Muore Jean Vigo
Jean Vigo nasce a Parigi il 26 aprile 1905 da Emily Clero e Eugene Bonaventure de Vigo. Il padre è un conosciuto anarchico francese, direttore del giornale «Le Bonnet Rouge» in cui era solito firmarsi con lo pseudonimo “Miguel Almereyda” (il cognome è anagramma di Y a la merde [C’é della merda!]).
La sua infanzia è assai misera, duramente segnata dalla militanza del padre che frequentemente deve fare i conti con la repressione istituzionale: perquisizioni, arresti e condanne si susseguono. Nel 1917, dopo l’ennesima condanna ed arresto avvenuto nel 1914, il padre di Jean viene misteriosamente trovato morto nella prigione di Fresnes. Ufficialmente si sarebbe strangolato con i lacci delle scarpe, ma più di un dubbio sorgerà su questa vicenda.
Jean ha soltanto 12 anni, e contrae una grave forma di tubercolosi. Dopo essere stato inizialmente accudito da Gabriel Aubès, suocero di Miguel Almeyreda, il giovane Jean, su consiglio di un medico, viene inviato a Millau nella speranza che l’aria più salubre lo aiuti a rimettersi in un buono stato di salute. Nella cittadina francese è ospite di un Collegio che si occupa anche della sua educazione, ma Jean però non si adatta a quella vita fatta di una ferrea e insopportabile disciplina. Lasciata Millau nel 1925, Jean Vigosi iscrisse alla Sorbona dove seguì i corsi di filosofia, ma dopo il 1926 fu costretto a più ricoveri in un sanatorio sui Pirenei, a Font-Romeu, per curare la tubercolosi. In quel luogo triste e desolato incontrò Elisabeth Lozinska (1907-1939) per tutti Lydou, figlia di un industriale ebreo di Lodz. I due si innamorarono e si trasferirono a Parigi nel novembre del 1928. Vigo nella capitale iniziò ad entrare in contatto con importanti ambienti cinematografici. Conobbe surrealisti e futuristi, e anche Germaine Dulac (Amiens, 17 novembre 1882 – Parigi, 20 luglio 1942) la prima regista femminista della storia. Quest’ultima, colpita dall’energia del ragazzo, gli promise il suo appoggio per un incarico alla Franco-Film.
L’occasione si presentò quando Jean e Lydou decisero di stabilirsi in Costa azzurra. Nel dicembre del 1928 i due giunsero a Nizza ospitati da Jeanine Champol, una vecchia comunardo e spesso bambinaia del piccolo Jean. Il 24 gennaio 1929 i due giovani si sposarono e il suocero regalò loro centomila franchi per avviare un’attività. Jean e Lydou ne approfittarono per fare una vacanza a Parigi e per comprare una telecamera, marca Debrie. Nella capitale francese Vigo conobbe Boris Kaufman, fratello minore di David Kaufman meglio conosciuto come Dziga Vertov, uno dei più importanti teorici e registi della cinematografia sovietica. Tra i due nacque subito un’amicizia e dopo qualche settimana Vigo e Kaufman iniziarono a girare A propos de Nice (A proposito di Nizza, 1930). Un documentario non convenzionale sulla città di Nizza vista attraverso gli elementi che la contraddistinguono: dal gioco al turismo passando per il divertimento del carnevale. Elementi che contrastano con la vita quotidiana della povera gente (emblematici i fiori lanciati e calpestati durante la festa, ma raccolti faticosamente dalle proletarie) dove perfino la morte è un fastidio alla “bella vita”. L’impostazione surrealista dal gusto dissacratorio, il “cineocchio di Vertov” e la provenienza trasgressiva si fusero per raccontare la “bianca città degli ozi e dell’evasione”. Terminato il montaggio Vigo cercò una distribuzione per il suo film, ma dopo due proiezioni, avvenute al teatro il film venne ritirato. Fu riammesso in circolazione solo nell’ottobre successivo grazie all’interessamento della Pathé-Nathan che decise di programmarlo in esclusiva alla Studio des Ursulines. Il regista, tuttavia, fu costretto, a causa della salute malferma, a tornare a Nizza dove diede vita ad un cineclub che chiamò “Les Amis du Cinéma” (“Gli amici del cinema”), la cui inaugurazione si tenne il 19 settembre del 1930 alla presenza di Germaine Dulac. Vigo tornò a Parigi e ottenne l’incarico dalla Gaumont-Franco-Film-Aubert di realizzare un breve documentario sportivo.
Nacque così “Taris o del nuoto” 1931 conosciuto anche con i titoli Taris, roi de l’eau; Taris, champion de natation. Dedicata a Jean Taris, tra i più grandi nuotatori di Francia, la pellicola doveva avere solo uno scopo didattico, illustrare le tecniche di nuoto, ma Vigo la elevò a qualcosa di onirico e sperimentò una allora insolita ripresa sott’acqua.
In forti difficoltà economiche, Vigo fu costretto a vendere la sua telecamera Debrie per pagare le spese di parto di Lydou. Il 30 giugno del 1931 nacque Luce Vigo e tutto sembrò più bello anche perché arrivò la proposta di realizzare un secondo documentario sportivo dedicato al tennista Henri Cochet. Vincitore cinque volte al Roland Garros, due volte a Wimbledon e una volta allo US Open, Cochet fu anche, insieme a René Lacoste (che anni dopo lanciò una fortunata linea di abbigliamento contraddistinta dall’immagine di un coccodrillo, suo soprannome), Jean Borotra (poi Ministro dello Sport nella Francia di Vichy) e Jacques Brugnon, parte dei “Quattro moschettieri” che dominarono il tennis mondiale a cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta (a loro è tutt’ora dedicata la coppa del singolare maschile del Roland Garros). Vigo preparò con cura il copione che avrebbe alternato i giochi dei bambini con le gesta del grande campione, ma il film, intitolato Tennis, alla fine non si fece. Il suo cineclub viaggiava a gonfie vele, ma Vigo era stanco di vivere a Nizza. Voleva raggiungere Parigi per incontrare gli amici cineasti, i compagni libertari e comunisti che a causa della sua malattia vedeva raramente. In quei mesi le difficoltà economiche erano tante al punto che il regista pensò di abbandonare il cinema, ma sulla sua strada incontrò Jacques-Louis Nunez, un ricco uomo d’affari che ne intuì il genio e decise di produrre le sue pellicole. Scartati alcuni documentari, l’attenzione dei due si spostò sul primo film a soggetto del regista: Zéro de conduite (Zero in condotta). Le riprese degli interni iniziarono il 24 dicembre del 1932 negli studi della Gaumont e si conclusero il 7 gennaio del 1933, con una pausa per Capodanno e una nuova il 5 gennaio per i cronici problemi di salute di Vigo, che diresse alcune scene da sdraiato. Gli esterni, invece, vennero realizzati tra il 10 e il 22 gennaio. Dopo il montaggio e un prima proiezione per i collaboratori, il 7 aprile il film venne presentato a stampa a critici. Finite le vacanze i bambini di un collegio, sono costretti a rientrare in quel luogo angusto dove gli adulti infliggono loro punizioni severe e bloccano ogni slancio creativo. Quattro di loro, puniti con uno “zero” in condotta, decidono però di ribellarsi e, aiutati dal nuovo sorvegliante Huguet, mettono in atto una rivolta a colpi di cuscino. Gli adulti sono sconfitti e i ragazzi possono correre per i tetti, finalmente liberi. Il film più autobiografico di Vigo che attinse a piene mani dagli anni passati nei collegi e nei sanatori. Una splendida visione dei rapporti sociali, una profonda amarezza esistenziale di fronte alla crudeltà di una società classista e autoritaria, un bisogno di rivolta sincero. Irriverente, surreale, poetico. Tutto questo con dei bambini. Tutto questo in soli 47 minuti. Ma l’accoglienza di Zéro de conduite fu gelida e il film fu bollato come antifrancese e tagliato sia dalla produzione sia dalla censura. Oltralpe il film uscì solo nel 1945, ma ispirò generazioni di cineasti da François Truffaut a Lindsay Anderson che nel suo Se… (If…, 1968) trasportò il radicalismo di Vigo nella struttura classista inglese. Da segnalare, inoltre, la musica. Il compositore Maurice Jaubert scrisse il brano affinché fosse suonato al contrario. Un’altra innovazione che si univa ai rallentamenti dell’azione mostrati dal regista. La fotografica per la terza volta venne affidata a Kaufman. Nonostante le polemiche, Jacques-Louis Nunez non perse la fiducia nel regista e, dopo aver accantonato Evadé du bagne (Evasione dai lavori forzati) un film ispirato alle gesta di Eugéne Dieudonné, lasciò carta bianca per il successivo lavoro. Vigo iniziò così, casualmente, a lavorare con Albert Riera . Nacque così il “progetto Atalante”. E mentre Zero in condotta iniziava a raccogliere consensi all’estero, tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1933 il film, in parte ispirato ad un soggetto di Jean Guinée, iniziò a prendere forma. A novembre cominciarono le riprese che, nonostante alcune interruzioni causate dalla salute del regista, si conclusero alla fine di gennaio del 1934. Ma le condizioni di Vigo continuavano a peggiorare e il regista, ormai gravemente malato, diede all’amico Kaufman le indicazioni per girare le ultime scene. Jean e Lydou si recarono a Villard-de-Lans per un breve periodo di riposo affidando il montaggio a Louis Chavance. Tornarono a Parigi per assistere increduli al massacro de L’Atalante operato dalla GFFA che aveva, tra l’altro, fatto aggiungere brutalmente la canzone “Le chaland qui passe” (l’edizione francese dell’italiana “Parlami d’amore Mariù” scritta da Cesare Andrea Bixio e portata al successo da Vittorio De Sica) che divenne anche il titolo della pellicola. Il film venne così distribuito nel settembre dello stesso anno, ma a causa dello scarso successo, fu presto ritirato. Nel 1940 e nel 1950 furono integrate alcune scene mancanti, ma si dovette aspettare il 1990 per avere, grazie a fortunate ricerche e ad un accurato restauro filologico, la versione più vicina a quella pensata dal regista. Uno stupefacente spirito anticonformista attraversò L’Atalante, da alcuni criticato per l’assenza di una “storia convenzionale”. Ma a Vigo, come a Yasujirō Ozu prima e a Jacques Tatì dopo, la trama non interessava. Il regista voleva mostrare la maniera gioiosa, affascinata e libera con cui una donna si apre alla vita. Quella di Vigo, invece, stava per chiudersi. Affetto da setticemia virale, malattia aggravata dalle pessime condizioni generali e dallo sforzo compiuto per girare il suo quarto e ultimo film , Jena Vigo si spense alle ore 21 del 5 ottobre del 1934, ad appena 29 anni. Lydou, compagna di una vita, tentò di buttarsi dalla finestra, trattenuta a stento dagli amici. Morì il 24 aprile del 1939.
Guarda “Reportaje sobre “L’Atalante” de Jean Vigo”:
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