Autonomia romana sotto inchiesta
Sono i primi mesi del 1975 e da qualche tempo a Roma due parole sono sulla bocca di tutti: Autonomia Operaia.
Dalla stampa, dalle questure, dai magistrati e dal governo viene sferrato un attacco concentrico all’autonomia romana; il tentativo è chiaro: ricondurre sotto questo nome tutti i fatti che negli ultimi due anni hanno agitato le strade e le facoltà della capitale.
Il 5 Febbraio si apre una così una grossa inchiesta: il punto d’arrivo di settimane di intimidazioni, arresti ingiustificati, piogge di denunce e sorveglianza continua verso la sede di via dei Volsci.
Tra dicembre del 1974 e gennaio del 1975 i casi in cui questo clima da caccia alle streghe si palesa sono innumerevoli: cortei caricati brutalmente (anche quando autorizzati), compagni e compagne apostrofati dalle forze dell’ordine con frasi del calibro di “dillo carogna che sei di via dei Volsci, adesso ti rompo il culo!”, altri accusati di fatti avvenuti mentre si trovavano già in stato di fermo per denunce precedenti, collettivi universitari assimilati totalmente all’autonomia dalle pagine dei giornali.
La strategia di repressione arriva anche a costruire ad hoc eventi provocatori: è il caso del 22 dicembre del ’74, data in cui il MSI convoca un comizio con Rauti ed Anderson a Monteverde, sede (guardacaso) di un collettivo colpito pochi giorni prima dall’ennesima serie di intimidazioni e di perquisizioni infondate.
Studenti e proletari si riuniscono in corteo per impedire il raduno fascista ed alcuni compagni si fermano lungo il percorso per fare delle scritte sui muri; la reazione della polizia è a dir poco assurda: vengono sfoderati i mitra e un colpo d’arma da fuoco parte e colpisce un compagno, Luigi De Santis, che viene arrestato e trattenuto per alcune settimane con accuse incredibili.
L’obiettivo è dunque chiaro: criminalizzare l’autonomia agli occhi dell’opinione pubblica (obiettivo perseguito con un considerevole appoggio della stampa, che si impegna a tenere giornalmente alla ribalta la sede di via dei Volsci, spesso con ricostruzioni dei fatti a dir poco fantasiose) ed intimidirne non solo i militanti ma anche tutti coloro che, pur non facendone parte, vengono fermati durante lotte di massa ed etichettati forzatamente come appartenenti ad AO.
La strategia è chiara ma ci si trova di fronte ad un fatto nuovo: ad abbattersi sui militanti romani non è repressione ordinaria, parte integrante di ogni lotta; si tratta invece di un tentativo, da parte del capitale, di piegare il movimento alle proprie necessità strutturali e di eliminare la componente rivoluzionaria del movimento per distruggere assieme ad essa qualsiasi tensione sociale che si rivolta contro la crisi.
La guerra è iniziata e l’attacco del padrone non ha usato mezzi termini: per il movimento si tratta di stringere i denti e di incassare il colpo per ripresentarsi rafforzati ai nuovi appuntamenti, forti anche di questa esperienza.
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