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Il nucleare sta alla sostenibilità come il riarmo sta alla fine delle guerre: la grande trappola del nostro tempo. 

Il Piemonte: un caso studio nell’occhio del ciclone. 

INTRODUZIONE 

Il 23 e 24 maggio al Centro Studi Sereno Regis si è tenuto il convegno “Energia nucleare, il bisogno e il non detto”, due giornate di dibattito e informazione riguardanti l’energia nucleare e il sistema energetico più in generale. Il tema del nucleare è tornato sulla bocca di tutti, contornato da una nuova aurea green. Una maschera sovente usata per spianare la strada a nuove e vecchie trovate per la produzione di energia su larga scala. Anche a causa dell’accelerazione degli eventi a livello internazionale è ancora più urgente fare chiarezza su cosa significhi nucleare, quali sono i suoi usi, quali i rischi e, soprattutto, come possa essere una questione capace di legittimare guerre, come sta avvenendo con l’attacco di Israele all’Iran.

Il convegno è stato un ottimo punto di partenza per smontare -ancora una volta- la favola dell’atomo. Il nucleare rappresenta l’emblema del funzionamento del sistema energetico e del suo peso politico, per approcciarlo è necessario partire da qualche domanda.

A chi serve l’energia che viene prodotta? 

Quali sono le esigenze alla base di questa produzione? 

A che cosa serve tutta questa energia? 

Uno dei settori più energivori è quello degli armamenti, una ragione in più per non trovarci d’accordo (se servisse) con la corsa al riarmo europeo. 

A partire da queste prime riflessioni, riportiamo la prima puntata dell’approfondimento elaborato a seguito del convegno in vista dell’Assemblea Regionale di Confluenza di Sabato 12 luglio a Mazzé: “Il destino dell’agricoltura e del suolo in Piemonte: tra agri-fotovoltaico e nucleare”. Ricordiamo di iscriversi al FORM per avere indicazioni sulla partecipazione e organizzare al meglio l’accoglienza. 

Troppa energia fa male… 

di Angelo Tartaglia, professore emerito di Fisica presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino.

Il problema non è il nucleare, non è l’energia, ma l’economia: alle spalle della spinta per realizzare nuove centrali nucleari o campi eolici e fotovoltaici, c’è sempre un’economia che se è materialmente e strutturalmente insostenibile -così com’è-, non ammette soluzioni tecnologiche che possano renderla sostenibile permettendo di continuare a riprodurre lo stesso sistema, come se niente fosse. Il nucleare è solo uno degli aspetti di questo quadro.Le leggi fisiche non  cambiano in base alla politica o alle borse, quelle economiche sono convenzionali (non assolute quindi, come invece oggi si pensa) e, dunque, dipende da noi cambiarle ed è necessario farlo. Il denaro in sé è una convenzione, al contrario delle leggi della termodinamica. 

Le regole del gioco (quelle vere) : Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma

Già questo presupposto indica che qualcosa non funziona, dal momento che nella finanza tutto si crea e tutto si distrugge. Qualunque trasformazione (di energia) comporta, oltre al lavoro utile, una necessaria produzione di “disordine” (entropia): calore disperso, non perché le macchine sono imperfette (cosa verissima comunque). Il punto è che è possibile  immaginare anche macchine perfette, ma in ogni trasformazione in qualsiasi  caso mi ritroverei una coda di energia iniziale che non viene convertita nel lavoro che voglio ottenere, ma deve essere smaltita. Secondo principio della termodinamica. Questo si scontra con l’economia.

Crescita e costi materiali

Il mito dell’economia vorrebbe che se non si va verso la crescita siamo nei guai: allo stato attuale delle cose è anche vero, ma nella realtà dei fatti la crescita materiale è impossibile. Esistono  dei transitori di crescita. Il mito contemporaneo della crescita infinita a tasso costante è per l’appunto un mito: essendo una condizione materiale ci sono dei processi produttivi, con prodotti materiali che vanno venduti. Per produrli ci vogliono macchine e procedure che necessitano di materie prime, di costi. Se si tende a una crescita costante della  produzione, ovviamente cresceranno anche i costi, ma  la fisica ci dimostra che i secondi crescono più in fretta. 

Un esempio è fornito dall’energia cinetica: se voglio raggiungere un posto in meno tempo, aumento la velocità con il mio mezzo per ridurre il tempo. Per aumentare la velocità devo aumentare l’energia cinetica, che però va a un quadrato della velocità, dunque per raddoppiare la velocità devo quadruplicare l’energia da spendere: il vantaggio cresce ma la spesa è 4 volte di più. 

Per effettuare una spesa devo considerare che il costo materiale del prodotto sia inferiore al suo valore. Ciò è possibile fino al momento in cui la differenza a favore del vantaggio, perché a un certo punto si inizia a spendere tutto ciò che viene prodotto: la curva produttiva sale lentamente e poi va giù di colpo. Gli incrementi salgono lentamente, i guai vengono giù di botto (intuizione già di Seneca, ancor prima di esponenziali e PIL).

Il nostro mondo (viventi inclusi) è un sistema complesso = composto di tantissimi elementi diversi interconnessi

I sistemi complessi hanno delle configurazioni critiche accostandosi alle quali la dinamica diviene sempre meno intuitiva: l’intuizione che ci dice che a ogni nostra azione seguirà un risultato prevedibile viene meno quando ciò che stiamo facendo trattiene delle relazioni con tanti altri campi d’azione.  L’evoluzione in corrispondenza delle configurazioni critiche ha la forma del collasso: quando ci si avvicina alle configurazioni critiche, un piccolo cambiamento suscita un cambiamento pazzesco, il sistema si riorganizza perché l’organizzazione precedente non si regge più, e la riconversione è immediata (es. valanghe). 

Crescita e complessità

In un sistema materiale in crescita la complessità cresce più in fretta del sistema (come i costi).

Se si hanno solo due punti, la connessione è una. Ma aumentando i punti, aumentano le connessioni (3 punti 3 connessioni, 4 punti 6 connessioni, 5 punti 10 connessioni): secondo la legge quadratica se vengono aumentati i poli di un sistema economico, le connessioni vanno con il quadrato, dunque moltiplicando per 2 i poli, le situazioni da tenere sotto controllo vengono moltiplicate per 4. I poli dove si produce crescono regolarmente, le connessioni con il quadrato, i costi crescono insieme alle connessioni. Non è dunque possibile mantenere una situazione di crescita materiale a tempo indeterminato.

L’unica cosa possibile è il mantenimento di uno stato stazionario, con qualche oscillazione, che però è l’opposto di ciò che viviamo, che dice l’economia, che perseguono i politici e i direttori d’azienda. 

Ma che sta succedendo nel mondo fisico? La temperatura superficiale della terra cresce in modo differenziale

La CO2 cresce, nonostante le varie COP e i meeting internazionali, così come la frequenza e l’intensità degli eventi estremi. Questa è una condizione critica di un sistema complesso e porta a dover immaginare il collasso come prossimo venturo: il sistema climatico è un sistema complesso che sta raggiungendo un punto critico, infatti da 1,5°C di riscaldamento in poi, previsto per il 2030, ci sarà una cascata alla quale bisognerà fare fronte con una vera e propria riorganizzazione del  sistema. La natura sarà in grado di farlo autonomamente ma l’uomo no, dovrà quindi adattarsi alle nuove condizioni.

Che fare?

  • Abbattere le emissioni con azzeramento netto entro il 2050
  • Promuovere le “rinnovabili” (ponendo come premessa che il nucleare non è rinnovabile e l’ idrogeno non è una fonte di energia)
  • Ridurre sprechi e superfluo: “di più” non vuol dire meglio
  • Promuovere trasporto locale collettivo
  • Puntare sull’economia circolare

Il nucleare che c’entra?

Il nucleare rappresenta coloro che vogliono cambiare tutto a patto di non cambiare niente: con l’intenzione, l’illusione e la narrazione  che questo ci consentirà di andare avanti così come stiamo, ma ciò  non è possibile. 

La fissione di per sé non produce gas climalteranti, ma il ciclo di vita del “combustibile” e delle centrali sì. Lascia inoltre residui biologicamente dannosi per migliaia di anni, le scorie. Le centrali e gli impianti correlati pongono seri problemi di sicurezza, il loro funzionamento non è regolabile in base alla domanda di energia (ne è un esempio la Francia che è arrivata a dover comprare da fuori). I costi e i tempi di realizzazione sono diseconomici e incongrui con quelli della transizione energetica. 

Dall’Uranio 238 al Plutonio 239

In un reattore nucleare si fa in modo che in media uno dei neutroni liberati in un evento di fissione incontri, dopo essere stato opportunamente “moderato”, un altro nucleo di U235 (fissile) realizzando così la “reazione a catena”, mentre gli altri vengono assorbiti rendendo radioattivo ciò che li assorbe e, fra l’altro, attivando la trasformazione del circostante U238 in Pu239 (fissile e particolarmente idoneo alle applicazioni militari – bombe – ).

La quantità di Pu necessaria per raggiungere le intensità di criticità ordinarie è circa 1/6 di quella che ci vorrebbe nel caso dell’U235, il che significa che con una decina di kg si possa fare una spoletta di una bomba nucleare, mentre con U235 ne servirebbero di più.

Ingredienti fondamentali sono l’uranio 235 e il molto più abbondante U238, poi  occorre estrarre il minerale e procedere all’arricchimento. Il risultato è di alta densità, il che lo rende utile per proiettili di sfondamento. 

É importante sottolineare in che cosa consista, tecnicamente, la filiera civile e in che cosa si distingua da quella militare: in entrambi i casi si parte dalla miniera, poi è necessario un impianto di arricchimento e, se l’arricchimento raggiunge fino al 20% di quantità utile per produrre calore viene convertito poi in energia elettrica e quindi utilizzato a scopi civili mentre, se l’arricchimento risulta superiore (tra 20% e 80%) le applicazioni sono militari. Al di sopra dell’80% il risultato sono le testate nucleari. L’utilizzo civile rilascia comunque residui altamente radioattivi: scorie che possono essere riprocessate. Il riprocessamento si attua su  ciò che di fissile ancora c’è (U235 ma anche Pu239),che si produce anche nelle centrali civili. Con il riprocessamento il Pu può essere riutilizzato nelle centrali ma, molto più spesso e verosimilmente, è utilizzato per le bombe. 

L’alternativa del percorso delle scorie è quella del deposito, percorso che più diffusamente si intraprende. 

I reattori più recenti sono detti di generazione III+, con taglia di potenza caratteristica > 1GW **. É chiaramente impensabile pensare che Confindustria possa consigliare di mettere microreattori nucleari nelle piccole imprese comuni.

Si parla oggi di reattori di IV generazione: espressione generica per tipologie eterogenee, dunque occorre chiarificare che quando ci si riferisce a questo genere di reattori o non esistono o non sono nuovi, e sarebbero ovviamente a fissione. 

Infatti, quelle che vengono definite nuove tipologie di impianti sono: 

  • Reattori ad altissima temperatura (1000°C), moderati a grafite, refrigerati a elio
  • Reattori a Sali fusi (o come “combustibile” o come refrigerante)
  • Reattori ad acqua super critica

E si tratta di prototipi o progetti sulla carta. Continuano ad avere problemi di controllo e di sicurezza. 

Tempi e costi

  • Tempi di costruzione (a consuntivo)  su casi reali: 15 anni
  • Costo di realizzazione  (a consuntivo): 12 / 15 miliardi
  • Vita utile: 40/50 anni (in Francia ne stanno prolungando l’esistenza ma non più di tanto  perché la sicurezza viene meno, dunque ogni centrale ha una vita finita e al termine bisogna pensare di costruirne delle nuove e capire il da farsi per le vecchie)
  • Necessità di smantellare le centrali dismesse (internamente radioattive): non ci sono procedure standard e di solito le vecchie centrali restano lì a tempo indeterminato (una quindicina sono state smantellate, la maggior parte sono in attesa, come le nostre in Italia)
  • Scorie nocive per decine di migliaia di anni 

** Per dare un contributo significativo al fabbisogno energetico nazionale occorrerebbe qualche decina di centrali di potenza singola superiore a 1 GW , se facessimo piccole centrali da 200 MW ce ne servirebbero un centinaio, con reattori piccoli invece migliaia.

Reattori e sicurezza

Qualunque impianto subisce guasti o incidenti, è soggetto a malfunzionamenti e può essere usato nel modo sbagliato, il problema non è “se” ma “quando”. “Le probabilità a priori” di incidenti sono già state smontate in passato, la questione riguarda le probabilità a posteriori: a grande densità di potenza corrisponde grande o grandissimo impatto, se c’è di mezzo la radioattività, le conseguenze durano secoli e millenni, come già visto. 

Rettori intrinsecamente sicuri?

Un reattore a sicurezza intrinseca è un “piccolo” reattore con un contenitore esterno molto grande e massiccio dimensionato in modo che quando succede un incidente, le conseguenze restino confinate nell’involucro esterno. Il tutto resta dov’è sulla superficie della terra, con all’interno un guazzabuglio di materiali ad altissima radioattività e alta temperatura. Che si fa? Si smantella? Ma un conto è smantellare un reattore a fine vita, un conto è smantellarne uno in queste condizioni.  

“Piccoli reattori”?

Quelli che esistono oggi sono di taglia tipica degli anni ‘60/’70 (es. Trino e Garigliano) di  centinaia di MW. Nel bilancio energetico nazionale ce ne vorrebbero un centinaio e, inoltre, il costo non si riduce in proporzione alla potenza: grandi taglie, maggiori economie di scala per le centrali. 

“Piccoli reattori modulabili” (SMR)

Hanno una potenza nell’ordine delle decine di MW e ce ne vorrebbero migliaia. Non sono una novità: vi sono state applicazioni spaziali e militari. La modularità del nocciolo è pensata per consentire di regolare la produzione accendendo e spegnendo singoli moduli, in ogni caso però ci sono i sistemi di controllo, sicurezza e protezione della centrale che sono comunque realizzati con riferimento alla potenza massima. Questo significa che saranno  sempre da refrigerare perché, anche se spento, il modulo continua a produrre un’altissima quantità di calore. Se si vogliono evitare bolle di calore bisogna dunque continuare a refrigerarlo e,  il sistema singolo al nucleo modulabile non sarà modulare, perché progettato per la dimensione massima. Quando non serve più un modulo, rimuoverlo non è così facile come sembra, quindi se lo si vuole mantenere, di pari passo verrà mantenuta la radioattività, anche  senza incidenti. 

Rete di trasporto: quanto più vasto il numero di reattori, tanto più complessa la rete di trasporto speciale richiesta.

Gli spostamenti devono avvenire sotto copertura militare: sia di barre o di altre forme “fresche” provenienti dai siti di arricchimento, pur a bassa attività; sia di barre o miscele esauste ad alta e altissima attività, indirizzate a impianti di riprocessamento e deposito definitivo, se mai ci sarà.

Immaginare dei  trasporti di un’elevatissima carica radioattiva in giro per il territorio in tempi di guerra è razionalmente  impensabile. Occorre considerare anche i prodotti di fissione: si tratta di decine di isotopi diversi, variamente radioattivi (chi a breve, chi a lungo termine) e  con tempi di decadimento dai minuti alle migliaia di anni (prodotti che vanno ben oltre la base di reattività esistente e sicura in natura). Questi “avvelenano” l’elemento con “combustibile” (assorbono neutroni) che smette di funzionare quando ancora contiene la maggior parte dell’ isotopo fissile iniziale.

Le scorie di una centrale contengono: 

  • Prodotti di fissione
  • Gran parte dell’U235 iniziale
  • Pu239 (e anche 240) prodotto dall’assorbimento dei neutroni da parte dell’U238
  • U238 che costituisce la parte dominante della miscela (all’inizio dell’ordine del 90% e più)

Composizione delle scorie dei reattori “civili” 

Trattati e “magazzini” di plutonio:

  • Obsolescenza delle testate: periodico rinnovo del plutonio
  • Trattati: smantellamento delle testate

Il Pu240 ogni tanto si fissiona autonomamente, producendo altri prodotti di fissione, che rendono lo scoppio delle bombe imprevedibile, dunque serve una riorganizzazione costante  per gli accumuli di Pu sporco. Il PU accantonato potrebbe essere riutilizzato (energia elettrica?) oppure eliminato. 

Eliminare il plutonio usandolo per produrre energia per reattori “civili”? 

Dentro restano neutroni e U238 che producono nuovo Pu239, quindi è una falsità pensare che possa essere eliminato. Il Plutonio, una volta prodotto, non si “brucia” nei reattori nucleari. Occorre trattarlo come un componente delle scorie da riporre per tempi più lunghi della storia umana in depositi geologici profondi sotto controllo internazionale.

Il Plutonio generato rimane, così come le scorie, in deposito definitivo. Bisogna trovare un deposito nazionale perché il problema delle scorie in Italia c’è. 

Depositi

In massima parte le scorie tutt’ora sono in depositi “temporanei” nelle centrali. Una parte minore è finita in mare, o accidentalmente o intenzionalmente.

Ma si potrebbero “bruciare” le scorie nei reattori di nuova generazione?

Un isotopo radioattivo bombardato con neutroni della giusta energia li assorbe e si trasforma in qualcos’altro che potrebbe avere un tempo di decadimento più breve: la radioattività immediata aumenta ma nel complesso dura meno. Una miscela di decine di isotopi diversi e diversamente radioattivi che in certa misura assorbono le emissioni gli uni degli altri, bombardata con neutroni di ampio ventaglio di energie non ha un comportamento programmabile: ad essere ottimisti, per quanto riguarda la durata della pericolosità, si può pensare di passare dai molti millenni ai molti secoli. Il problema non è risolto: si può migliorare l’efficienza del combustibile nucleare prima di dismetterlo, ma ogni volta che avviene la  fissione ci sono dei  prodotti (di quantità proporzionale a quella di energia prodotta). L’unica cosa che cambia è che si accorciano i tempi da millenni a secoli. 

Le scorie già prodotte sono un problema sostanzialmente irrisolto

Nella Storia dell’umanità molto spesso si tende a pensare che “se la vedrà chi verrà dopo, ma vedrete che una soluzione si troverà”. Il vero problema quindi è che  l’economia  è insostenibile ed è  iniqua, nonostante vengano avvertiti  scricchiolii da tutte le parti furiosamente ci si oppone a qualsiasi ridiscussione del “business as usual”. 

FINE PRIMA PARTE

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