Gli “omicidi dei taxi” della Volante Rossa
27 gennaio 1949
Non è l’Italia che volevano i partigiani, quella che nasce dalla liberazione. Un poco graduale processo di riabilitazione viene messo in pratica ad ogni livello nei confronti dei fascisti. La fiducia popolare nelle nuove istituzioni repubblicane, si increspa dopo le prime assoluzioni ai processi, rese possibili anche dall’Amnistia Togliatti. Il mancato rinnovamento nei posti di potere porta ad un paradossale (a guardarlo oggi neanche tanto) ribaltamento della storia: magistrati e forze dell’ordine fasciste che difendono la repubblica, arrestando quei partigiani e operai che l’avevano liberata. A chi non va che tutto rimanga come prima non resta che organizzarsi per regolare quei conti lasciati aperti dallo stato.
Non è facile inquadrare in breve la situazione italiana di quel periodo. Quasi tutte le formazioni partigiane non hanno consegnato le armi. La Brigata Garibaldi per difesa contro le squadracce qualunquiste, monarchiche e neofasciste che hanno ripreso ad attacare le case del popolo e le sedi del Pci; i partigiani bianchi democristiani, contro un’eventuale insurrezione rossa.
E’ in questo contesto che a Lambrate, nell’estate del ’45 nasce la Volante Rossa – Martiri Partigiani. Il nome lo acquisisce da una precedente formazione che aveva operato nell’Ossola nel ’44. E’ composta da ex partigiani, operai e giovani comunisti che non ritengono conclusa la guerra di liberazione.
La condotta del Pci è in quegli anni molto particolare. Da un lato le direttive sovietiche (mai disattese dalla dirigenza togliattiana) di inserirsi nel processo democratico per non squilibrare i rapporti di Yalta; dall’altro, lo schizofrenico tentativo di mantenere vicina una base sociale proiettata verso una liberazione rivoluzionaria del paese. E’ in questa ambiguità di atteggiamento che trovano spazio i militanti della Volante. Questi hanno la facoltà di ritrovarsi nella Casa del Popolo di Lambrate, di svolgere da servizio d’ordine nei cortei, ma non di iscriversi al partito.
Lo scopo primo dell’organizzazione, ben coperto da una facciata pubblica di circolo giovanile, è quello di pareggiare i debiti che i fascisti hanno con la giustizia popolare.
Tra le molte azioni compiute, la più famosa è quella ribattezzata degli “omicidi dei taxi”, compiuta il 27 gennaio del ’49 verso la fine della Volante Rossa. I fascisti destinati quel giorno a pagare il conto con la giustizia si chiamano Felice Ghisalberti e Leonardo Massaza. Il primo è colpevole di aver ucciso Eugenio Curiel, partigiano e militante comunista, il 24 febbraio del ’45, e di essere stato assolto dai tribunali istituzionali; l’altro di essere una spia dell’Ovra, la polizia politica del regime, grazie alla quale erano stati fucilati diversi partigiani. Il nucleo che compie l’azione, formato da Marco (Eligio Trincheri), Lino (Natale Burato), Pastecca (Paolo Finardi), decide di condensare in un’unica volta i rischi delle esecuzioni.
La mattina del 27 Marco e Pastecca prendono un taxi per Milano, dove aspettano che Ghisalberti esca dalla trattoria dove è solito pranzare. Appena lo vedono aprono il fuoco da dentro l’auto, e poi si allontanano. Lasciano il taxista a Lambrate, e pagano la corsa dopo avergli consigliato di andare subito a denunciare il fatto alla polizia, alterando le descrizioni degli identikit. Il taxista è un comunista, e sembra capire.
La sera stessa tornano a Milano con Lino, e prendono un altro taxi fino a casa di Massaza. Lo freddano sulla porta del suo appartamento. Questa volta il taxista cerca di darsela a gambe, ma viene convinto a trattenersi. Questa volta devono insistere per pagare la corsa.
Guarda “Volante Rossa: “Facevamo quello che dovevamo” – Trailer“:
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