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Un ebook come strumento e come percorso

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Con questo testo di Felice Mometti iniziamo la pubblicazione degli interventi registrati durante la presentazione dell’ebook “Città, spazi abbandonati, autogestione”  tenutasi a Bologna il 15 febbraio scorso. I contributi sono sia recensioni dell’ebook sia contributi importanti di dibattito al fine della costruzione del convegno “Per una critica della città globalizzata”, lanciato dal Laboratorio Crash! per i prossimi 30 e 31 maggio, dove si intende provare collettivamente a tracciare alcune coordinate protese a orientarsi verso l’analisi critica e la produzione di strumenti di inchiesta e azione nella città globalizzata. Il convegno si strutturerà attraverso una call for contribution (Convegno_Bologna.pdf) suddivisa in due ambiti di ricerca e con due dibattiti sui temi dell’urbano e sul campo di contesa che questo sempre più rappresenta.

Venendo al testo, Mometti commenta l’ebook inserendolo in un sintetico, ma estremamente puntuale ed efficace, quadro analitico complessivo sulle trasformazioni urbane contemporanee, partendo dalla crisi del 2007-2008 come punto di transizione. Mometti inquadra le città quali elementi costitutivi del processo di valorizzazione capitalistica, macchine produttive e riproduttive che tuttavia non sono oggi guidate da processi unitari di sviluppo. Direttamente inserite nell’arena della competizione globale, sono continuamente ri-combinate da correnti economiche basate sulla creazione di aspettativa, anche in seguito alla imprenditorializzazione delle istituzioni. L’analisi sull’ebook ne estrae invece tre filoni (dinamiche “strutturali” delle città contemporanee; ruolo degli spazio sociali nell’Italia d’oggi – suddivisi tra “comunità resistenti”, “comunità resilienti” e “hub” -; lotte sul diritto all’abitare) e discute della necessità di rilanciare percorsi di inchiesta e conricerca.

Fare affermazioni con un tono perentorio può essere, a volte, un metodo utile per suscitare una discussione. I temi che vengono sollevati all’interno dell’ebook – che rivestono una non scontata importanza perché queste tipo di riflessioni non sono frequenti, soprattutto in Italia, negli ultimi anni – pongono una serie di questioni ineludibili che riguardano i conflitti e le trasformazioni nello e dello spazio urbano.

C’è un aspetto che va messo subito in rilievo, che riguarda la crisi. Quella degli anni Zero ovviamente, scoppiata tra il 2007-2008. Una crisi performativa si potrebbe dire. In cui accanto ai tentativi, più o meno riusciti, di ricomporre strutturalmente il processo di valorizzazione del capitale si producono immediatamente scenari con l’intento di anticipare decisioni economico-finanziarie, comportamenti sociali, azioni politiche e tecnologie disciplinari. Tutto ciò investe in profondità e in estensione la produzione dello spazio urbano e non certo per un semplice riflesso deterministico. Valorizzare il capitale e produrre spazio urbano, seppur per aspetti diversi, sono elementi costitutivi di uno stesso processo. Un processo molto profondo che riconfigura città, aree metropolitane e assetti territoriali. Sta avvenendo a livello internazionale una riarticolazione gerarchica degli spazi e dei luoghi della produzione e della riproduzione sociale mediante i rapporti che si affermano nel produrre lo spazio urbano e nelle forme di cooperazione sociale, sempre più dispotiche. E’ un quadro, quello appena descritto, solo abbozzato e certamente approssimativo che varrebbe la pena approfondire.

Rimanendo al caso italiano. Quello che si sta notando è che c’è un diluvio di rigenerazioni, rivitalizzazioni, riqualificazioni dello spazio urbano mettendo in opera un ventaglio di strumenti che prima non venivano o venivano poco utilizzati. Il discorso pubblico in molte città italiane parla di governance multi-livello, di protocolli prestazionali, di partenariati pubblico/privato, di provvedimenti per il decoro urbano dove la produzione dello spazio avviene a più livelli. Si tramutano i “vuoti urbani” delle aree abbandonate, dismesse e degradate, in “pieni di rendita” sia assoluta che differenziale. Si tracciano i confini interni delle città che riorganizzano i territori urbani sempre più come enclave provvisorie che cambiano velocemente. Lo spettacolo della merce nei shopping center e nei concept store si connota come entertainment culturale producendo non di rado forme identitarie di socialità basata sul consumo. Questo tipo di panorama, riassunto in modo schematico, modifica lo spazio urbano non solo quando vengono implementate queste politiche, ma anche quando vengono pensate e progettate perché generano scelte economiche e comportamenti sociali preventivi.

In tempo di crisi non è raro che l’annuncio di politiche urbane assuma una maggiore rilevanza più per i processi anticipatori che attiva che per gli esiti dichiarati. È quello che accade in molte città dove si gioca la carta del marketing urbano con la città-evento e la città-palinsesto. Basta guardare alle innumerevoli “notti bianche” del commercio, della cultura, della musica, dell’arte programmate dalle amministrazioni locali, al massiccio uso della realtà aumentata del video-mapping. Il marketing urbano si combina con il marketing emozionale per vendere l’immagine della città, sempre però definendo rigidamente il perimetro del controllo e del disciplinamento dei comportamenti sociali. Abbiamo a che fare con uno scenario molto dinamico in continua evoluzione. Le difficoltà ad interpretarlo derivano anche dal fatto che non c’è un “progetto capitalistico” unitario, ma la pratica di continue accelerazioni negli squilibri urbani e territoriali in modo da riposizionarsi nei rapporti a livello interno e internazionale delle varie città e metropoli. Insomma, c’è la volontà di utilizzare la crisi per modificare radicalmente gli spazi urbani delle città e delle aree metropolitane. In un contesto di questo genere cambia lo stesso ruolo degli enti pubblici territoriali: da istituzione amministrative a istituzioni imprenditoriali che hanno nel loro portafoglio titoli finanziari, società controllate e partecipate, fondazioni culturali gestite con logiche di impresa.

Tutta una serie di altri fenomeni citati e analizzati nell’ebook – la turisticizzazione la studentificazione delle città, le retoriche sulle smart cities, la diffusione di AirBnb che sottrae appartamenti all’affitto – insieme modificano profondamente gli assetti urbani, a varie intensità. Tanto che non si può ridurre la gentrificazione delle città alla sola espulsione dei ceti popolari dalle aree appetibili per la rendita. Gli attuali processi di gentrificazione delle città riguardano anche la colonizzazione di forme di cooperazione sociale informale, di stili di vita un tempo difficilmente sussumibili. Detto in altri termini la città non è una sovrastruttura del capitale che sostiene il suo modo di produzione oppure una semplice growth machine. E’ un’articolazione strutturale del funzionamento del modo di produzione e riproduzione capitalistico. Un terreno questo che l’ebook invita a una riflessione. Un altro filone individuato nell’ebook riguarda come oggi siano recuperati, autogestiti, occupati gli spazi sociali. Una questione da affrontare di petto con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Pensando all’inchiesta e alla conricerca come attività privilegiate, prendendo anche qualche rischio proponendo alcune prime definizioni classificatorie – che verranno necessariamente riviste – in modo da fare dei passi in avanti anche rispetto all’ebook.

Oggi in Italia ci sono varie tipologie di spazi sociali, diversa è la situazione in altri paesi. Ci sono spazi sociali occupati da comunità resistenti che difendono la propria esperienza, la propria storia e sono restii a rimettersi in gioco temendo di dilapidare un patrimonio politico e delle forme di soggettivazione e di socialità. Ci sono spazi sociali di comunità resilienti, cioè in grado di interloquire e di essere parzialmente riconosciute da soggetti istituzionali e non, che mantengono un’identità e costruiscono rapporti, relazioni, conflitti sociali con quello che accade dal punto di vista politico e culturale. Ci sono spazi che funzionano come hub politico-sociali orientati a “inventare il presente” cercando di anticipare fenomeni, immaginari e contraddizioni. Ossia, non è più – o solo – la comunità che resiste, non è più – o solo -la comunità che assorbe, criticando e cambiando di segno, delle dinamiche politiche, sociali e culturali ma un soggetto che produce lo spazio sociale perché lo politicizza. E ogni forma di politicizzazione dello spazio è una forma di produzione di soggettività, a vari livelli e intensità.

Da questo punto di vista abbiamo indubbiamente quadri molto mossi, variegati e ibridi e le classificazioni iniziali servono solo a imporre la necessità di un approfondimento, di intraprendere un percorso C’è infine un terzo filone all’interno dell’ebook. Un ragionamento e degli esempi sui nuovi modi di abitare, sull’abitare informale e sulle occupazioni degli spazi per scopo abitativo, dove si produce una commistione tra attivismo sociale e migranti che mette in tensione lo stesso concetto di cittadinanza. Così come quello di confine all’interno della città. Produrre spazio urbano significa anche ridefinire concetti e pratiche della cittadinanza, come sta avvenendo in alcune esperienze e in una serie di comunità migranti.

Tutti questi aspetti, i tre filoni dell’ebook, permettono un approccio molto articolato e l’apertura di una riflessione, cominciando a verificare gli strumenti molto parziali che abbiamo a disposizione, anche per riuscire a capire in che modo rendendo politico lo spazio si producono delle soggettività. Una questione non nuovissima, anzi. I movimenti sociali urbani negli anni Settanta spesso sono stati concepiti come degli ambiti che sviluppavano il conflitto principalmente, se non esclusivamente, sul terreno della redistribuzione delle risorse e dei diritti. Nei decenni che ci separano da quelle esperienze i contesti sono radicalmentecambiati. E i percorsi di soggettivazione non sono sovrapponibili a quelli di allora, tanto meno è facile fare paragoni con la produzione sociale del capitalismo contemporaneo.

Per chiudere. Le città italiane oggi stanno attraversando un periodo di transizione molto accelerato. Se gli spazi sociali autogestiti, occupati, recuperati in vari modi e maniere, riescono ad essere veramente propulsivi nella produzione di spazi urbani, significa che c’è anche la capacità di intercettare le soggettività orientate alla costruzione del conflitto, che molte volte sfuggono perché lontane dalle nostre pratiche e linguaggi. Rompere i codici dello spazio urbano è un percorso che interpella direttamente i discorsi sull’antagonismo, l’autonomia e la socializzazione della politica. Questo ebook può rappresentare un primo passo.

Felice Mometti

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