Pantere Nere
Le Pantere Nere nascono il 15 ottobre del 1966 a Oakland per opera di due studenti : Bobby Seale e Huey P. Newton.
Nell’ottobre 2006 si è celebrato il quarantesimo anniversario della fondazione del Black Panthers, originariamente chiamato il “Black Panther Party for Self-defense” (Partito delle pantere nere per l’autodifesa).
Un anniversario celebrato in sordina, testimonianza che la distruzione del Partito da parte del potere negli Stati Uniti non ha soltanto annientato la struttura dell’organizzazione e i suoi militanti, ma ha anche lavorato per cancellare la loro memoria e il loro contributo storico, negando alle generazioni future la possibilità di giudicare da sé stesse cosa in realtà abbiano rappresentato. Il Partito nacque a Oakland, in California, frutto dell’intuito di due studenti del Merritt College, una piccola università pubblica i cui iscritti erano in maggioranza afroamericani. Huey Newton e Bobby Seale, insieme al loro amico d’infanzia David Hilliard, sono stati i primi tre iscritti del Partito. Erano figli di famiglie provenienti dal profondo Sud degli Stati Uniti, immigrate in California nel tentativo di migliorare la loro situazione economica. Tutti e tre avevano conosciuto in prima persona il regno del terrore che opprimeva gli afroamericani in quella parte del Paese. Le speranze che avevano spinto le loro famiglie a emigrare erano rimaste inappagate; le riforme – l’integrazione delle scuole, il diritto al voto e a frequentare i luoghi pubblici – ottenute dal movimento di protesta per i diritti civili non avevano fondamentalmente cambiato la vita degli afroamericani. Ironicamente questa condizione era sentita maggiormente nel Nord e nell’Ovest degli Stati Uniti, dove i soprusi erano meno visibili che nel Sud. Inoltre la guerra in Vietnam, in via di espansione, chiedeva alla comunità afroamericana di sacrificare i propri figli per combattere in una guerra da loro non voluta.
La frustrazione e la rabbia dei giovani era esplosa durante l’estate del 1965 quando, in seguito all’omicidio di un afroamericano da parte della polizia di Los Angeles, la popolazione di Watts, il quartiere nero, si era ribellata per cinque giorni e ne aveva distrutto gran parte. Il malessere era palpabile e secondo Huey, Bobby e David era arrivata l’ora di intervenire. L’idea fondante del Partito era semplice quanto geniale: la priorità in Oakland era quella di proteggere la comunità dalla brutalità delle forze dell’ordine locali. Per questo le prime azioni pubbliche dei Black Panthers furono di seguire a distanza ravvicinata le auto della polizia, di osservare e, a volte, di intervenire quando un afroamericano veniva fermato. Inizialmente le uniche armi utilizzate erano una copia della Costituzione e una copia del codice penale dello stato della California, in seguito i membri di queste ‘pattuglie’, così come permette il Secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, iniziarono a portare armi con sé. La convinzione del Partito che gli afroamericani avevano il diritto di difendersi contro il regime di terrore imposto dalla polizia, necessario per sopprimere il loro desiderio di liberazione e per difendere lo status quo, era l’espressione pubblica e politica della rabbia accumulata nei 400 anni della presenza africana negli Stati Uniti. Diritto riassunto nelle parole del settimo punto del loro manifesto: “We want an immediate end to police brutality and murder of black people, other people of color, all oppressed people in the United States” (“Vogliamo che cessino la brutalità della polizia e gli omicidi dei neri, di altra gente di colore e di tutti gli oppressi all’interno degli Stati Uniti.”) Recentemente Angela Davis, ha definito le azioni dei Black Panthers, Costituzione alla mano, apertamente e legalmente armati, di essere state un “atto eroico che ha risvegliato l’immaginazione di tutti e un’espressione di solidarietà” con la loro gente. Solidarietà praticata anche nello sviluppare un programma che cambiasse le condizioni di assoluta povertà in cui vivevano la maggior parte degli afroamericani. Infatti il secondo punto del programma dichiarava: “We want full employment for our people” (“Vogliamo lavoro per tutta la nostra gente). E non solo, perché il quarto punto chiedeva abitazioni decenti, mentre il quinto reclamava un’istruzione adeguata, che insegnasse la vera storia degli afroamericani e il loro ruolo nella società americana, senza trascurare la necessità di una sanità pubblica e gratuita (sesto punto). I Black Panthers non si sono limitati a diffondere i dieci punti del loro manifesto ma li hanno messi in pratica servendo la prima colazione ai bambini delle loro comunità, aprendo scuole e cliniche alternative. I Black Panthers, dall’anno della loro fondazione a metà anni ’70, hanno rappresentato nell’immaginario degli afroamericani la possibilità di resistere, d’intaccare il potere dell’unica istituzione – le forze dell’ordine – con cui tutti gli afroamericani venivano a contatto, e che spesso terminava con la detenzione e con i pestaggi, per i più fortunati, se non con la morte.
Questo potente richiamo alla ribellione ha fatto sì che in pochi anni i Black Panthers si trasformassero in un partito con sedi in quarantotto stati, capace di vendere 400.000 copie alla settimana del loro giornale, e in cui militavano circa 30.000 persone con un’età media di 17 anni. L’irrompere sullo scenario nazionale dei Black Panthers è stato determinante anche per i bianchi, che militavano nel movimento contro la guerra in Vietnam, la maggior parte dei quali non aveva legami politici con gli afroamericani o con le loro organizzazioni. Fin dall’inizio il Partito aveva espresso la sua opposizione alla guerra in modo netto e incisivo – punto 8 del manifesto: “We want an immediate end to all wars of aggression” (“Vogliamo la fine di tutte le guerre di aggressione”) e la sua opposizione aveva contribuito a massificare la resistenza alla leva tra gli afroamericani. E non solo, perché il punto di partenza del loro rifiuto di combattere in Vietnam era la necessità di combattere a casa propria. Questo ha fatto sì che il movimento contro la guerra si aprisse alle rivendicazioni degli afroamericani, e che il concetto di solidarietà, sui cui era stato costruito, includesse azioni concrete di supporto per le loro lotte. Ad esempio, l’occupazione della Columbia University di New York da parte degli “Students for a Democratic Society”, la più grande organizzazione contro la guerra, che non solo chiedeva la cessazione immediata delle ostilità, ma voleva, e in parte ha ottenuto, che l’Università non costruisse una palestra che avrebbe cambiato in modo significativo l’urbanistica di Harlem, a scapito dei suoi residenti storici. Questa occupazione avvenne con il coinvolgimento dei “Black Panthers e degli Young Lords”, l’organizzazione radicale dei giovani portoricani. Ed è proprio la presenza degli Young Lords in questa occupazione a segnalare un altro contributo del Partito: la possibilità, non immaginabile fino a quel momento, per le altre nazionalità all’interno degli Stati Uniti di costruire movimenti capaci di analizzare e di lottare contro la propria oppressione. Risale a quel periodo la formazione dell’American Indian Movement, del Gay Liberation Front, dei Brown Berets (organizzazione radicale per la liberazione dei chicanos) e, infine, dei Grey Panthers, movimento radicale degli anziani. In quegli anni (1968-1971) la crescita del movimento contro la guerra non si è limitata al livello della partecipazione. Nella sua ala radicale si è sviluppata un’analisi del potere degli Stati Uniti che includeva una discussione sul ruolo delle forze dell’ordine come esercito di occupazione interna al Paese, sul ruolo dell’Fbi nella repressione dei movimenti (Cointelpro), sulla centralità della questione afroamericana e della lotta contro la supremazia dei bianchi, sulla possibilità di costruire relazioni di solidarietà con le nazionalità presenti all’interno degli Stati Uniti e sulla necessità di trasformare un movimento di protesta in un movimento rivoluzionario. I Black Panthers hanno dato un contributo fondamentale a questa evoluzione, come indispensabile è stata la loro leadership ideologica nelle oltre 100 rivolte che sono avvenute nelle carceri americane nello stesso periodo. Inoltre l’assassinio del giovane leader dei Black Panthers, Fred Hampton, insieme a Mark Clark, da parte della polizia di Chicago e dell’Fbi mentre dormiva nel suo appartamento, il 4 dicembre 1969, ha confermato a tutta una generazione che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato o permesso alcun cambiamento politico, sociale, economico. Questa nozione è stata rafforzata nei mesi seguenti quando, nell’inverno del 1970, l’ala cattolica del movimento ha rilasciato ai media documenti segreti dell’Fbi che illustravano il piano di J. Edgar Hoover di “neutralizzare” i Black Panthers e ogni organizzazione che potenzialmente rappresentava una minaccia per il potere degli Stati Uniti.
DI Silvia Baraldini
Guarda “Historical footage and interviews with Black Panthers“:
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