Il fallito golpe di Kornilov
Dopo la feroce repressione attuata nei confronti dei bolscevichi nel luglio ’17, il presidente del Consiglio del Governo provvisorio, Georgij Evgen’evič L’vov, si dedicò al rafforzamento dell’esecutivo e alla limitazione delle libertà concesse ai proletari dopo la rivoluzione di febbraio
Per prima cosa chiese al governo una più incisiva azione contro i contadini che occupavano illegalmente le terre dei latifondisti e pretese le immediate dimissioni di Cĕrnov, socialista rivoluzionario e ministro dell’agricoltura, affermando che, invece di reprimere, incoraggiava gli atteggiamenti illegali della popolazione. La reticenza di molti ministri verso delle dimissioni che apparivano forzate fece crollare il governo provvisorio, rafforzando la figura del socialista Aleksandr Fëdorovič Kerenskij. Questi, mostrandosi nelle vesti di “uomo della provvidenza”, fece in modo di essere eletto Primo ministro nel tentativo di ristabilire la disciplina nell’esercito.
Presto però, le politiche di Kerenskij fecero perdere quella poca fiducia che la popolazione serbava ancora nei confronti del Governo provvisorio. La repressione delle azioni contadine, la soppressione della propaganda bolscevica e le misure per riportare all’obbedienza le truppe, tra cui la reintroduzione della pena di morte, ma soprattutto la volontà di continuare la guerra contro i tedeschi a fianco delle potenze dell’Intesa contribuirono ed esasperare ulteriormente le masse, ormai sempre più persuase dalle proposte del Partito bolscevico.
Contemporaneamente, negli ambienti più conservatori e reazionari del paese, cominciava a serpeggiare un certo malumore per le recenti vittorie del movimento rivoluzionario e il costante fallimento del Governo provvisorio. Si faceva sempre più largo l’idea di un golpe militare che “normalizzasse” l’andamento politico ed economico del paese. Il nome più quotato nei circoli dell’estrema destra era quello di Lavr Georgievič Kornilov, da un mese nominato Supremo Comandante in capo delle forze armate del governo provvisorio; egli, seppur molto critico nei confronti dello Zar, riteneva che la Russia, in quanto alleata della Triplice Intesa, fosse vincolata a continuare la guerra contro gli Imperi centrali, e condivideva la diffusa convinzione di molti russi che, dopo la Rivoluzione di febbraio e la sconfitta militare, il paese sarebbe stato in gravi difficoltà e avrebbe potuto crollare nell’anarchia.
Kerenskij, sperando di consolidare la sua posizione, fece riunire il 12 agosto nel Teatro Grande di Mosca, un’assemblea (cui venne attribuita il nome di “Consiglio di Stato”) di oltre duemila persone in rappresentanza di tutti i partiti politici (tranne quello bolscevico), dell’esercito, della marina, dei soviet locali, delle associazioni imprenditoriali, dei sindacati, degli industriali, dei proprietari terrieri e dei banchieri.
Il discorso più atteso fu, giustappunto, quello di Kornilov che senza giri di parole chiese all’esecutivo poteri speciali per poter salvare la Russia dai bolscevichi e ristabilire l’ordine per mezzo dell’esercito.
Contemporaneamente i bolscevichi, che nel frattempo avevano tenuto, segretamente, il loro sesto congresso a Pietrogrado, scatenarono a Mosca uno sciopero di protesta al quale aderirono quattrocentomila persone. Il primo giorno di riunione il cosiddetto Consiglio di Stato si ritrovò senza elettricità, senza tram e senza ristoranti aperti; Kerenskij intimorito fece disporre dei cannoni a difesa del Teatro Grande.
La macchina della reazione si mise in moto il 19 agosto, quando Kornilov abbandonò la città di Riga all’esercito tedesco mettendo in pericolo di assedio la capitale, e cominciò a radunare truppe fedeli con cui iniziare la marcia su Pietrogrado.
Il Generale chiese allora a Kerenskij di proclamare lo stato d’assedio, ma quest’ultimo lo destituì cercando di passare per il salvatore della rivoluzione. La città cadde nel caos quando Kornilov, ormai sordo agli ordini del Primo ministro, ordinò al generale Krymov di far avanzare un corpo di cavalleria cosacca.
Furono i bolscevichi ad organizzare la difesa: venne immediatamente creato un “Consiglio di guerra per la difesa di Pietrogrado”, che organizzò venticinquemila operai aderenti alla Guardia Rossa, mentre i lavoratori delle industrie belliche Putilov prolungarono l’orario di lavoro portando a termine in due giorni l’assemblaggio di quasi duecento cannoni e i sindacati armarono altri cinquemila operai. Le unità dell’esercito coinvolte nelle giornate di luglio, che erano state disarmate, tornarono ad essere operative ed a loro si unirono alcune migliaia di marinai provenienti dalla base navale di Kronstadt.
Le locomotive che trasportavano la cavalleria di Krymov vennero disperse dai ferrovieri verso direzioni sbagliate o su binari morti, mentre molti agitatori bolscevichi raggiunsero le truppe di Krymov e le informarono delle intenzioni per le quali si intendeva sfruttarle: si ebbero così numerose defezioni.
Dopo appena due giorni i cosacchi di Krymov si arresero, e il loro comandante si suicidò a causa dell’umiliazione subita. Kornilov, l’uomo “dal cuore di leone ma dal cervello d’un coniglio”, Denikin ed altri ufficiali vennero arrestati, ma rilasciati tutti prima di ottobre in modo da evitare un processo che rivelasse i loro legami col Governo provvisorio.
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