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Corso Casale 1985-1990  Collettivo comunista torinese/autonomo

Novembre 1985-1990

Intervento di apertura – Corso Casale – 5 marzo 1985

Quello che sto per dire non è l’elaborazione politica collettiva dei compagni che si sono presi la briga di aprire questo posto. Limiti oggettivi ci hanno impedito di avviare un proficuo dibattito.

L’impegno stressante con cui ci siamo dedicati a questa impresa partiva dalla necessità di andare a superare quell’impasse pratico e politico, che da parte nostra, in questi mesi è avanzato a Torino.

L’obiettivo che ci proponiamo è quello di andare a costruire una struttura stabile della soggettività comunista nel territorio torinese che sappia costruire un percorso di organizzazione collettivo.

Quindi questo spazio non può essere solamente un momento di incontro tra compagni/e, di coordinamento delle diverse realtà ma vuole diventare in prospettiva una struttura con una propria identità di organizzazione e di metodo, capace di dare uno sguardo complessivo sullo scontro di classe oggi.

Per fare ciò bisogna che esista una unità di pensiero e d’azione e non una comune ma diversa visione della lotta di classe. Raggiungere livelli sempre più alti di unità avviene giustamente per momenti successivi, deve partire da alcuni elementi comuni e predeterminati. Questo non vuol dire che nei prossimi mesi bisogna andare a determinare grandi salti di qualità o appiattire il dibattito ma è necessario trovare elementi costitutivi di organizzazione.  Deve esistere una relazione organica tra iniziativa di lotta, battaglia politica e organizzazione. Senza nessun avvitamento su sé stesso della struttura, non condivido la politica dei due tempi, il privilegiare la teoria sulla prassi, bisogna rendere organici i due momenti.

La prassi costruita su momenti di lotta e di battaglia politica è quella che verifica lo sviluppo teorico e il confronto tra i comunisti e ti permette di diventare punto di riferimento e di forza nella classe. Ritengo sbagliato buttare a mare il bagaglio teorico della lotta comunista come fanno alcuni compagni.

Applicare vecchie strategie, dei dogmi assoluti a un mondo che si trasforma è immobilismo e sclerosi in tutti i sensi ma altrettanto grave e saltare dalla parte opposta, rifugiarsi nella trasgressione che svilisce il potenziale sovversivo della classe, il pensare possibile uno sviluppo spontaneo dell’antagonismo e rimuovere di ogni ruolo la soggettività comunista.

Sulle nostre spalle non abbiamo da caricarci né l’operaismo né l’emmelismo ma una prassi comunista complessiva. L’operaismo è stato l’elaborato collettivo di compagni che hanno segnato la storia del movimento di classe negli ultimi vent’anni. Probabilmente è stata una forzatura del marxismo ma soprattutto è stato una rispolverata a ciò che le ideologie avevano portato a essere il marxismo, il tentativo di dare una lettura nuova e originale delle trasformazioni avvenute.

Gli ML ballano l’operaismo con tanti termini -soggettivisti-spontaneisti-estremisti e altri ancora. Sbagliano con la loro lettura estremamente meccanicistica e schematica del marxismo, sottovalutando il ruolo della soggettività, dei bisogni, della coscienza nel processo rivoluzionario.

Intendiamo per autonomia operaia e proletaria quell’interesse di classe separato e irriducibilmente antagonista alla società del capitale nel suo insieme. Quindi autonomia come indipendenza del proletariato e autodeterminazione del proprio agire rivoluzionario. Oggi l’Autonomia operaia vive forme allenate di sviluppo proprio perché tutta la classe e sulla difensiva, nessun comportamento proletario può dirsi all’offensiva.

Ci sentiamo dentro la progettualità dell’autonomia, al percorso collettivo che questi compagni portano avanti fra tutte le difficoltà di fase. L’avere mantenuto alta l’iniziativa, il non aver cercato facili scorciatoie, il non aver dato spazio alle scorie dissociative. L’aver riaffermato l’anticapitalismo, l’antiistituzionalità, i percorsi dell’antagonismo e del contropotere dimostrano la validità di questa ipotesi.

Dobbiamo essere capaci di avere una adeguata articolazione tattica che ci faccia crescere senza avviarsi su sé stessi, che ci permetta di rendere maggiormente decifrabile la nostra proposta politico-organizzativa.

Speriamo che questa sede non sia la ripetizione di esperienze passate, né si rincorra il “nuovo” in tutte le salse, piuttosto sviluppare un lavoro collettivo di intelligenza e creatività che ci permetta di individuare forme di agitazione commisurate all’odierna complessità sociale. Che sappia tenere nella giusta considerazione presente e passato, marxismo e leninismo, memoria e patrimonio storico come accumulo di conoscenza e di forza. Il passato va utilizzato in funzione del presente, d’accordo con Antonio Gramsci quando scrive “preferiremo sempre quelli che imparano capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano”. Che sappia analizzare perché Torino è uno dei poli metropolitani che più hanno vissuto la debacle del movimento autonomo. Di come non si sia riuscito a mantenere in piedi nessuna continuità soggettiva e non.  Che sappia leggere la fase attuale e quindi lavorare per un programma comunista conseguente, stando dentro i movimenti reali ma anche dentro le lotte difensive. Un programma di ricomposizione proletaria sul terreno del reddito, contro le produzioni di morte e riarmo, contro il carcere e la dissociazione, per gli spazi sociali, per l’internazionalismo proletario.

Alla prima riunione erano presenti quindici compagni/e di Torino e del circolo giovanile di Chieri. Dopo le grandi stagioni di lotta e di scontro degli anni’ 70 questo intervento di apertura, con un linguaggio ambizioso, che può apparire a qualcuno pomposo o banale cercavamo gli elementi e le ragioni per iniziare un percorso, con tutta la nostra immaturità ma anche un genuino entusiasmo per una sfida tutta in salita. Con quella riunione inizia il percorso   che si chiamerà per un annetto “Collettivo Comunista Torinese” e dal marzo 1986 diventerà  “Collettivo Comunista Autonomo “. Con quella riunione si esaurisce l’esperienza del circolo di via Paesana, troppe le differenze al suo interno per continuare, tra immobilismo emmeelle e ricerca di “nuovi soggetti “. Per tutto il periodo delle lotte antinucleari a Trino Vercellese nel biennio 1986/87 useremo il ciclostile che avevamo espropriato in una sede del Psi a Nichelino per stampare i nostri volantini, un ciclostile nuovo automatico e non più a manovella. Dopo i danni al cantiere il 10 ottobre a Trino la Digos perquisisce la sede e non trova nulla.

Con l’apertura di questa sede ci interessava il percorso dell’Autonomia e del Coordinamento nazionale antimperialista antinucleare, ci interessava essere una proposta politico-organizzativa per fare conoscenza dei conflitti a partire da chi genera i conflitti, cioè dalla soggettività.  Una parola che fin da allora e stata centrale nei nostri pensieri: la soggettività che ha più dimensioni, individuali o collettive, ma non si separano mai dal contesto, non entra mai nella separatezza della politica che sia istituzionale o sindacale. Individua i nodi e seleziona i modi di agire e impattare la realtà senza dare per scontata la spontaneità, agisce per accelerare i processi, per acutizzare le contraddizioni, per realizzare momenti di rottura e in questo raccoglie contropotere, forza e contrapposizione al sistema capitalistico. Questo metodo di confronto continuo con la realtà sociale, di scontro con le istituzioni del comando capitalista  ci caratterizza  da allora ,si riproduce nelle scuole, nelle università, nella metropoli, nei territori ogni qual volta si presenta, anche in forma embrionale, la lotta di classe.

Sfoglia “Collettivo Comunista Torinese 1985“:

Sfoglia “REBELLES n. 2 – Giornale del Collettivo Comunista Torinese“:

Sfoglia i “Volantini del Collettivo Comunista Torinese – 1986“:

Seminario luglio 1988:

Seminario 1989:

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