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Lettera aperta a don Luigi Ciotti

3 dicembre 1998

Giornali e televisione hanno dato risalto alla volontà della neo ministra Rosa Russo Jervolino di incontrarsi con esponenti dei centri sociali e degli squatter. A ciò sono seguite alcune vicende torinesi e nazionali anche esse largamente reclamiz­zate: l’incontro del centro sociale Gabrio con il sottosegretario agli Interni La Volpe e la riunione dei portavoce dei centri sociali che propongono la carta di Milano nei locali del Gruppo Abele.

Siccome nessuna realtà significativa del movimento antagonista di Torino, come per altro la stragrande maggioranza dei centri sociali del nostro paese è interessa­ta a tali proposte e promuove simili posizioni ci domandiamo perché continuare ad insistere nel voler fare della nostra città il fulcro di questo disegno.

Abbiamo deciso di inviarle questa lettera aperta per chiarire il nostro punto di vista sulla sua disponibilità a farsi “ponte” per un ipotetico dialogo tra politici che occupano poltrone nelle istituzioni e l’area dell’antagonismo.

Riteniamo che il ceto politico approdato al potere dopo le elezioni del ’96 e le attuali istituzioni non difendono affatto gli interessi e i bisogni di chi è sfruttato dal sistema che domina la nostra società.

Immigrati, giovani, donne, disoccupati, pensionati, studenti, lavoratori non sono tutelati, né rappresentati anzi, sono sempre più deliberatamente esclusi e posti nell’impossibilità di avere voce in capitolo.

Politici e istituzioni hanno proprio il compito, la funzione sistemica, di fare da ammortizzatori sociali per garantire la stabilità del dominio dei potentati capitalisti­ci sull’intera società. La mediazione politica e sociale ha il preciso scopo di preve­nire la lotta aperta, impedire che le contraddizioni si disvelino e producano momenti di rottura e di contrapposizione. Non è un caso se si spendono più soldi per remunerare queste attività che per soddisfare i bisogni sociali. Il potere quan­do non vuole cancellare le diseguaglianze sociali, anzi intende incrementarne la crescita si pone l’obbiettivo di legittimarle con la concertazione e le trasformazioni giuridiche. La mediazione del conflitto favorisce sempre i più forti.

Le realtà odierna chiamata da molti modernità velocizza sicuramente il cambia­ mento, ma questo non dà benefici a tutti. Pochi vanno avanti e vedono migliorare le loro condizioni, molti viceversa sono da esso sospinti indietro, impoveriti delle stesse condizioni materiali, sociali e collettive di cui poter vivere. Il mondo dei vinti si è esteso enormemente.

Ciò che avanza effettivamente sono nuove realtà di sfruttamento e di espropria­ zione capitalistiche: flessibili, totalizzanti, coinvolgenti.

Oggi la repressione sovente lascia il passo alla costruzione manipolata del con­ senso, e non a caso i media sono da tempo diventati fabbriche di modelli di vita e di comportamento da massificare e mercificare posseduti dai capitalisti più potenti che li hanno strutturati come aziende produttrici di profitti e di dominio.

Gli intellettuali e le persone esperte di cultura non sanno più, anzi non vogliono, essere critici. Vendono il loro sapere a chi lo paga meglio e così non si stancano di affermare che siamo finalmente diventati un paese normale. 

Ma noi siamo convinti che in questa società, oggi più che mai,  appaia chiara la ferocia e l’arroganza dei vincenti e dei furbi, degli opportunisti contrapposta alla rassegnazione e all’impotenza della massa dei perdenti.

Sono rimaste le guerre tra i poveri fomentate dai potenti e sono spariti i conflitti sociali.

Ma questa situazione non ha cancellato gli interessi contrapposti tra due classi oggettivamente avverse: una dei potenti l’altra degli espropriati, una di chi coman­da l’altra di chi può solo ubbidire. In questa realtà sociale le istituzioni non sono neutrali, ma rafforzano il potere dei potenti.

La conferma di queste nostre convinzioni ci viene proprio da Giovanni Agnelli, per­sona che sa bene il fatto suo e come si difendono gli interessi dei capitalisti. Egli ha recentemente affermato che questo governo è un buon governo perché riu­scirà a fare quello che i politici di destra non possono fare.

Vede don Ciotti, lei con il suo gruppo ha un ruolo istituzionale che molti lodano. Lottate contro l’emarginazione e il degrado sociale. Vi occupate del disagio, ma voi non siete affatto emarginati o esclusi. Molti padroni vi danno ingenti somme di denaro per la beneficenza. I politici al potere vi consultano come esperti e vi paga­no anche non poco per le vostre consulenze. Molti magistrati di punta (Caselli è uno dei tanti) perdono il loro “prezioso” tempo per mangiare e discutere con voi. I giornalisti fanno carte false per poter pubblicare le vostre prediche e le vostre riflessioni sui mali odierni.

Tanta attenzione da parte di chi vuole che la società vada in un determinato modo ci fa dubitare che Lei sia veramente portatore di un pensiero critico.

Sinceramente ci sembrano più dissenzienti i parroci che criticano la carnevalata dell’illuminazione di Torino voluta dalla Giunta Castellani (altro suo grande amico) per dare ottimismo all’immagine della città o meglio per aggraziarsi l’umore dei commercianti.

Questa sinistra non fa quello che socialmente è giusto, al contrario si compra il consenso di chi già non sta male mentre decide di tagliare ulteriormente servizi sociali e assistenza. Gli esperti di bilancio hanno consigliato al sindaco di sopprimere Estate ragazzi e Soggiorni per portatori d’handicap.

Si sa di questi tempi la società moderna ha bisogno di mutare molto velocemente, lo vuole e lo impone il capitalismo e i suoi padroni, così per forza di cose molto si distrugge e ciò che non serve più lo si butta. Ciò accade anche sempre di più non solo per le merci, ma per le persone diventate anche esse merci ed oggetto di costo.

Può ben stare sicuro che finché ci sarà il capitalismo e queste istituzioni ci sarà da fare anche per lei e per il suo gruppo.

Oggi l’attività di recupero della devianza sociale assume ormai anch’essa la forma dell’azienda,  dell’impresa.

I teorici che studiano queste trasformazioni nelle università e nei centri di ricerca la chiamano appropriatamente “Impresa Sociale”. Ma in realtà la parola impresa sta davanti e comanda sempre più spesso contro il sociale.

Lei sicuramente non condivide questo nostro punto di vista: è come tutti i diessini molto positivista, ha fiducia che la crescita economica porti per forza un aumento del benessere per tutti, ama la certezza del diritto, la legalità delle norme giuridi­che e istituzionali. Lei è un uomo schierato progressista, aperto.

Sociologicamente potrebbe essere definito come un attore che attiva diverse fun­zioni, tutte istituzionali: non è solo un prete che vive il sociale, ma un uomo che fa politica, anzi un politico di prim’ordine: fiancheggiatore di questo governo, un politi­co di questo potere. Un politico del potere.

Ecco perché questo suo ruolo di ponte a noi non appare affatto neutrale o disinte­ressato.

Lo facciamo troppo intelligente per considerare quanti frequentano i centri sociali dei soggetti emarginati alla stregua di tossicodipendenti o prostitute da redimere, quindi sicuramente questi approcci e tanta disponibilità nei nostri confronti avranno certamente un altro scopo.

Oggi chi vuol far tanti quattrini o vuol stare al potere a lungo non va certo tanto per il sottile sa che nella società della merce si compra quasi tutto e sempre più spesso si possono comprare anche le persone, le loro idee, il loro modo di essere. Una parte minoritaria che aspira a dirigere i centri sociali ha deciso, non da oggi, di porsi come referente per le istituzioni. Non è la prima volta che ciò accade, non sarà l’ultima.

Alcuni di loro hanno già ottenuto una poltrona in qualche consiglio comunale altri ci sperano per il futuro.

Già più di un anno fa Casarini voleva venire a Torino da lei per tentare di riabilita­re la dissociazione. Ci pare di ricordare che non era andata poi tanto bene. Non ci riferiamo alla contestazione di quel giorno, ma all’indulto o a una soluzione politica che liberi chi è in carcere dagli anni 70. La stiamo aspettando ancora adesso nonostante l’impegno a parole del sottosegretario Corleone.

A noi il dialogo interessa. Ma non vogliamo dialogare con i potenti, vogliamo dialo­gare con chi non ha potere. Con gli studenti a cui voi sottraete la possibilità di avere una formazione vera mentre regalate i soldi alle scuole private per salva­guardare gli equilibri istituzionali, e per favorire i ceti benestanti. Con i giovani a cui dobbiamo proporre oggi modelli di vita che permettano di realizzare collettiva­mente una trasformazione di questa società che vada contro il carrierismo e la mercificazione di tutto, per non dover poi domani distribuire gratuitamente commi­serazione, siringhe e preservativi.

Con le donne alle quali negate l’autodeterminazione sulla procreazione e l’autono mia dei percorsi di emancipazione e di liberazione mentre offrite loro solo un futu­ro di sacrifici, di disoccupazione e di sfruttamento famigliare e sociale. Con gli immigrati a cui viene negato il diritto alla libera circolazione e tuttalpiù sono consi­derati solo forza-lavoro da utilizzare a buon mercato senza il riconoscimento  di alcun diritto. Per queste necessità di  vita  e  di  impegno  sociale  e  politico non  istituzionale  oggi  non servono  giovani  dalle  buone  maniere  che  facciano la lotta virtuale in televisione e siano guardati con fare bonario dal sottosegre­tario di turno o scimmiottino le forme di sensibilizzazione ad effetto proposte anni fa dal partito radicale o dai borghesi di Greenpeace.

Nella società dello spettacolo é facile interpretare il ruolo della comparsa mentre sempre più difficile diventa l’essere incisivi nel contrapporsi e nel vivere contro questo sistema.

Noi siamo convinti che chi nei centri sociali pensa che oggi sia giunta l’ora del dialogo faccia un grosso errore politico.

Errore che rischia di essere fatale per queste esperienze che pure negli anni pas­sati hanno espresso effettive forme di opposizione al sistema. Ma questi sono pro­blemi dei centri sociali che vanno risolti lavorando per superare la ghettizzazione o l’istituzionalizzazione riproponendo una progettualità sociale e politica che diventi effettivamente alternativa e antagonista.

Chi vuole dialogare con le istituzioni già lo fa, non ha bisogno di inviti.

Questa sua proposta di fare da ponte ha secondo noi un altro scopo, meno nobile, più subdolo. Dare una mano a chi vuol far credere, virtualmente sui mass media ai titoloni che i centri sociali sono tutti al seguito del Leoncavallo e del Meeting del Nord est.

A dare un giudizio di consenso a questo governo a questa sinistra.

La realtà é ben diversa. La pace sociale che voi volete imporre, che perseguite in mille modi favorisce solo chi governa e chi comanda, non favorisce certo la giusti­zia sociale.

Oggi chi vuol mediare i pochi conflitti che ancora ci sono lavora a sostenere il potere costituito.

Noi nel nostro piccolo vogliamo progettare conflitto, promuovere conflitto massifi­carlo renderlo arma concreta e praticabile capace di dare forza a quegli stati sociali, a quei soggetti che sono sfruttati, calpestati e espropriati.

Noi vogliamo valorizzare quella parte di società che non sta nelle istituzioni e che per affermare i propri interessi di classe oppressa e soddisfare i suoi bisogni non ha altra alternativa che lottare collettivamente contro le istituzioni.

Se non é in malafede caro Don Ciotti torni a fare il prete e se può stia nel sociale. In questa società di politici schifosi ce ne sono anche troppi mentre cresce sempre più la crisi delle vocazioni. …. generata non certo da idee sovversive, ma dalle ten­tazioni del capitalismo.

Torino, dicembre 98

CENTRO  SOCIALE  MURAZZI  Po

CENTRO SOCIALE ASKATASUNA

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