Loro sono loro. E noi non siamo loro
Alcune note intorno al dibattito sviluppatosi dopo la piazza sitav di sabato scorso
Dicevamo finalmente un po’ di lotta di classe. La manifestazione SI TAV si colloca esattamente in questo campo, di interessi contrapposti, che immediatamente gli editorialisti dei grandi giornali si affannano a negare. “Le classi sociali non esistono più” asserisce Michele Serra dalla sua “Amaca” e in sottofondo si sente suonare la fanfara della post-modernità che si allontana. Eh già, perché proprio quel racconto di una società globale del benessere, costruita su solide possibilità di ascesa sociale, di “farsi da sé”, sul consumo e l’indebitamento che sottostava alla vittoria occidentale nella presunta “fine delle ideologie” ha mostrato il suo evidente fallimento. Così sono rispuntati gli esclusi, divisi tra di loro, confusi, intrisi ancora da quella melassa di individualismo proprietario che è il vangelo di questo nostro tempo. Come barbari dalle periferie interne ed esterne dell’impero, come “Cartaginesi e Romani”.
Il fronte SI TAV è la reazione di chi vuole conservare i propri privilegi di cittadino romano, di “abitante del borgo”. In effetti però Serra non si sbaglia quando qualifica questa borghesia torinese e italiana come un fantasma. Non perché non si tratti di borghesia, né perché sia lo “spettro” del futuro, ma piuttosto perché va via via scomparendo compressa tra il drenaggio di ricchezza dall’alto del capitalismo (e della borghesia) globale e la debole e confusa spinta dal basso. E’ sempre stato così d’altronde, il capitalismo tende all’accentramento della ricchezza, altro che concorrenza! Chi è sceso in piazza pensa di potersi attaccare ancora al treno, pensa che il mercato sarà magnanimo e che almeno qualcuno si salverà, ma la verità è che questi sono gli stessi che hanno innalzato le spoglie di Torino all’altare del depauperamento, della precarietà e della totale perdita di capacità produttiva. C’è una consapevolezza, se si darà qualche forma di redistribuzione sarà a loro svantaggio. Dunque la crociata contro i fannulloni, dunque “il TAV fatelo con i soldi del reddito di cittadinanza” ecc… ecc… Sarebbe difficile cogliere le differenze tra questa borghesia e gli imprenditori leghisti del nord ed in effetti nel momento in cui c’è un interesse comune da difendere ogni differenza ideologica sfuma definitivamente.
Serra però non può fare a meno che annotare le “sproporzioni paurose tra alto e basso” che riduce a “fasce di reddito”. Una definizione assurdamente economicista della società che non tiene conto delle condizioni di sfruttamento, delle disparità territoriali, delle possibilità di vita e di ascesa sociale. Se ci si soffermasse su un piano unicamente “tecnico” sarebbe piuttosto da dire che la classe operaia è tutt’altro che sparita, ma che l’intero proletariato (qui andrebbe tenuta almeno presente la distinzione tra proletariato e classe operaia) è operaizzato. Certo quello che manca è il lato “politico”, soggettivo: il riconoscersi come classe parte con interessi antagonistici. Eppure un nuovo conflitto tra basso e alto si sta dando in maniera magmatica e per il momento si è in gran parte assiepato ai lidi dei correttivi riformisti del populismo. Quella della borghesia torinese sembra, nella sclerotizzazione complessiva della capacità di analisi, un’azione di prevenzione determinata dalla paura che questo conflitto possa svilupparsi. Il risultato però rischia di essere l’opposto, chiarendo così gli schieramenti in campo: se loro sono i borghesi, noi chi siamo?
Di questo rischio si rendono ben conto commentatori tipo Serra che vorrebbero rinchiudere lo scontro nel mondo delle idee: “Già Montanelli, in una chiacchierata con me (…) sosteneva (e si era ancora alla fine del Novecento) che il Borghese era solo un mito di riferimento per chi sogna il liberalismo, tanto quanto l’Operaio per chi sognava il comunismo.” Ma in realtà lo scontro è ben materiale e parla di modelli di sviluppo, di condizioni di vita ed è qui e ora.
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