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Petizione dei detenuti al Ministro Cartabia

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa petizione dei detenuti al Ministro Cartabia. L’appello raccoglie i bisogni dei detenuti di fronte al sovraffollamento, alla mancanza di affettività e all’utilizzo di strumenti detentivi inutilmente crudeli che negli ultimi anni sono stati ampiamente applicati nel diritto penale e penitenziario.

Petizione dei detenuti al Ministro Cartabia

Al Ministro della Giustizia

Dott.ssa Marta Cartabia

OGGETTO: petizione ad opera dei detenuti firmatari della C.C.-C.R. di richiesta di interpellanza parlamentare volta a vagliare le seguenti richieste:

A) Abolizione ergastolo ostativo;

B) Abolizione e/o eventuale riforma art. 41bis;

C) Abolizione recidiva specifica infra-quinquennale ex art.99 – Legge Cirielli;

D) Inserimento, ampliamento corsi professionali interni;

E) Ripristino gg.75 di liberazione anticipata per tutte le fasce, 4 bis compreso;

F) Concessione permanente n.10 telefonate mensili;

G) Elezione di un detenuto ad opera di altri detenuti che vada a ricoprire il ruolo di “garante interno”;

H) Pieno reinserimento del detenuto in ambito lavorativo e sociale dopo l’espiazione della pena;

I) Introduzione colloquio intimo con il proprio coniuge.

Ecc.mo Ministro, siamo tutti coscienti della crisi che ha esacerbato il nostro paese negli ultimi anni. L’Italia si trova ad affrontare un periodo storico di cambiamento, una rivoluzione interiore che ha cambiato le dinamiche quotidiane. Lei come altri è stata chiamata a far parte di questo percorso di cambiamento, fautrice di una giustizia più celere e garantista si è adoperata affinché ciò avvenisse. Credendo in questo momento La invitiamo ad un confronto aperto su tematiche a noi care. Convinti che si possa andare verso una riforma nuova, che tuteli l’individuo, Le chiediamo di portare la nostra petizione in Parlamento, facendovi portavoce di richieste di giustizia ed umanità.

CAPO A) ABOLIZIONE ERGASTOLO OSTATIVO

La legge del 26 luglio 1975 n.354 sull’Ordinamento Penitenziario pone come elemento fondamentale l’obiettivo di rendere esecutivo il principio rieducativo della pena. Tale principio perde la sua funzione davanti a quella che di fatto è una pena perpetua. L’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario esclude dai benefici alcune categorie di reato:

  1. Reati di particolare pericolosità
  2. Reati commessi all’interno di Organizzazioni Criminali o Terroristiche
  3. Che presuppongono il rifiuto del condannato a collaborare con la giustizia. Tale esclusione “osta” alla concessione delle misure alternative, rendendo di fatto inammissibile ogni richiesta del detenuto, a meno che il detenuto non chieda l’applicazione dell’art.58 ter O.P. Al di là di quelle che sono le norme giuridiche è nostro intento mettere in risalto l’aspetto civico. A fine ‘800 in Italia venne abolita la pena “capitale”, succesivamente ripristinata nel 1926, nel 1944 fu nuovamente abolita a seguito di un “referendum popolare”. Nel nostro paese, sino al 2018 ultimi dati da noi raccolti, si contavano 1700 detenuti condannati a vita o condannati a morte, il che non è solo anticostituzionale, ma è l’antitesi stessa del principio della pena. Oggi non vogliamo porre l’accento sul reato in sé, che porta a una condanna all’ergastolo ostativo. Siamo consapevoli che chi commette degli errori dovrà assumersene la responsabilità dinanzi alla legge. Quello che chiediamo non è l’impunità, ma la speranza nell’individuo e nel cambiamento. Condannare un essere umano ad una lenta ed inesorabile pena di morte, dare per scontato che per alcune persone non vi sia spazio per un recupero, per un “vero” reinserimento, anche quando non vi sia nulla da offrire o da barattare, significa il fallimento stesso della società in cui viviamo. Tra gli esseri viventi siamo l’unica specie in grado di rinchiudere i propri simili […] “L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante”, F. Dostoevskij. Nessun cittadino si vorrebbe macchiare di questo delitto, ma in molti chiedono allo Stato di perpetrarlo. Una giustizia sana non può punire chi ha ucciso con l’uccisione, in una logica più di vendetta che di giustizia. Avallare un delitto ci rende tacitamente partecipi del delitto stesso.

Pertanto chiediamo l’abolizione dell’ergastolo ostativo adeguandoci a molti Paesi dell’Unione Europea.

CAPO B) ABOLIZIONE E/O RIFORMA ART. 41 BIS

Legge 10/10/1986 n.633, la riforma Gozzini introduce l’art. 41 bis O.P. Tale articolo venne inzialmente studiato per i detenuti con reati di terrorismo e coloro che organizzavano rivolte carcerarie, sino al 1992, anno in cui venne esteso ai detenuti indagati o condannati per reati di criminalità organizzata, quindi per reati esterni al contesto carcerario. Ciò che era nato come un isolamento totale, sospendendo il trattamento al fine di annichilire i più facinorosi e rivoltosi, diventa di fatto uno strumento dello Stato per abbattere la criminalità organizzata puntando ad una vera e propria destrutturazione della mente umana. Più volte la Corte Europea dei Diritti Umani ha riscontrato le violazioni della norma che vieta trattamenti inumani e degradanti nella misura in cui il regime di 41 bis veniva applicato. Più volte tale regime è stato considerato alle soglie della tortura. Chi ne è sottoposto vive costrizioni e restrizioni perenni. La restrizione della corrispondenza dà agli agenti ampia discrezionalità nella valutazione dei contenuti, ossia nel decidere quale frase o parola può apparire “pericolosa”. Restrizioni sulle telefonate, si fa presente a codesto Ecc.mo Parlamento, che i famigliari dei detenuti reclusi al regime del 41 bis, devono recarsi nel carcere più vicino alla propria abitazione per effettuare la telefonata con il proprio famigliare qualora venisse accettata. Ciò crea una limitazione non da poco per i detenuti con le famiglie residenti all’estero. Poiché anche le telefonate ricevute dal detenuto sono ascoltate e registrate dall’Amministrazione il bisogno di far recare il famigliare in un istituto non sussiste. Restrizioni dei colloqui. I colloqui visivi per i detenuti al 41 bis sono nella misura di uno o due colloqui mensili, a seconda delle disposizioni. Vorremmo portare all’attenzione di questo Parlamento che i detenuti sottoposti al regime di 41 bis sono sottoposti ad una completa separazione dai famigliari, a mezzo vetro alto sino al soffitto o gabbiotto isolato, i contatti fisici sono assolutamente vietati, il controllo audio-visivo è costante e gli standard di sicurezza sono altissimi. A questo punto ci chiediamo a cosa serve la restrizione del numero dei colloqui se non ad incidere sui già flebili rapporti famigliari, dove si colloca la rieducazione? Decurtare i colloqui consiste più in una punizione che in un contesto di recupero sociale. Anche il non potersi cucinare un semplice piatto di pasta, le limitazioni del vestiario fini a se stesse, le limitazioni dei canali televisivi assumono una veste prettamente punitiva. Pertanto sembra doveroso chiedere l’abolizione di tale regime o la sua riforma. Chiediamo che vengano fissati dei canoni per la valutazione della corrispondenza. Che venga ampliato il numero delle telefonate e dei colloqui mensili, la concessione del fornellino in cella come previsto anche per i detenuti in regime di A.S. e la concessione di un maggior numero di ore destinate ai passeggi, migliorando di fatto le condizioni di vita del condannato.

CAPO C) ABOLIZIONE DELLA RECIDIVA SPECIFICA INFRA-QUINQUENNALE EX ART.49

Altra causa del sovraffollamento è da sempre l’applicazione della legge ex Cirielli, ex art.99. Entrata in vigore nel 2005 collocava il soggetto all’interno di un gruppo identitario tracciando vari tipi d’autore: “il terrorista, l’affiliato, il recidivo, ecc.”, aumentando di fatto la pena del condannato da un terzo fino a due terzi e portando l’accesso ai benefici di legge sino a tre quarti della pena per i recidivi già reduci di tale applicazione. Tale norma non si limita a valutare una singola incriminazione condannandone il “reo”, ma si estende al contesto e allo storico del detenuto, valutando non il reato in sé ma tutta la sua backstory in un’ottica di diritto d’autore. Questo approccio oscura le garanzie del diritto penale diventando l’antitesi del garantismo, valutando la persona non per ciò che ha commesso, ma per chi è stato. La legge Cirielli ha di fatto contribuito in maniera perspicua al sovraffollamento carcerario raggiungendo livelli catastrofici. Pertanto ne chiediamo la revoca in virtù di una massima forma di garantismo.

CAPO D) AMPLIAMENTO CORSI PROFESSIONALI ALL’INTERNO DEGLI ISTITUTI DI PENA

Non possiamo non portare come problematica concreta la carenza di corsi con qualifiche professionali all’interno degli stituti di pena italiani. Sebbene nell’ultimo ventennio tali corsi siano aumentati, ad oggi il sistema presenta ancora grandi lacune nell’offrire gli strumenti necessari affinché il detenuto possa intraprendere un proficuo percorso di reinserimento. Spesso si parla di principio rieducativo della pena come punto cardine per abbattere la recidiva. Noi crediamo che sia doveroso aiutare il detenuto a costruirsi una seconda opportunità. In Italia sono pochi gli istituti di pena che offrono un lavoro e una crescita professionale durante il percorso detentivo. Un detenuto che si trova a scontare una condanna, lunga o breve che sia, se lasciato a se stesso e non motivato avrà un’alta probabilità di tornare a fare esattamente quello che faceva prima del suo ingresso. Offrire un percorso professionale interno e seguire il detenuto durante le fasi del reinserimento, offrirgli una collocazione lavorativa, di fatto può incidere sulla recidiva abbassandone il tasso. In consulto chiediamo un aumento dei corsi professionali interni agli Istituti; un aumento delle collocazioni lavorative interne ove sia possibile con un ingresso di un’azienda; seguire il detenuto in un percorso lavorativo che lo conduca dall’interno all’esterno.

CAPO E) RIPRISTINO GG.75 DI LIBERAZIONE ANTICIPATA PER TUTTE LE FASCE

Tutti siamo consapevoli di come il sovraffollamento carcerario sia stato una tematica ricorrente nell’ultimo ventennio. Più volte sono state adottate misure emergenziali per fronteggiare il problema. Più volte siamo stati invitati dalla Corte Europea a fornire soluzioni efficaci affinché tale problema venisse risolto. In Italia l’articolo 54 C.P. prevede che il detenuto che serbi un buon comportamento possa accedere al beneficio della liberazione anticipata nella misura di giorni 45 per ogni semestre maturato. In realtà non è propriamente esatto. Per maturare il semestre il detenuto deve aspettare il compimento dei sei mesi prima di inoltrare la richiesta, tale richiesta verrà correlata di relazione comportamentale e inoltrata al magistrato competente per la valutazione. Così facendo l’ultimo semestre viene quasi sempre perso in automatico. Portiamo un esempio a sostegno della nostra tesi: il detenuto che si trova a scontare un anno di condanna potrà chiedere, allo scadere del primo semestre, giorni 45 di liberazione anticipata, dovrà in seguito attendere lo scadere dei successivi sei mesi per richiedere il nuovo semestre che di fatto “perderà” perché giunto a fine pena. Così strutturato, il beneficio consentirà a chi deve scontare un anno di carcere di accedere ad un solo semestre nonostante egli abbia serbato un buon comportamento. Ripristinare i 75 giorni di liberazione anticipata garantirebbe a chi sta scontando la pena di recuperare quasi del tutto l’ultimo semestre. Questo beneficio e introdotto all’interno dell’Ordinamento Penitenziario avrebbe una funzione complementare, andando ad incidere sul sovraffollamento da sempre presente nelle carceri. Ciò troverà la sua efficacia solo se il beneficio verrà esteso a tutte le fasce.

CAPO F) CONCESSIONE PERMANENTE DI 10 TELEFONATE MENSILI

Durante la prima fase emergenziale dovuta al Covid-19 che ha portato le direzioni delle carceri ad applicare delle restrizioni in termini di colloqui visivi, restrizioni ancora in vigore, il Dipartimento ha ampliato il numero di video colloqui e telefonate al fine di garantire una maggiore comunicazione con i propri famigliari. Fermo restando che ci auspichiamo di tornare alacremente alla normalità, ripristinando i colloqui in presenza chiediamo: che le dieci telefonate mensili, già in vigore dall’inzio della pandemia, diventino effettive, inserendole a pieno titolo nell’Ordinamento Penitenziario migliorando di fatto la comunicazione detenuto-famiglia.

CAPO G) ELEZIONE DI UN DETENUTO AD OPERA DI ALTRI DETENUTI CHE VADA A RICOPRIRE IL RUOLO DI GARANTE INTERNO

Da molti anni a questa parte lo Stato ha inserito a tutela del detenuto la figura del “garante delle persone  sottoposte a limitazioni della libertà personale”. Ad ogni istituto fa capo un Garante, i vari Garanti in ordine piramidale fanno capo al Garante Regionale, il quale fa capo al Garante Nazionale. Ci duole dire che, da informazioni ricevute dai vari compagni collocati in vari istituti tale figura è a volte latente. Non sempre la figura del garante riesce ad imporre la propria presenza, inoltre non vivendo personalmente la realtà quotidiana interna all’istituto, la sua prospettiva e il criterio di valutazione sarà generato tramite le informazioni ricevute, sia da parte dei detenuti che del Corpo della Penitenziaria. Al fine di fornire una maggiore forma di tutela del detenuto, la nostra proposta è quella di inserire la figura complementare del Garante Interno in supporto a quella già esistente. Ossia, un detenuto eletto dai detenuti stessi dell’Istituto in totale democrazia. Tale detenuto dovrà sicuramente avere dei requisiti, dalla conoscenza dell’ordinamento al fine pena on imminente, al fine di garantirne la presenza. Dovrà essere autorizzato a spostarsi per i vari reparti, rapportandosi con gli altri detenuti, verificando quali siano le problematiche e vagliando le loro istanze. Dovrà relazionare e comunicare con il Garante esterno fungendo da trait d’union tra il detenuto e l’esterno. Potrà, in caso di assenza o inadempienza del Garante di ruolo, rivolgere formale reclamo al Garante Regionale al fine di dipanare eventuali problematiche causa di nocumento. Tale figura non si va assolutamente a sostituire a quella già in vigore. I Garanti interni degli Istituti dovrebbero poter comunicare tra di loro in ambito regionale a mezzo video-colloquio, al fine di valutare e protare all’attenzione problematiche comuni. Tale figura dovrà essere inquadrata e retribuita a “norma di legge” in maniera “eguale” per ogni Istituto. Questo obbiettivo consente un approccio più garantista che sicuramente si affaccia ad una vera riformabilità del sistema.

CAPO H) PIENO REINSERIMENTO DEL DETENUTO IN AMBITO LAVORATIVO E SOCIALE AD ESPIAZIONE PENA

Ci teniamo ad un’ulteriore osservazione per noi fondamentale, sulla quale non possiamo non cercare un confronto. Considerato quanto citato al capo D, è importante fornire a chi è stato detenuto una seconda possibilità, come già avviene in molti Paesi della Comunità Europea, al termine della pena il detenuto viene completamente riabilitato e reinserito all’interno del tessuto sociale. Ciò in Italia non avviene. In base ai precedenti e alla tipologia di reato viene applicata un’interdizione ai pubblici uffici che varia da un minimo di cinque a un massimo di dieci anni. Un pregiudicato, in quanto tale, non può accedere a molti albi professionali, né ad alcune tipologie di lavoro. Portiamo un esempio ad avvalorare la nostra tesi: un ex detenuto, gravato da diversi precedenti penali, anche solo contro il patrimonio, escludendo “mafia e terrorismo”, nonostante abbia conseguito una laurea durante il percorso detentivo, che sia in giurisprudenza piuttosto che in architettura, nonostante un ottimo percorso, espiata la pena non potrà di fatto iscriversi all’albo professionale ed esercitare, causa precedenti. Di fatto qualora una persona cercasse di riprendere in mano la propria vita verrebbe comunque ghettizato e relegato in una sorta di girone dei marchiati. Noi crediamo che in un Paese “garantista”, fautore della “libertà”, terminare la pena significh aver pagato il proprio debito e rientrare a pieno titolo nella società. Significa una rinascita, senza dover anteporre il passato al presente.

CAPO I) INTRODUZIONE COLLOQUIO INTIMO CON PROPRIO CONIUGE

In consunto, vogliamo chiudere questa petizione, ricordando ai membri di codesto Parlamento come in molti Paesi della Comunità Europea sia già in vigore da molti anni il colloquio intimo con il proprio coniuge. E’ acclarato come una lunga detenzione abbia effetti devastanti sia sul condannato che sui propri famigliari. Psichiatri, psicologi, medici e studiosi, hanno più volte dimostrato come una lunga detenzione porti ad una destrutturazione e disumanizzazione dell’individuo, producendo effetti negativi sullo stato psico-fisico del detenuto, i quali si ripercuotono sui famigliari. La “violenza” della pena si estende così a tutti i famigliari, la lontananza, la mancanza di rapporto intimo tra coniugi, porta spesso a decisioni dolorose come quella di cessare i rapporti, causando a volta dei gravi stati depressivi nel condannato che, nei casi più estremi, vede nei gesti come il suicidio “l’estrema ratio” della sofferenza. Pertanto crediamo sia fondamentale per chi è sottoposto a lunghe carcerazioni coltivare i rapporti intimi con il proprio partner.

Osserviamo come sia importante una riforma epocale dell’Ordinamento Penitenziario. Vi chiediamo un approccio non di diniego, bensì un’apertura verso un contesto molte volte messo ai margini. Chiediamo che il nostro Paese sia pronto ad assicurarsi la responsabilità di un sistema penitenziario garantista, volto ad un vero reinseriemento del condannato.

Sperando nel dialogo porgiamo cordiali saluti.

I detenuti

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