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Victor Serge – AMBURGO 1923

24 ottobre 1923

Pubblichiamo  un breve articolo di Victor Serge sugli insegnamenti dell’insurrezione comunista di Amburgo del 1923. Il testo apparve su La Correspondance Internationale dell’11 febbraio 1925. 

Riflessioni sulla battaglia di Verdun e sulle insurrezioni operaie – L’epoca delle sollevazioni spontanee, sconfitte in anticipo, si chiude – Il fatto nuovo attestato dai comunisti di Amburgo

Una grande data.
Più grande, in verità, di quella della battaglia di Verdun, dove un milione di europei morì di una morte quasi del tutto inutile.
Tutto ciò che Verdun ha insegnato al mondo è che i più terribili bombardamenti d’artiglieria non bastano a spezzare una resistenza finché c’è carne da cannone a sufficienza; che tutto il valore, l’intelligenza e la tecnica umana possono essere spesi in pura perdita, in un indeciso scontro di eserciti, dei quali alla fine non rimane che un ossario.
Ma la battaglia di strada di Amburgo – dal 23 al 26 ottobre 1923 – fu un evento nuovo nella storia. Un esperimento. Una lezione. Una prova. Un esempio.
Essa ha rappresentato l’ultimo anello di una catena di eventi iniziata a Lione nel 1831 con la rivolta dei Canuts. Quell’anno, i tessitori della Croix-Rousse di Lione, stanchi di crepare nella miseria lavorando, scesero nelle strade della ricca città. Sulle loro bandiere rosse scrissero: Vivere lavorando o morire combattendo. Una parola d’ordine? Un programma? No. Un grido di disperazione trasformato in grido di rabbia. Vivere lavorando? Non hanno un sindacato, né quadri, né programma, né ideologia; tutto ciò che hanno è il loro dolore nelle loro baracche. Morire combattendo? Non hanno armi, né partiti, né piani, né capi. Nient’altro che i loro pugni e la loro rabbia. La loro rivolta è spontanea, elementare, come l’improvvisa ondata di un uragano sul mare. E fu il primo soffio dell’uragano proletario che si sarebbe alzato per un secolo intero, fino alla magnifica tempesta dell’Ottobre russo. La monarchia di luglio, tuttavia, non fraintese la gravità di quel segno dei tempi. La spallata dei Canuts lionesi, per tre giorni padroni – pacifici, in verità – di Lione, scosse l’intero ordine borghese. Poi le truppe entrarono in città, i proletari tornarono nei loro bassifondi, le prigioni si riempirono: la storia non ricorderà il nome del dirigente della prima rivolta proletaria del secolo; ma la borghesia francese ne conserverà il ricordo per gli anni a venire, mescolato al terrore.
Il giugno 1848 ripropone a Parigi, in grande, questo movimento spontaneo, stavolta armato. Si conclude con il salasso del Faubourg Saint Antoine. Nella Comune di Parigi, ventitré anni dopo, l’organizzazione e la volontà cosciente di vincere giocano già un ruolo di primo piano. Ma più vicina a noi, l’insurrezione di Barcellona del 1909 ci offre ancora lo spettacolo ammirevole e angosciante di un movimento di massa spontaneo, inizialmente vittorioso ma non organizzato, che non sa cosa fare della propria vittoria, si sorprende di aver trionfato e si lascia reprimere quasi senza opporre resistenza. Per diversi giorni, la folla operaia fu padrona della capitale industriale e commerciale della Spagna. Essa non ha saputo far altro che attraversare le strade a ondate tempestose, bruciare qualche chiesa e rimproverare alcuni monaci. In seguito, un ragazzo di quindici anni venne fucilato per sacrilegio. E Ferrer .
Con la sua lunga e speciale formazione rivoluzionaria, con le sue numerose squadre di rivoluzionari professionisti, con i suoi grandi partiti disciplinati, con il suo partito proletario per eccellenza, con Lenin, la Russia si distingue nella storia del nostro tempo: la prova è la vittoria – ancora unica – dell’ottobre 1917. Ecco perché l’emergere in Europa occidentale dell’organizzazione e della ragione rivoluzionaria, il cui valore è confermato in modo eclatante dall’insurrezione di Amburgo, è un evento straordinario. L’epoca dei movimenti caratterizzati da una spontaneità elementare, istintivi e anarchici, destinati quindi ad essere facilmente sconfitti dallo Stato moderno – una macchina repressiva precisa come una mitragliatrice –, è finita. Le Centurie Operaie di Amburgo l’hanno chiusa.
La Germania operaia dell’ottobre 1923 covava una profonda rabbia per le sue intollerabili sofferenze fisiche: la fame, il freddo, l’oltraggio quotidiano, la prigione, i colpi di calcio di fucile nelle strade. Ma essa sapeva cosa voleva. Non morire combattendo, ma vivere – e non lavorando per arricchire i ricchi – ma vincere. Prendere il potere, cioè tutto. Esercitare la sua dittatura di classe! Tutto ciò che essa possiede di risoluto e di consapevole è organizzato. Squadre, Centurie, capi sezione, Stati-Maggiori; la disciplina liberamente accettata e perciò tanto più sicura. Al segnale del partito, le Centurie si ammasseranno all’alba, dove c’è bisogno di loro; seguiranno un percorso strategico in silenzio con la marcia ritmica dei battaglioni della guerra sociale; circonderanno la caserma o la stazione di polizia e colpiranno il nemico nel suo punto più vulnerabile…
… Quelli di Amburgo, fuorviati da informazioni errate sull’inizio dell’azione in Sassonia, tentarono l’esperimento. All’ora stabilita, senza un solo tradimento o errore, la mobilitazione notturna fu eseguita. All’ora stabilita, secondo un piano così ben concepito da essere applicato in ogni dettaglio, iniziò l’offensiva. Alcune centinaia di operai disarmarono le stazioni di polizia e si armarono. Amburgo si svegliò sotto il potere dei “rossi”. Era stato provato che un’insurrezione operaia, anche con mezzi piuttosto rudimentali a disposizione, ma guidata razionalmente, poteva, in una situazione rivoluzionaria, impadronirsi di uno dei porti più importanti d’Europa senza colpo ferire!
Per tre giorni interi, gli insorti mantennero con calma le loro posizioni. L’ora della rivoluzione tedesca era già passata. La Sassonia, invasa dalla Reichswehr, non poteva muoversi, i socialdemocratici di sinistra si erano arresi. Trincerati dietro la loro rete di barricate, quelli di Amburgo aspettavano l’ordine di battere in ritirata. La polizia, la divisione navale e la Reichswehr scagliate contro di loro, vennero tenute a bada. Le Centurie Operaie si ritirarono in buon ordine, portando con sé i feriti e i morti – una decina di uomini: erano molti di più dalla parte dell’ordine –, nascondendo le armi, smobilitando in modo tale che la maggior parte dei combattenti sfuggisse alla repressione. Molti di loro furono poi arrestati, soprattutto in seguito a denunce individuali. In questo modo è stato possibile ritirarsi in buon ordine. Era possibile conservare le armi e non abbandonare i feriti. Era possibile smobilitare senza farsi prendere dal panico e difendere razionalmente la libertà dei combattenti.
Dal punto di vista organizzativo e strategico, la vittoria dell’insurrezione operaia è stata completa. Sia all’offensiva che in ritirata, il movimento ha realizzato la massima economia di forze. Le perdite sono state relativamente minime. Quando è seguita la repressione della polizia, essa ha offerto il minor appiglio possibile. Con la sua direzione razionale e concertata, l’insurrezione si pone agli antipodi dei movimenti «spontanei» e anarchici. Per la sua sintonia con i sentimenti delle masse, si pone agli antipodi dei colpi di forza blanquisti, in altre parole, di qualsiasi tipo di putschismo. Infine, per il suo successo, essa costituisce il più bel contrasto con tutte le eroiche e incoerenti insurrezioni operaie che sono state sconfitte da quando i Canuts di Lione hanno inaugurato la serie. Il grande fatto nuovo che essa testimonia è la possibilità acquisita dal proletariato – finalmente dotato di un cervello e di un sistema nervoso: il partito – di dirigere eventi decisivi.
… Verdun? Verdun non è stata altro che il trionfo dell’istinto – l’istinto del profitto delle classi possidenti –, armato di tecnologia industriale, sulla civiltà e sulla ragione. Il trionfo della distruzione sul lavoro creatore. Il trionfo della macchina per uccidere sull’uomo vivente. Amburgo è stata la più coraggiosa e netta affermazione della capacità di organizzazione, di disciplina volontaria, di pensiero e di azione del proletariato, che vuole vincere – e che sa come vincere – per fondare la pace e il lavoro libero.”

Guarda “FIC 2017: Víctor Serge. El revolucionario errante“:

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