La strage di Hebron
Hebron è il centro abitato più grande di tutta la Cisgiordania. In questo luogo vivono circa 200.000 palestinesi ovviamente accanto ai “coloni”.
Qui sono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe, i Patriarchi delle origini. Gli insediamenti israeliani, i “settlements”, sono proprio all’interno del centro storico. Dal punto di vista religioso è seconda per importanza solo a Gerusalemme. Per gli arabi Hebron si chiama Al Khalil, per Israele Hevron.
Proprio qui, il 25 febbraio del 1994, Baruch Goldstein, un membro d’origine statunitense dell’organizzazione della Lega di Difesa Ebraica, medico ed ex ufficiale dell’esercito, trucidò a colpi di fucile mitragliatore decine di musulmani impegnati nella preghiera canonica presso la tomba dei patriarchi, luogo di preghiera sia per musulmani che per ebrei.
Quella mattina Baruch Goldstein, tra le 5 e le 5,30, vestito da ufficiale medico, varca l’ingresso del santuario (solitamente molto sorvegliato, ma non quella mattina) e nessuno dei tre militari di guardia lo ferma.
Goldstein non deposita il mitra d’assalto Galil che porta a tracolla, né toglie le munizioni dall’arma come prevede il regolamento, e si dirige verso la sala di Abramo, che è la sala dove pregano gli ebrei, collegata a quella di Isacco, dove pregano i musulmani, attraverso una porta che avrebbe dovuto essere chiusa. Quella mattina stranamente era aperta. Non è ben chiaro quanto tempo passa, se pochi minuti o un quarto d’ora, e si sentono i primi spari. I soldati all’ingresso non capiscono cosa sta succedendo. Sono soltanto in tre, un quarto dorme. Ma dovevano essere in otto. Gli altri quattro stranamente non si presentarono. Dalla sala destinata a moschea comincia a uscire una folla disperata trascinando i primi feriti insanguinati. I soldati dissero di aver sparato in aria per disperdere la folla minacciosa invece spararono ad altezza uomo.
All’interno Goldstein continuava a massacrare gli odiati arabi, spostandosi da una colonna all’altra fino ad esaurire quattro caricatori.
Come se non bastasse i residenti palestinesi di Hebron ne subirono le conseguenze anche dopo la strage.
Per “prevenire” altri attentati, la Moschea di Ibrahimi verrà di fatto divisa in due parti: unico luogo visibile ad entrambi, musulmani ed ebrei, la stanza con la Tomba di Abramo. Viene anche divisa in due parti la città: Hebron 1 affidata al controllo dell’Autorità nazionale palestinese ed Hebron 2 controllata dall’esercito israeliano. La seconda tappa degli accordi di pace di Oslo, firmata nel 1995, formalizzerà questa divisione. I soldati israeliani ricevono l’ordine di “sterilizzare” in modo permanente le strade di Hebron 2, cioè di fatto il centro storico. Lì hanno deciso di insediarsi alcune centinaia di coloni ebrei, che chiedono e nel contempo impongono protezione “contro” i 40 mila palestinesi della zona.
Ancora oggi ovviamente tutto ciò continua. Ex soldati israeliani hanno denunciato ultimamente i soprusi compiuti durante il servizio militare ai danni di cittadini palestinesi fermati per controlli: sequestrati per ore, pestati a sangue o, nel peggiore dei casi, uccisi.
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