Non si scherza con la rivoluzione: le Montreal Lectures di C.L.R. James
È da pochi mesi nelle librerie un volume che raccoglie alcune delle lezioni che Cyril Lionel Robert James, autore del celebre “I giacobini neri”, tenne a Montreal tra il 1966 e il 1967. “Non si scherza con la rivoluzione” (Ombre Corte) raccoglie cinque delle Montreal Lectures. Riportiamo di seguito la prefazione del curatore dell’edizione italiana Gigi Roggero.
Il 19 maggio 1989 moriva a Londra, all’età di 88 anni, Cyril Lionel Robert James. La sua vita, però, non è stata affatto sepolta tra le macerie del muro di Berlino, perché del socialismo reale James fu fin dagli inizi della sua militanza politica feroce critico e avversario. Nato a Port of Spain, capitale di Trinidad e Tobago, James è stato giornalista e giocatore di cricket, scrittore e studioso di Melville, si è formato sui testi di storia e letteratura. Soprattutto, è stato un militante rivoluzionario. Ha da subito respirato l’aria delle lotte anti-coloniali, che l’ha accompagnato negli anni Trenta in Inghilterra e ha permeato la sua intera biografia diasporica. In questo periodo matura la sua formazione marxista, che lo porterà nel 1938 a scrivere quello che è certamente il suo libro più conosciuto e più importante, I giacobini neri (si veda l’edizione del 2006 di DeriveAppodi).
L’incontro di C.L.R. James con il marxismo, come è noto, è da subito segnato dall’anti-stalinismo: ciò lo ha condotto a una lunga militanza dentro alcune organizzazioni trotzkiste e alle loro battaglie di fazione. Insieme a Raya Dunayevskaya ha formato la tendenza conosciuta come – dai loro pseudonimi –Johson-Forest, gruppo radicale del Workers’ Party americano, divenuto nel 1951 Correspondence Publishing Committee. Dopo l’uscita del gruppo di Dunayevskaya, all’inizio degli anni Sessanta anche Correspondence si spacca tra James Boggs e Grace Lee Boggs da un lato, che continuano l’esperienza, e dall’altro Martin Glaberman (figura di spicco nella Detroit delle lotte operaie) che segue C.L.R. nella nuova organizzazione Facing Reality.
D’altro canto, in rottura con Trotski e i suoi seguaci della Quarta Internazionale, per James lo stato burocratico non era esclusivamente un perverso risultato prodotto dal diabolico Stalin, ma un paradigma delle nuove forme di potere politico e sociale definite come “capitalismo di Stato”. Il partito unico all’Est o il welfare-state all’Ovest non sono che diverse declinazioni della stessa tendenza, ovvero della risposta capitalistica alle lotte operaie (si veda in merito il pamphlet Facing Reality, scritto all’indomani dell’insurrezione ungherese insieme a Grace Lee Boggs e a Cornelius Castoriadis, una delle figure centrali dell’esperienza di Socialisme ou Barbarie). E tuttavia, questo potere non è mai per James dominio totalitario: al contrario, il “capitalismo di Stato” è sconfitto e si apre una nuova fase. Coerente con il metodo marxiano, il capitale è infatti sempre un rapporto sociale. Non solo: è la lotta di classe operaia a dettare i tempi, a costringere il capitale alla reazione, a creare la realtà.
È in questa cornice politica che vanno inquadrate le lezioni tenute da C.L.R. James a Montreal, tra la fine del 1966 e il 1967, a un gruppo di militanti del Caribbean Conference Committe. Ne abbiamo selezionate cinque, su Marx e su Lenin, perché attraverso queste lezioni risaltano con evidenza la forza, la profondità e il metodo militante di James. Non hanno infatti nulla a che fare con il “marxismo accademico” e non sono una semplice esposizione teorica (come si potrà vedere non mancano ripetute frecciate alle letture che di Marx vengono fatte nelle università). Nella lettura di queste trascrizioni colpisce la scrupolosa attenzione formativa, la vera e propria pedagogia militante attraverso cui James costruisce il dibattito tra compagni. Così un nuovo concetto si incarna sempre in una materialità di pratiche e problemi, va piegato alla sua determinazione storica e utilizzato nelle lotte. Marx allora viene qui portato nei Caraibi, la misteriosa curva della retta di Lenin ripercorsa alla luce delle vittorie contro il colonialismo e dei fallimenti degli stati postcoloniali. L’analisi teorica di James è sempre situata dentro la lotta politica, impensabile senza di essa.
É un Marx particolare quello di James, capace di immergersi nelle rivolte degli schiavi e confrontarsi con Toussaint Louverture. É un Marx ripensato a partire dalle “periferie” che, rivoltandosi, si appropriano degli appelli all’uguaglianza e alla libertà della rivoluzione francese, per disvelarne la non neutralità e costruire un nuovo universalismo. Non è certo un Marx pauperista: “non ha mai parlato di una povertà crescente: lui diceva crescente accumulazione di miseria, schiavitù”. L’impoverimento è cioè soggettivo, delle capacità, delle forme di vita. È un Marx che serve per coniugare e dunque riformulare lotta anti-coloniale e lotta anti-capitalista, fondando la questione della razza dentro la lotta di classe, concependo la linea del colore a partire dalla linea dello sfruttamento. Nulla a che vedere con le versioni “culturaliste” o “intersezionali” che vanno di moda nelle accademie postmoderne: la lotta anti-razzista è lotta di classe, oppure non è.
Cos’è infatti il marxismo per James? Non è una formula matematica o una cianografia che ci dice cosa fare in ogni momento; è invece una griglia attraverso cui leggere il mondo e i rapporti sociali che lo costruiscono e lo dividono, è un metodo per la pratica rivoluzionaria. Non a caso James si concentra su uno degli scritti storici del Moro di Treviri, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, e sul capitolo de Il capitale dedicato alla lotta sulla riduzione della giornata lavorativa, per dirci con chiarezza: “Non l’analisi economica e l’espressione delle forze economiche: il marxismo è essenzialmente la questione della lotta di classe”. Non c’è classe senza lotta di classe, sostenevano negli stessi anni Tronti e gli operaisti. Questo è il fondamento del metodo.
E ancora: il marxismo è l’irriducibile parzialità del punto di vista di classe, è l’affermazione che il principio non è lo sviluppo capitalistico ma la lotta operaia. Ecco cosa dice il militante originario di Trinidad e Tobago, negli stessi anni della “rivoluzione copernicana” dell’operaismo italiano: “Lo sviluppo del profitto attraverso le macchine era il diretto risultato – Marx non ne fa mistero e non è mai stato smentito – di quelle lotte che la classe operaia ha combattuto per salvare la civilizzazione, la salute e il generale sviluppo intellettuale e morale della classe operaia stessa”. É, sostiene James, la lotta operaia a costringere il capitale a sviluppare le macchine e affinare i meccanismi di estrazione del plusvalore relativo. É la rigidità del lavoro vivo che forza il nemico a ristrutturarsi. É il desiderio di liberare il proprio tempo dal lavoro a muovere lo sviluppo.
Sono pagine e riflessioni la cui attualità è straordinaria, a dimostrazione della capacità di James di essere pensatore e militante globale: la sua biografia politica è segnata dagli incontri così come dagli scontri o dalle rotture con molte delle principali figure della storia rivoluzionaria del Novecento e delle lotte anti-coloniali, molti dei quali citati e analizzati criticamente nel corso delle lezioni (da Trotski a Kwame Nkrumah a Eric Williams), dalla costruzione di percorsi e connessioni, dal coraggio di affrontare conflitti e divisioni, dal tentativo di ricomporre movimento operaio e black power movement. È qui che interviene Lenin, la cui prassi rivoluzionaria viene fatta viaggiare dalla Russia ai Caraibi. James, infatti, non analizza il leader bolscevico per celebrarne la figura, ma per metterla al servizio delle lotte anti-coloniali, o meglio per trasformare le lotte anti-coloniali in lotte anti-capitaliste. Perché è la costruzione del comunismo e non l’indipendenza nazionale lo scopo della sua vita.
A un secolo di distanza dalla rottura dell’Ottobre, leggendo queste lezioni possiamo riattraversare l’esperienza della rivoluzione focalizzandoci sul dibattito sui sindacati nel partito bolscevico tra il 1920 e il 1921. In questo dibattito, troppo poco conosciuto e studiato, Lenin si contrappone da un lato a Trotski e Bukharin, cioè a un’idea dei sindacati come semplice articolazione amministrativa e apparato tecnico dello Stato operaio, dall’altro all’ideologia consiliarista e autogestionaria dell’Opposizione operaia. In quella fase concreta e non in linea di principio (secondo Lenin è uno degli errori di Trotski affrontare i problemi in questo modo), i sindacati sono una scuola del comunismo, un luogo attraverso cui gli operai e i proletari si organizzano anche contro il “loro” Stato, perché sono la fonte del potere sovietico. Mostrando il dibattito duro e gli scontri tra posizioni differenti, tra opzioni tattiche e strategiche, nel processo collettivo di formazione della direzione politica, James ridicolizza le banalizzazioni sulla dittatura del partito unico e le retoriche democraticiste. Il punto è per Lenin tutt’altro: distinguere il proletariato dal governo, opporsi alla sua statalizzazione, costruire la direzione dell’autonomia operaia dentro il processo rivoluzionario. Questi, “non la democrazia e le altre stupidaggini di cui la gente parla”, sono anche i problemi negli stati postcoloniali africani e delle Indie occidentali. È infatti proprio l’indipendenza dei comportamenti proletari, i processi di conflitto interni alla classe nel suo formarsi, la necessità di pensare il tema dell’organizzazione dentro l’autonomia operaia e la composizione storicamente determinata, a guidare tutto il percorso di James. E a condurlo – in rottura con le organizzazioni marxiste – a un pensiero e una pratica rivoluzionari contro l’idolatria socialista dello Stato e contro l’abdicazione alla lotta anti-capitalista da parte dei governi postcoloniali: una nuova società, sostiene a più riprese, è ciò che inizia a formarsi nelle lotte e nelle forme di organizzazione autonoma del presente.
Analizzando le esperienze rivoluzionarie del passato è chiara per James l’impossibilità per il militante di copiare le risposte, così come l’impossibilità di ignorare le domande. Ecco un altro punto di metodo che dobbiamo far nostro, se non vogliamo scimmiottare ciò che sta alle nostre spalle, oppure rimuoverlo. Al tempo del dibattito sui sindacati, il Lenin di queste lezioni dice: “siamo in crisi”. James spiega: “Sapete da dove viene questa crisi? Hanno appena vinto la guerra civile e adesso si immergono in questo dibattito per capire cosa avrebbero potuto fare con la rivoluzione russa. Questo è il punto: dove siamo e cosa facciamo? Esattamente la stessa cosa è avvenuta in Inghilterra intorno al 1648. Dopo aver sconfitto Carlo e tutti i realisti, il dibattito si è incentrato su che cosa fare in quel paese. É la situazione con cui si confronta ogni organismo rivoluzionario”. Anche noi oggi siamo in crisi: non per l’effetto di una vittoria, ma di una sconfitta. Che fare? Trasformare la crisi in occasione di salto in avanti rivoluzionario. Come non lo sappiamo, e non ce lo possono certo indicare Lenin o James, perché – ci hanno insegnato – le risposte vanno cercate nella loro determinazione storica. Certamente, però, continuano a consentirci di porre le domande centrali nel modo corretto. E per chi non voglia abbandonarsi alla nostalgia del passato o all’utopia di un futuro privato del tempo storico, ciò costituisce – come lo stesso James amava ripetere – il punto di partenza fondamentale.
Gigi Roggero
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