974 quando, per protestare contro le leggi antiabortiste, fu collocato un ordigno esplosivo presso il tribunale di Karlsruhe. In seguito sono a loro attribuite gli attentati presso il collegio federale dei medici (1977), in numerosi sexy shop, contro le macchine di lusso e contro le società Siemens e la Nixdorf Computer. Pur portando numerosi attacchi, il gruppo è sempre stato attento a prendere le dovute precauzioni per non colpire fisicamente alcun individuo.

L’ultima azione della Rote Zora risalirebbe alla notte del 24 luglio 1995, nei pressi di Lürssen, contro un’impresa che consegnava armi al governo turco ed in solidarietà con le lotte delle donne kurde contro lo Stato turco.”

 

Questa intervista è stata pubblicata per la prima volta nel giugno ’84. 

 

Cominciamo da questo, chi siete?

Se lo intendi dal punto di vista personale allora siamo donne tra i 20 e i 51 anni, alcune di noi vendono la propria forza lavoro, altre si prendono ciò di cui hanno bisogno, altre ancora non sono ancora passate attraverso i fili della rete sociale.

Alcune di noi hanno figli, molte altre no. Alcune sono lesbiche, altre amano gli uomini. Facciamo la spesa in supermercati disgustosi, abitiamo in case odiose, andiamo volentieri al cinema o a teatro o in discoteca, festeggiamo quando c’è da festeggiare e cerchiamo di faticare il meno possibile. Viviamo nella contraddizione che tante cose che vorremmo fare non sono possibili. Però dopo le azioni che riescono ci sentiamo veramente felici.

Come avete scelto il nome di Rote Zora?

“Rote Zora e la sua banda” è una fiaba di una ragazzina terribile che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Fare bande, muoversi al di fuori della legge sembra essere oggi una prerogativa dei maschi. Ma soprattutto per questo i mille vincoli privati e politici con cui veniamo soffocate come ragazze e come donne, ci dovrebbero rendere in massa bandite per la conquista della nostra libertà e della nostra dignità di essere donna. Le leggi, il diritto e l’ordine sono fondamentalmente contro di noi, anche se, combattendo duramente, abbiamo strappato due o tre diritti che, comunque, dobbiamo difendere continuando a lottare. La lotta radicale femminista e l’obbedienza alle leggi sono due cose che fanno a pugni tra loro!

Però non è un caso che il vostro nome abbia le stesse iniziale delle Revoluzionarien Zellulen (Cellule Rivoluzionarie).

No, naturalmente non è un caso. Rote Zora esprime anche gli stessi principi delle Revoluzionarien Zellulen, lo steso concetto di strutture che si muovano nell’illegalità, di rete che sfugga al controllo e all’intervento dell’apparato repressivo. Soltanto così possiamo compiere, in relazione con le lotte legali di altri movimenti, azioni sovversive dirette. “Noi rispondiamo con la lotta”, questo slogan delle donne del maggio ’68 oggi non è messo in discussione per quanto riguarda la violenza contro le donne, ma è invece criminalizzato quando rappresenta una risposta contro il dominio che riproduce sempre di nuovo questa violenza.

Quali azioni avete compiuto fino adesso e contro quali obiettivi?

Le donne di Rote Zora hanno cominciato nel ’74 con un attentato alla corte Costituzionale di Karlsruhe, perché tutte noi volevamo l’abrogazione dell’articolo 218 [legge di regolamentazione dell’aborto].

Nella notte di Walpurg abbiamo attaccato l’Ordine dei Medici perché da lì veniva ostacolata con ogni mezzo la già misera riforma sull’aborto. Poi l’attentato alla Schering durante il processo Duogynon. E poi sempre e a ripetizione, attacchi contro porno-shop. A dire il vero di questi porno-shop deve esserne bruciato uno ogni giorno.

Dunque riteniamo assolutamente necessario strappare dalla dimensione privata la nostra rabbia contro lo sfruttamento della donna, come oggetto sessuale e come macchina riproduttrice, e mostrarla con il fuoco.

Però non vogliamo limitarci soltanto all’attacco a queste strutture legate direttamente e visibilmente all’oppressione delle donne.

Come donne siamo anche colpite dalla violenza della società nel suo insieme, dalla distruzione della natura, dalla ristrutturazione della città, alle più diverse forme di sfruttamento capitalistico, in ogni caso condizioni di oppressione a cui sono sottoposti anche gli uomini.

Non vogliamo la divisione dei compiti ‘di sinistra’ secondo il motto ‘le donne per i problemi delle donne, gli uomini per i problemi politici generali’. Non ci facciamo togliere le responsabilità dell’iniziativa nella vita quotidiana. Per questo ad esempio abbiamo incendiato le macchine di lusso degli avvocati della ‘lega dei proprietari del quartiere Kaussen’ che erano responsabili di un gran numero di sfratti brutali. Sempre per questo abbiamo distribuito gratuitamente (insieme alle Revoluzionarien Zellulen) ristampe dei biglietti dei mezzi pubblici per imporre la gratuità del servizio.

Gli ultimi attentati li abbiamo rivolti contro la Siemens e la Nixdorf. Esse accelerano, con lo sviluppo di nuove tecnologie di controllo, le sempre più sofisticate possibilità di produzione bellica e di controguerriglia. Oltre a ciò ci interessava anche la loro funzione di avanguardia nella ristrutturazione del lavoro, soprattutto a spese delle donne, in tutto il mondo. Come qui da noi, grazie alle tecnologie di queste ditte, le donne vengono sempre più isolate l’una dall’altra con il lavoro a domicilio e part-time e sfruttate senza assicurazioni sociali, allo stesso modo le donne del cosiddetto Terzo Mondo vengono sistematicamente consumate nella produzione di queste tecnologie e a 25 anni sono letteralmente distrutte dal lavoro.

Quanto è importante per voi questa relazione con lo sfruttamento delle donne del Terzo Mondo?

Questo rapporto lo abbiamo chiarito fino adesso in tutti i nostri attentati, in particolare negli attacchi dello scorso anno contro i commercianti di donne e l’ambasciata filippina. Noi non combattiamo per le donne dei paesi della Periferia, ma con loro, contro lo sfruttamento delle donne come merce. Il moderno commercio di schiave ha il suo corrispettivo nelle condizioni di possesso nel matrimonio; le forme di oppressione sono diverse, ma hanno radici comuni. La divisione fra donne e uomini corrisponde internazionalmente a quella tra i popoli del Primo e del Terzo Mondo. Noi stessi/e viviamo sulla divisione internazionale del lavoro. Vogliamo combattere contro questo sistema e far emergere quello che abbiamo in comune con le donne di altri paesi.

Avete chiarito come interpretare la vostra pratica politica. Ma non avete ancora parlato del vostro rapporto organizzativo con le Revoluzionarien Zellulen?

Principalmente perché troviamo corretta la politica sviluppata dalle Revoluzionarien Zellulen. Noi vi abbiamo introdotto nuovi contenuti e per questo siamo organizzate autonomamente come donne; ci rifacciamo però all’esperienza delle Revoluzionarien Zellulen. Da questo rapporto il lavoro collettivo dei gruppi radicali ne esce rafforzato così come l’insieme della Resistenza.

Ci sono forme produttive di lavoro collettivo come sono state ad esempio le azioni sulla visita di Reagan e il documento sul movimento per la PAX. Ci sono naturalmente anche discussioni animate, perché gli uomini che si pongono su di un terreno di rottura radicale con il sistema e portano avanti conseguentemente una prassi di lotta, fanno spesso balzi troppo in avanti per capire cosa significa lotta antisessista e quale significato ha questa lotta in una prospettiva di rivoluzione sociale. Tra l’altro tra noi è spesso in discussione dove siano i limiti nei quali la nostra collaborazione con le C.R. rafforza o indebolisce la lotta delle donne. Noi crediamo però di rapportare la nostra identità femminista con le donne delle C.R.

Vuol dire che vi riconoscete nel femminismo?

Si, naturalmente partiamo dal punto di vista che il personale è politico. Perciò, secondo la nostra concezione, tutte le condizioni sociali, economiche e politiche, che strutturano e consolidano il cosiddetto ‘privato’, sono un invito alla lotta soprattutto per noi donne.

Queste sono le catene che noi vogliamo rompere. Ma non basta considerare l’oppressione delle donne nella RFT come unico tema politico e tralasciare altre condizioni di potere e violenza come lo sfruttamento delle classi, il razzismo e lo sterminio di interi popoli tramite l’imperialismo. Vale a dire che l’oppressione delle donne e la divisione sessuale del lavoro sono le cause prime e le basi per ogni forma di sfruttamento e di potere sia nei confronti delle razze, che delle minoranze, dei vecchi, dei malati e soprattutto nei confronti dei rivoluzionari e degli ‘irriducibili’.

Per noi i problemi cominciano nel momento in cui vengono usate le richieste femministe per richiedere ‘emancipazione’ e riconoscimento. Noi non vogliamo donne al posto degli uomini e rifiutiamo le donne che vogliono fare carriera dentro alla struttura patriarcali sotto il manto della lotta femminista. Queste carriere rimangono un atto individuale, di cui approfittano soltanto alcune donne privilegiate. L’amministrazione, la forma del potere in questa società, viene concessa alle donne soltanto se rappresentano gli interessi degli uomini.

Il movimento delle donne era forte negli anni ’70. Ha raggiunto qualcosa tramite le vie legali. Le sue parole d’ordine sono: lotta contro la 218, riconoscimento della violenza contro le donne subita nel matrimonio e nella famiglia, stupro come atto di potere e di violenza, creazione di strutture di contropotere autonome. Allora perché ritenete tanto utile la lotta armata?

Certo, il movimento delle donne ha raggiunto molti risultati e io trovo che quello più importante consista nel fatto che nella società si sia formata una coscienza sull’oppressione delle donne. E anche che le donne non sentano più l’oppressione come individuale, che non si attribuiscano cioè la colpa della propria miseria, ma che invece alcune di noi si siano messe insieme e abbiano sentito la loro forza comune. Anche tutto ciò che è stato creato dalle donne, librerie per donne, centri per donne, riviste e luoghi d’incontro come l’università estiva e i congressi, fa ormai parte della realtà politica e costituisce un solido punto fermo per il futuro sviluppo della nostra lotta.

Alcuni successi erano anche dovuti ad una mutata situazione sociale nella quale potevano essere concessi spazi liberi alle donne, per esempio furono creati più asili quando le donne cominciarono a lavorare nelle fabbriche e negli uffici.

Ma tutto ciò non ha portato ad un mutamento radicale della condizione femminile. Per questo serve un movimento stabile i cui obiettivi non siano compatibili, la cui componente radicale non si lasci ingabbiare in forme legali, la cui rabbia e decisione si esprima in lotte extraparlamentari ed in forme anti istituzionali.

La via legale non basta, visto che le strutture di oppressione e di violenza sono anch’esse legali: quando i mariti picchiano le mogli e le violentano questo è legale. Quando i commercianti di donne comprano le nostre sorelle del Terzo Mondo e le vendono a questi uomini tedeschi, questo è legale. Se le donne, per garantirsi un’esistenza minima, devono fare i lavori più squallidi e con questo rovinarsi la salute, questo è legale.

Sono tutte situazioni di violenza che non vogliamo più sopportare e accettare e che non possono neanche essere abolite se ci limitiamo alla critica. Creare nella società la coscienza che esiste la violenza contro le donne era un passo importante, che però non ha portato alla sua eliminazione. È una realtà in cui alle evidenti ingiustizie a cui sono sottoposte le donne corrisponde una incredibile ignoranza. Ed è questa forma di acquiescenza che fa comodo ai maschi. Questa ‘situazione di normalità’ è il motivo per cui c’è poca resistenza militante. Perciò sabotiamo, boicottiamo, danneggiamo, vendichiamoci per la violenza e le umiliazioni subite attaccandone i responsabili.

Come considerate il movimento femminista oggi?

Parlare di movimento femminista secondo noi è fuorviante perché si intende ciò che è rimasto delle vecchie strutture, dei vecchi progetti, dei vecchi punti di ritrovo, del vecchio concetto di autocoscienza. Ci sono tante tendenze diverse che non si completano tra di loro, ma si escludono e arrivano a combattersi.

Del resto i nuovi impulsi politici partono da altre situazioni, dalle donne che sono coscienti della loro oppressione, che mettono in discussione le strutture patriarcali e fanno una politica per le donne; per esempio le donne nei gruppi latino-americani, le donne nelle lotte per le occupazioni di case e nei gruppi antimperialisti. Perciò la frase ‘il movimento femminista è morto, viva il movimento femminista’ è giusta.

Il movimento femminista non è un movimento parziale come quello antinucleare oppure quello delle occupazioni, che si risolvono se non vengono più costruite centrali nucleari o quando non ci sono più a disposizione oggetti di speculazione edilizia. Il movimento femminista combatte la totalità delle strutture patriarcali e le tecnologie, l’organizzazione del lavoro, la relazione con la natura legate a questa totalità ed è perciò un movimento che non scompare con l’eliminazione di singole contraddizioni, ma soltanto nel lungo processo della rivoluzione sociale.

Il movimento femminista non ha mai analizzato per bene la sconfitta rappresentata dalla legge 218 e dal finanziamento statale ai progetti come le case per le donne. In più è stata anticipata la svolta nella politica familiare con un’ondata di nuove maternità nel movimento femminista. È necessario un comportamento che neghi la politica statale.

La questione delle classi è sempre stata elusa dal movimento femminista, differenze sociali vennero negate nell’uguaglianza dello sfruttamento sessista. Questo complica, soprattutto nella crisi odierna, una risposta al peggioramento delle condizioni di lavoro e alla politica familiare reazionaria. Qui, la mancanza di una prospettiva di azione per reagire meglio alla crisi porta al dilemma: o avanzare apertamente contro la politica reazionaria o salvare soltanto lo sviluppo della soggettività negli spazi liberi per le donne.

Non possiamo risolvere teoricamente questa contraddizione, ma siamo sicure che non è una soluzione vincente formare consigli di donne all’interno delle istituzioni. Per esperienza sappiamo che noi donne non possiamo raggiungere il potere per strade che sono state tracciate soltanto per garantire il dominio patriarcale per escluderci nei fatti. Per ciò vediamo nei consigli di donne che sono stati messi in piedi con lo scopo di introdurre nuove tematiche nei partiti e nelle istituzioni, un metodo sbagliato.

Nel frattempo ci sono altre discussioni importanti che hanno come centro le tendenze dello sviluppo sociale e analizzano gli effetti dello sfruttamento tramite le nuove tecnologie, le nuove forme di salario e di lavoro, e in particolare le loro conseguenze per le donne, definendo così sempre meglio le strutture di violenza indiretta. Si comincia a comprendere e a rispondere alla guerra di ogni giorno contro le donne, all’ondata pornografica e all’incremento della propaganda offensiva nei confronti delle donne, ma anche all’invito sociale alla maternità e alla ‘femminilità’. Come si comprende anche che la crisi e la nuova strategia del capitale hanno come presupposto questa tendenza di ritorno al passato per le donne e per la famiglia.

La politica demografica, di cui è parte la revisione della 218, è il tentativo di esercitare un’influenza qualitativa sullo sviluppo della popolazione. Assieme alle biotecnologie, questa politica demografica cerca di rinforzare il buon ceto medio tedesco; un tentativo che deve essere impedito.
Più che mai oggi abbiamo bisogno di un movimento femminista radicale, che sia capace di impedire e di rompere l’accerchiamento sociale e politico non soltanto delle donne, ma anche di altri ceti sociali come gli stranieri e le minoranze. Un movimento femminista di liberazione che non lasci la speranza della rivoluzione nella sfera del sogno.

Vi considerate parte del movimento femminista, della guerriglia o di tutti e due? E che rapporto vedete tra loro?

Facciamo parte del movimento femminista, lottiamo per la liberazione delle donne. Accanto agli elementi comuni nella teoria, ci sono dei legami anche tra la nostra prassi ed il movimento legale: propriamente nella radicalizzazione soggettiva, che può dare anche alle altre donne il coraggio di prendere sul serio se stesse e la Resistenza. Vorremmo dare alle donne la sensazione di essere forti e di poter fare delle cose se lo si vuole. Non pensiamo però che tutto debba essere fatto così come lo facciamo noi. Ci piacciono anche delle azioni come ad esempio quelle fatte a Berlino da donne che sono entrate in un porno-shop e hanno fatto scritte e buttato fiale puzzolenti. Azioni del genere ci rafforzano e speriamo che le nostre possano essere di stimolo per le altre donne.

Il nostro sogno è quello che si costituiscano dappertutto piccoli gruppi di donne organizzate capaci di intimidire e di attaccare in ogni città stupratori, mariti che picchiano le mogli, editori di riviste pornografiche, ginecologi maiali…

Queste azioni possono mettere in pericolo anche la vita di persone estranee…

Proprio il rischio di mettere in pericolo delle vite ci costringe ad una responsabilità particolare: sarebbe paradossale che per lottare un sistema che considera la vita umana solo per quanto può essere sfruttata si diventasse altrettanto cinici e brutali. Ci sono diverse azioni che abbiamo lasciato perdere perché non avremmo potuto escludere rischi per estranei… certe industrie sembrano costruire apposta le loro sedi in quartieri pieni di gente e in palazzi abitati anche da famiglie per proteggersi.

Come rispondete a chi dice che le azioni armate danneggiano il movimento, e che la repressione e la criminalizzazione che ne segue porta all’allontanamento e all’isolamento di sempre più donne?

Non sono le azioni che danneggiano il movimento!

Al contrario le azioni aiutano direttamente il movimento. I nostri attacchi ai commercianti di donne hanno contribuito, per esempio, a smascherarli e a ‘chiarire’ loro che se continuano con i loro commerci devono fare i conti con la resistenza delle donne. E questo rende forte il movimento.

E poi isolare con tutti i mezzi la determinazione radicale, per indebolire il movimento intero, questa è la strategia dello stato per combattere la Resistenza; abbiamo già visto negli anni ’70 dove si va a finire quando alcune parti della sinistra fanno propria la propaganda dello stato e cominciano a dare a chi combatte senza compromessi la responsabilità per le persecuzioni, la distruzione e la repressione. Costoro non è che abbiano solamente confuso la causa con gli effetti, ma hanno anche implicitamente giustificato il terrorismo di stato e hanno contribuito ad indebolire la protesta e la resistenza.

Visto che le azioni armate hanno ‘un effetto terrorizzante’ come possono capire la vostra pratica le donne che non sono organizzate in gruppi autonomi e radicali?

Perché dovrebbe produrre un ‘effetto terrorizzante’ un attentato contro un’auto e non ad esempio un uomo che vende le donne?    Chi si sente ‘terrorizzato’ solo perché viene bruciata una macchina nasconde dietro questo modo di pensare il principio che la violenza ‘legale’ della società deve essere accettata, mentre la controviolenza deve essere esorcizzata.

 

Guarda “Rote Zora”:

 

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