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REAGAN GO HOME!

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DALLA SCUOLA AL NUCLEARE:

ROMPERE LA GABBIA DELL’OPPOSIZIONE -SPETTACOLO

 

Vorremmo che la protesta per la venuta in Italia dal tre al 10 giugno del presidente degli USA, che simboleggia gli aspetti più feroci e reazionari dell’imperialismo, non si esaurisse nelle rituali sfilate, non diventasse pastura per partiti e partitini a caccia di voti pacifisti.

Vorremmo che protagonisti della protesta fossero migliaia di compagni, di proletari, di giovani che in questi anni si sono battuti senza opportunismi, a viso aperto e pagando di persona, contro l’invio delle truppe italiane in Libano, contro l’installazione dei missili a Comiso, contro le centrali nucleari in funzione ed in costruzione, contro le basi NATO, contro le fabbriche di armi le produzioni di morte ed inquinanti.

Questo perché le sfilate folkloristiche, la politica di opposizione come spettacolo, sono qualcosa che gratifica una volta all’anno qualche bello spirito eco-pacifista; qualcosa che il potere ogni tanto nega ma spesso concede alla propria immagine democratica, ma la lotta di classe antiimperialista, l’internazionalismo proletario, l’azione diretta antinucleare o a sostegno dei movimenti di liberazione, sono reati: comportano cariche, pestaggi, denunce ed arresti, magari per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione”!

Questo i promotori di marce per la pace, di catene umane sul nucleare, e tutti i loro sponsor laici e cattolici PCI e FGCI in testa, lo sanno, come sanno tenersi alla larga dai tabù del potere. Così in un appello seguito da un interminabile elenco di adesioni, per una manifestazione il 6 giugno a Venezia si può leggere di tutto! Che tutte le armi vengano bandite dalla faccia della terra, che tutti i popoli siano liberi, che cessi il traffico d’armi verso il Sud Africa dell’apartheid etc. MA FUORI LA NATO DALL’ITALIA NO CHE NON C’È!

Che al vertice dei 7 GRANDI a Venezia dall’otto al dieci giugno si discuterà di come organizzare più efficacemente la “lotta al terrorismo internazionale”, cioè si pianificheranno nuove aggressioni militari a sostegno dello strangolamento economico nei confronti dei movimenti di liberazione, della resistenza palestinese in particolare, come di paesi quali il Nicaragua o la Libia, i promotori di appelli e sfilate, le vestali dell’ecopacifismo lo sanno. Sanno anche che i missili a Comiso o il recente potenziamento della base navale di Taranto nulla hanno da spartire con il cosiddetto ruolo difensivo dell’Alleanza Atlantica, tema carico caro al PCI, sono invece l’ulteriore accelerazione del processo di estensione dall’area d’intervento NATO verso il Medioriente. E se la Stark viene colpita, per errore, dai missili iracheni, ci sono già i Fanfani e gli Spadolini di turno che raccogliendo l’appello di Reagan scoprono che anche il Golfo Persico, oltre al Mar Rosso, sono “prolungamenti naturali” del Mediterraneo e… della NATO!

Ma la richiesta di un’allegra e colorita sfilata per il 6 giugno a Venezia è stata ufficialmente sottoscritta dai tre consiglieri comunali capigruppo Boato dei Verdi, Bosello di Dp e De Sabbata del PCI, di conseguenza fuori la NATO dall’Italia non si può neanche dire!

Chi è che non è disposto a sottoscrivere il pletorico appello di pertiniana memoria “si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai”? Ma scherziamo! Tutti! Anche Lucchini della Confindustria anche l’avvocato Agnelli dell’Oto Melara o delle commesse Fiat per lo SDI, anche quei sindacalisti della Cgil che tacciano di “terroristi e fascisti” quei compagni e proletari che bloccano le fabbriche di armi che esportano in Sudafrica come alla Remie Junghans di Rossano Veneto, tanto per fare un esempio.

Ma dire fuori la NATO dall’Italia significa uscire dalle generiche petizioni di principio e porre un problema politico cruciale e discriminante: un obiettivo di lotta, di mobilitazione, di azione diretta reale e questo i promotori del 6 giugno non possono e non vogliono farlo.

L’arcipelago eco-pacifista neo-istituzionale detesta l’antagonismo di classe e l’azione diretta quando è subalterno rispetto alle sponsorizzazioni dei partiti, PCI in testa, e nella misura in cui è obbediente servile alle ingiunzioni dello Stato, dei governi, dei Ministri dell’Interno. A TAL PUNTO CHE NON CI STUPIREMMO SE DI FRONTE AD UN EVENTUALE E PROBABILE DIVIETO DELLO ZELANTE MINISTRO SCALFARO I NOSTRI MARCIATORI SI RITIRASSERO IN BUON ORDINE CON LA CODA TRA LE GAMBE, MAGARI IN QUALCHE PIAZZETTA O CINEMA DI PERIFERIA! FUORI LA NATO DALL’ITALIA non è solo uno slogan, una parola d’ordine sacrosanta.

Costruire la mobilitazione costante contro le basi NATO installate nel territorio italiano è un punto discriminante nei confronti del PCI e del pacifismo parolaio.

Non ci si salva la coscienza di fronte ai crimini perpetrati dall’imperialismo nei confronti dei proletari e dei popoli del terzo mondo, come di fronte alla crescente militarizzazione dei nostri territori, innalzando una volta all’anno ramoscelli di ulivo.

Eppure, il movimento antagonista, anti-imperialista e anti nucleare, ha la necessità di portare il suo punto di vista anche all’interno della scadenza del 6 giugno, come ha fatto il 25 ottobre 1986 a Roma e il 26 aprile a Caorso. Per almeno tre fondamentali motivi.

Il primo è che per il movimento antagonista vige il divieto permanente, concordi tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale, a scendere in piazza, a manifestare sui propri contenuti e sui propri obiettivi. PER QUESTO MOVIMENTO I DIVIETI NON SONO L’ECCEZIONE MA LA REGOLA!

Ogni volta che ha potuto il movimento antagonista ha rotto il divieto sfidando coraggiosamente la repressione, spesso la violenza poliziesca più brutale, come in occasione del 25 ottobre e dei blocchi alle centrali nucleari. E ancora ogni volta che può, come in questo caso, portare questa precisa discriminante, questa fondamentale battaglia politica che è la conquista del diritto a manifestare: lo fa.

Anche all’interno di scadenze più o meno istituzionali, che vedono coinvolte e strumentalizzate aree sociali più o meno consistenti. L’obiettivo è, attraverso la critica della subalternità dell’eco-pacifismo alle scelte produttive e militari del capitale, creare contraddizioni, operare nel tentativo di allargare gli spazi e la legittimazione sociale dell’antagonismo, dell’azione diretta e di massa contro le basi NATO e le centrali.

Perché sfilare è permesso, quasi sempre, e lottare no? Perché manifestare per la pace, in un tutto generico e indistinto, può essere permesso mentre manifestare contro la NATO concretamente, in occasione della venuta di Reagan e del vertice dei 7, no?

Sono domande che non vanno certo rivolte ai promotori, ai gruppi e partitini che vivacchiano tirando il PCI per la coda finendone trascinati a rimorchio, ma a quei proletari, a quei giovani che partecipano a queste scadenze perché non hanno ancora imparato a conoscere percorsi e punti di riferimento alternativi.

Il secondo motivo è che anche il 6 giugno è una data in cui deve risultare manifesta l’ostilità dei comunisti e dei proletari italiani all’ imperialismo Usa e alla NATO, al vertice dei 7, alle trame militari e monetarie che si consumano sulla nostra pelle e sulla vita di interi popoli. Deve risultare chiaro anche in Italia che le cittadelle del capitale multinazionale non sono fortilizi completamente pacificati da cui gli imperialisti possono far partire qualsiasi manovra politica e militare senza incontrare ostacoli di sorta.

Malgrado Fanfani e De Mita, malgrado Craxi e Natta, malgrado l’avv. Agnelli lo stato d’ordine e l’ordine capitalistico riposano sopra una pesante coltre di cenere che cova delle braci. E’ presto per parlare di antiistituzionalità diffusa, di una radicata emergenza dell’antagonismo proletario, malgrado ciò l’ordine non regna nei “ghetti” metropolitani dove si occupano i centri sociali, all’Alfa- Lancia di Arese di Pomigliano, nella scuola, malgrado Scalfaro, Pizzinato e la Falcucci, malgrado il sindacalismo di regime di CGIL, CISL e UIL!

Il terzo motivo è che, come sul terreno del nucleare, l’eco-pacifismo, dalle associazioni a DP, è irreversibilmente scivolato sulla china della cieca e totale subalternità alle istituzioni, ai partiti, ai sindacati. Dalla logica referendaria, tregue seguite dall’inevitabile “scippo”, è approdato alle sabbie mobili dell’elettoralismo più sfrenato.

Costoro incarnano ormai la quintessenza della logica dell’impotenza della sconfitta. L’unico risultato di cui possono andar fieri è di aver contribuito a creare un argine neo-istituzionale all’antagonismo e all’azione diretta, fungendo spesso da sponda utile alla repressione. In cambio di che? Per i loro referenti sociali, le loro aree un pugno di mosche e nessuna prospettiva credibile per l’immediato futuro, per i leaders qualche poltrona da onorevole! E questi, a parte qualche tribunetta elettorale televisiva oggi e qualche inutile interrogazione parlamentare domani, quali indicazioni reali di lotta sul Nucleare e la NATO hanno da offrire?

NESSUNA! QUESTI ORFANI DEI REFERENDUM NON HANNO PIÙ NIENTE DA DIRE!

Non è possibile stare a guardare il mercato che si sta facendo attorno agli ideali della pace (ma quale pace?) e della solidarietà internazionalista tra gli sfruttati e gli oppressi dall’imperialismo delle multinazionali! Non è possibile accettare di essere rinchiusi come pecore belanti, da qualche parte, guardati a vista, ad ascoltare le chiacchiere di qualche leader gruppettaro o eco-pacifista!

ANDARE A VENEZIA IL 6 GIUGNO, MA NON SOLO SCENDERE IN PIAZZA IN TUTTA ITALIA NELLE FORME DELL’AUTONOMIA DI CLASSE E DELL’ANTAGONISMO. È LA SOLA VIA PER CHI VOGLIA SCROLLARSI DI DOSSO QUESTO FANGO, PER FAR SÌ CHE ALTRI POSSANO USCIRE DAL PANTANO DELL’OPPORTUNISMO.

Venezia è già piena di recinti e steccati, l’eco-pacifismo si consuma in ideologia che ne sublima l’esistenza, l’antagonismo si misura il contrario nella capacità di spezzarli!

 

Rompere la gabbia!

Nuove contraddizioni e prospettive

Dalla scuola in cui comincia ad emergere la crisi dell’insegnante in quanto controllore sociale, sfruttato e malpagato, a sua volta controllato da suoi “simili” promossi al rango di capireparto della fabbrica di riproduzione dei ruoli sociali, ancora in parte “professionista in pectore” ma salariato nella realtà. Alla fabbrica robotizzata fino alle ultime determinazioni del ciclo dell’auto in cui riemerge la catena di montaggio e più della metà della forza-lavoro è risospinta indietro di 10 anni nelle condizioni di lavoro e di salario, ai cassaintegrati che non votano i referendum sindacali mentre la maggioranza schiacciante degli operai vota NO all’accordo FIAT-sindacati sull’Alfa-Lancia. Da queste nuove realtà il pansindacalismo esce definitivamente spoglio di ogni retaggio contrattuale che non attenga a sé stesso e si sublima in lobby di potere degli stati privilegiati, tecnici e quadri, prodotti dalla cosiddetta “terza rivoluzione industriale”.

Si è creato un vuoto incolmabile. Emergono tra gli insegnanti nuove forme di organizzazione di base, autonoma di sindacati, pur tra limiti e contraddittorietà che ben conosciamo. Anche per gli operai è questa l’unica alternativa in questa fase alla scomparsa in quanto soggetti attivi nello scontro di classe attorno ai nodi della ristrutturazione, come del territorio per i disoccupati. E’ presto per parlare di ricomposizione proletaria, di nuovi soggetti trainanti della conflittualità sociale, ma è indifferibile per la soggettività comunista ma anche per quella più vasta che si è misurata sul terreno dell’azione diretta antinucleare e antimperialista, rompere definitivamente ogni separatezza del suo agire pratico e della sua progettualità immediata e futura dalle contraddizioni della fabbrica sociale e del territorio.

Porsi oggi, come punto di riferimento per tutti quei settori proletari che esprimono una conflittualità anche minima al capitale e al sindacato di Stato è una questione urgente per quella soggettività antagonista che è cresciuta nel movimento antinucleare e antimperialista. Di più è anche condizione indispensabile per la stessa riproposizione in termini più estesi e maturi delle prossime battaglie antinucleari e internazionaliste. Dai campeggi estivi da costruire ancora attorno a Montalto, Caorso e PEC del Brasimone, a quelle lungo le rotte adriatiche, da Brindisi a Trieste, del carbone sudafricano, alla mobilitazione da rideterminare in futuro attorno alle basi NATO a quella permanente contro le fabbriche di armi, di morte e inquinanti.

Per quanto riguarda la farsa elettorale c’è ben poco da dire: NESSUNA TREGUA! NON VOTARE, LOTTA! BLOCCARE LE CENTRALI NUCLEARI E NUOVE ASSEMBLEE CON I LAVORATORI!

 

Autonomia e organizzazione

Dalla fabbrica alla scuola, lungo tutte le determinazioni della fabbrica sociale del territorio, l’incedere della ristrutturazione ha finito, con buona pace degli apologeti del post-industriale e del superamento delle classi, per riproporre una spaccatura sociale alquanto netta e radicale.

Accanto alla determinazione feroce e violenta, alla fine degli anni ‘70 e fino a oggi, del comando per la ripresa selvaggia del profitto capitalistico si è polarizzato un arcipelago di mille grandi e piccoli interessi particolari che coinvolge milioni di persone. In questo blocco sociale reazionario quanto ammantato di modernismo rampante, la ricchezza scorre a fiumi: quando Craxi tagliò i 4 punti della scala mobile e si presentava ad Agnelli e compagni con questo attestato di arroganza antioperaia, il prodotto interno lordo era sottostimato del 17%, 103.000 MILIARDI DI RICCHEZZA “SOMMERSA” E NASCOSTA!

In mezzo il purgatorio: si sale, più spesso si scende.

Al polo opposto troviamo mera riproduzione, pura e semplice sussistenza: salario medio 1 milione al mese e per molti, specie al Sud, è l’unica entrata in famiglia. Più sotto ancora il girone infernale della disoccupazione, 3 milioni e mezzo, e del lavoro nero con forte immigrazione clandestina, circa 1 milione e mezzo: lavori di merda, paghi di merda, vita di merda e si muore sempre più spesso, da Ravenna a Genova!

Il primo polo è relativamente massificato, non più la classica e ben identificata borghesia, ramificato lungo le articolazioni della fabbrica sociale, terziario avanzato, Università, mass-media, imprese grandi, medie e piccole ecc. E qui il sindacato ha saltato il fosso, ha sposato la “modernità” contro la “residualità”, ama i tecnici e i quadri perché ricchi, colti e guardano al futuro, detesta e accusa gli operai dell’Alfa-Lancia, ad esempio, di opporsi al progresso: poveri, rozzi ignoranti e quindi inevitabilmente preda in un cieco antisindacalismo!

Prendendo atto dell’esistenza di “due società”, rimasticando le ciniche lezioni dell’ex-operaista prof. Asor Rosa, il sindacato sposta la prima e si contrappone con arroganza e livore, tipici dei parvenus del potere, alla seconda. Il PCI che nella prima è entrato a pieno diritto, anche se sempre ai piani di servizio che divide appunto con CGIL, CISL, UIL, col compromesso storico e la solidarietà nazionale che salvarono i padroni allo stato schiacciando l’autonomia operaia (non ci siamo dimenticati del 7 aprile!), siccome ci sono le elezioni azzarda un po’ di carità pelosa: “lo scontento operaio c’è ed è reale” (bontà loro), “gli insegnanti sbagliano, ma qualche ragione ce l’hanno”, ecc.

Il fatto è che però la “seconda società” è una trasposizione sociologica sotto la quale si cela la maggioranza proletaria sempre più sfruttata e sempre meno rappresentata. La si crede così debole che perfino la ricerca, nei suoi confronti, di una qualche forma di consenso è una funzione oggi quasi ai margini della politica del capitale e dello Stato. L’ideologia capitalistica scopre l’archetipo moderno dello schiavo: talmente schiacciato dalla sua condizione da non esser ritenuto più capace di una ribellione cosciente!

Così l’ideologia del dominio spinta all’eccesso deborda dall’autolegittimazione all’autoesaltazione, primo stadio della confusione ovvero… la corda a tirarla troppo si spezza!

Nell’ultimo anno scuola e Alfa-Lancia, blocchi e scontri alle centrali nucleari, centri sociali occupati ecc. blocchi e iniziative dirette contro le fabbriche di armi ecc. se di per sé non costituiscono immediatamente un terreno unificante per l’antiistituzionalità e verso l’antagonismo e tutto ciò è ancora consegnato al piano progettuale e a volte forzoso della soggettività comunista, non è questo un ostacolo insormontabile, né deve diventare un fattore paralizzante. Questa fase deve necessariamente prevedere l’approfondimento, nei diversi settori in lotta e in movimento, di momenti specifici e concreti di autoorganizzazione e di programma attorno a una piattaforma sociale che va dal reddito in generale al salario alla qualità della vita dei proletari; fuori e contro il riformismo compromesso, fuori e contro il sindacalismo di regime.

Mille e mille comitati di base, di lotta, centri sociali autogestiti, forme cooperative slegate dalle logiche del ghetto felice e dell’auto sfruttamento, occupazioni di case e autoriduzioni, devono vivere svilupparsi a fianco e con il movimento antinucleare e antiimperialista. Non dimentichiamo che l’imperialismo nello strangolare i proletari e i popoli oppressi del terzo mondo si fa forza dello sfruttamento e della pacificazione all’interno delle metropoli, delle sue cittadelle, l’Italia è una di queste. E il meccanismo funziona chiaramente anche al contrario. Questo è il significato semplice, ma profondo e scientifico, di un vecchio slogan di tutte le manifestazioni al quale restiamo sempre affezionati:

IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE: INTERNAZIONALISMO E RIVOLUZIONE!!!

 

Fonte: “Autonomia n. 40” – giugno 1987

 

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