
Carlo fino all’ultimo è rimasto davanti

Per venerdì 20 luglio, il secondo giorno di mobilitazione contro il G8 a Genova, il corteo più grosso, è quello dei “disobbedienti” , con partenza allo stadio Carlini.
Le tute bianche, hanno l’obiettivo di raggiungere la zona rossa per assediarla pacificamente, non andrà così.
Il corteo, composto da almeno diecimila persone si muove intorno alle 2, con i manifestanti alla testa, vestiti di gomma piuma, caschi e bottiglie di plastica legate alla meglio intorno agli arti, che sorreggono scudi per proteggere il resto dei manifestanti.
Intanto la violenza delle forze dell’ordine, incapaci di gestire la situazione e mandate evidentemente allo sbaraglio inizia a manifestarsi contro il sit-in delle associazioni presente in Piazza Manin, caricato e gasato dai lacrimogeni all’improvviso.
Stessa sorte tocca al corteo delle tute bianche quando in via Tolemaide un plotone di carabinieri, carica e riempie di lacrimogeni la testa del corteo che rimane imbottigliato senza via di fuga. A quel punto i manifestanti lasciano da parte le indicazioni dei vari Casarini, Caruso e company e reagiscono iniziando violenti scontri con i carabinieri e i reparti della Celere.
L’errore più grande però lo commette un gruppo di carabinieri che intorno alle 17.20 si sposta insieme a due jeep verso Piazza Alimonda per caricare i manifestanti ritrovandosi imbottigliato nella piazza. A quel punto i carabinieri provano ad arretrare ma le due camionette faticano ad invertire la marcia, tant’è che una delle due si incastra tra il muro ed un cassonetto. Da quel defender spunta fuori un braccio che punta una pistola ad altezza d’uomo. Un ragazzo, raccoglie un estintore nel tentativo di scagliarlo contro quella mano assassina, ma viene colpito in faccia da due colpi di pistola.
“ma Carlo fino all’ultimo è rimasto davanti fino ad alzarsi con un estintore in primo piano ci ha insegnato a vedere cos’è un essere umano”
Il ragazzo, è Carlo Giuliani, 23 anni residente a Genova. Quella mattina aveva in programma di andarsene al in spiaggia, ma il clima che si respirava in città gli fece cambiare idea e partecipare al corteo.
“E ora nella dignità mi specchio, nella dignità del fratello che era insieme a noi nel mucchio, lui ha lottato, quando ha avuto l’occasione non ha voltato gli occhi e questa é la lezione da insegnare nelle scuole, nei racconti che disegnano le sere cosa sparava in faccia quel carabiniere, io porto con me il nome di Carlo Giuliani, noi facciamo la storia mentre quelli fanno i piani”
La famiglia di Carlo e tutte le vittime dei pestaggi di Genova cercano ancora di avere giustizia a molti anni di distanza.
Mentre gli sbirri responsabili di ciò tutto ciò che è accaduto a Genova in quei giorni se la cavano con condanne fasulle e continue promozioni.
“e non spegni il sole se gli spari addosso, non spegni il sole se gli spari addosso!”
Guarda “G8 20.07.01 – L’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda 1”:
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TRA COLUCCI E CASARINI – Riflessioni su una questione politica
Martedì 28 Agosto l’ex questore Colucci, davanti al comitato parlamentare d’inchiesta sui fatti di Genova, ha affermato che: “con Casarini c’era un patto per una sceneggiata”.
Il giorno seguente il portavoce delle tute bianche rilascia al Corriere una smentita che però suona come una conferma: “Sono stati i carabinieri a far saltare tutto attaccandoci a freddo in via Tolemaide, prima di Brignole, dove ci aspettavano i poliziotti. Perché non si dice che l’arma ha agito senza coordinarsi con la polizia?”.
Forse qualcuno sarà caduto dalle nuvole, altri non avranno saputo a chi credere ma molti si spiegheranno alcuni enigmi sorti in quei giorni. Non c’è da stupirsi più di tanto e nonostante non diamo per oro colato quello che dice un questore, si sapeva che le tute bianche da anni si accordavano con le questure di tutta Italia. Su questi patti taciuti e sugli accordi con il ceto del centro sinistra hanno cercato di conquistarsi un’egemonia nelle lotte e di imporre la loro linea.
La questione è dunque politica e, su questo bisogna discutere e fare chiarezza.
Non serve scandalizzarsi, non serve insultare, ma bisogna invece costruire informazione, critica, confronto e battaglie sociali e politiche. L’impiego che serve è chiaro: vogliamo lavorare perché il movimento maturi e cresca, ma anche cambi direzione e si liberi della gabbia in cui vorrebbero spingerlo i politicanti istituzionali o istituzionalizzati.
All’origine di determinate scelte, maturate e costruite negli anni novanta, ci stavano due questioni politiche importanti:
la diminuzione forte del conflitto sociale, quindi l l’impossibilità d’incidere nella società e nelle istituzioni con una forza sociale capace di produrre effettive trasformazioni e rotture politiche e il problema (da sempre insoluto) della rappresentanza dei movimenti sociali. L’assenza di reali referenti sociali e l’impossibilità di dare obiettivi e percorsi all’agire alternativa, ha spinto molte esperienze e forze politiche organizzate, per non morire, a mutare la loro collocazione sociale e politica e a presentarsi, almeno all’apparenza, come esperienze capaci di trasformarsi o d’adeguarsi alla nuova realtà.
Così sono nate le pratiche della simulazione del conflitto e dell’istituzionalizzazione della rappresentanza. Quest’ultima a volte costruita in proprio, a volte delegata ad altri politici di professione.
Il succo di questi discorsi è ben spiegato da Luigi Manconi, persona che da tempo si confronta con alcuni di questi ambiti. Anni fa aveva persino tentato di utilizzare, un entrismo delle tute bianche venete nei verdi, per ribaltare i rapporti di forza interni a questo partito istituzionale. Progetto poi miseramente fallito. Anche ultimamente Manconi ha lavorato molto, dietro le quinte, prima del G8 perché la mobilitazione noglobal si indirizzasse verso forme pacifiche. Dopo Genova tace.
Chi ha letto il suo punto di vista apparso su La Repubblica del 14/07/2001 intitolato G8, la paura della violenza e la scomparsa delle molotov ha la conferma che quanto afferma Colucci non è una totale invenzione. Riportiamo quanto diceva in data non sospetta: “Dal 1989 in Italia non viene lanciata una bottiglia Molotov, da un decennio non si verificano scontri in piazza (o quasi), in ogni caso non si verificano scontri di piazza paragonabili, per intensità di violenza, a quelli degli anni 70.Ci sono piuttosto rappresentazioni di battaglie di strada e scontri simulati. Spesso queste performance belliche, grazie alla raffigurazione televisiva o fotografica, sono apparse come vere. Ma a parte rare eccezioni, si è trattato esclusivamente di rappresentazioni”.
L’articolo prosegue insistendo sulla necessità di contenere la violenza espressa dai movimenti sociali e termina affermando: “Il merito di un’amministrazione non cruenta dell’ordine pubblico nell’ultimo decennio è, appunto, di quella ‘combinazione virtuosa’ tra gestione controllata dell’aggressività da parte dei manifestanti e capacità di mediazione da parte dei responsabili dell’ordine pubblico. Qui possono risultare inutili alcune testimonianze dirette. Un anno e mezzo fa nel corso di una riunione nella prefettura di una città del nord i responsabili dell’ordine pubblico e alcuni leader discussero puntigliosamente e, infine, convennero minuziosamente oltre che sul tragitto, sulla destinazione finale del corteo. Ci si accordò sul fatto che vi fosse un punto, segnalato da un numero civico, raggiungibile col consenso delle forze dell’ordine, e un altro punto segnalato da un numero successivo, non ‘consentito’ ma ‘tollerato’. Lo spazio tra i due successivi limiti-un centinaio di metri-fu poi il ‘campo di battaglia’ di uno scontro totalmente incruento e pressoché totalmente simulato (ma tale non apparve nelle riprese televisive) tra manifestanti e polizia”. L’intervento di Manconi termina poi augurandosi che anche il nuovo governo consideri “la strategia di ‘contenimento’ della violenza come risultato di intelligenza, razionalità e buon governo. Insomma la parola d’ordine è trattare senza farsi male”.
Il 20 luglio in via Tolemaide abbiamo percepito chiaramente il disorientamento dei dirigenti delle tute bianche, (Casarini in primis); l’arretramento di alcune centinaia di metri del loro camion. Abbiamo visto quando gli scontri sono ripresi cruenti, sostenuti dall’incazzatura spontanea dei partecipanti a tutti gli spezzoni presenti in piazza quel giorno. Abbiamo visto il livore di alcune fantomatiche tute bianche torinesi più codardi e fifoni delle stesse tute bianche cercare di fare cordoni, non per respingere la polizia, ma per impedire a chi aveva sostenuto gli scontri di rientrare nel corteo.
Dopo la morte di Carlo Giuliani, Casarini afferma in televisione che la responsabilità del tutto va attribuita ai black-bloc, si lamenta che la polizia non ha fermato questi gruppi lasciandoli passare alla frontiera e dice di avere prove della convivenza tra neri e forze dell’ordine. Queste prove non sono mai state prodotte, ma oggi invece i giornali dicono che molti infiltrati sono stati collocati nello spezzone delle tute bianche.
Passate le giornate di Genova, su “Diario” del 27 luglio in un articolo firmato da Enrico Deaglio titolato: “C’erano due ministri di polizia. Per il Genova Social Forum era Luca Casarini, leader delle ‘tute bianche’: ha trattato, si è esposto, ha perso”. Sostanzialmente si conferma che c’era un accordo preciso. Leggiamo infatti (…) “Il GSF ha un portavoce politico in Vittorio Agnoletto (Rifondazione Comunista) e un ministro di polizia nella persona di Luca Casarini (centri sociali del nord-est, ottimi rapporti con la politica), leader delle tute bianche, che, intervistato dai giornali di tutto il mondo racconta nei dettagli quello che farà: un assalto pacifico-spettacolare alla ‘zona rossa’ in via XX settembre, duecento persone la violeranno, saranno arrestati e trasferiti al carcere di Alessandria: alla sera saranno liberati. Ognuno dopo sarà libero di dichiarare quello che vuole.
Luca Casarini diventa un “media star”: il suo “abbigliamento d’attacco” viene riprodotto su tutti i giornali (…) (Diario n. 30 p.14).
Questo articolo non viene di fatto smentito da nessuno.
Infine è apparso su “Liberazione” di Mercoledì 29 Agosto un articolo firmato da Cecchino Antonini a pag.10, in cui si riportano le dichiarazioni di Colucci. Riportiamo lo stralcio più significativo :(…) “Colucci, che farebbe parte dell’ala meno dialogante, quella che avrebbe subito le aperture al Genova Social Forum, si dilunga rilevando la propria “vera verità”, come più volte definisce la sua versione. Clamorosa, la notizia di un patto stabilito alla vigilia del 20 con le tute bianche per una sorta di “sceneggiata” che avrebbe consentito ai disobbedienti di penetrare per alcuni metri, a partire da piazza Verdi (di fronte a Brignole) nella famigerata zona rossa. Un’invasione controllata che sarebbe andata in fumo a causa dei disordini scatenati dalle tute nere alcune ore prima. Ma Colucci dice altro: che un funzionario di PS avrebbe svolto un ruolo ufficiale di collegamento con quella parte di movimento e che lo stesso Luca Casarini, portavoce delle tute bianche del nord-est avesse segnalato il pericolo di infiltrazioni nel corteo che partiva dal Carlini, di militanti di Cobas e Network per i diritti globali. Sarebbe stato questo il motivo, finora mai menzionato, per cui la zona rossa, nottetempo, sarebbe stata dilatata da cortine di container disseminate nella zona sud-est di quella off limits (…)”.
Bene qui emergono notizie estremamente gravi, se vere.
Non ci stupiamo che Casarini tratti con le forze dell’ordine, che con i questori decida il tipo di teatrino da fare, ma che usi questi rapporti per danneggiare l’autonomia di movimento di altre proposte politiche presenti al pari di lui nel GSF, producendo il risultato pratico che tutti, venerdì mattina(anzi giovedì notte) abbiamo constatato: quello di un’ulteriore blindatura con i container del luogo dove doveva esserci la violazione della zona rossa da parte del Network e dei Cobas, è forse troppo. Vorremmo che le componenti, più moderate e dialoganti di altre, si esprimano pubblicamente. Ci piacerebbe sapere il parere dei Cobas, della Rete No Global di Napoli. Ci domandiamo anche che credibilità si può dare a un personaggio che ha affermato, poi nel dibattito avvenuto a Brescia, alla festa di Radio Onda d’Urto:
“Io rivendico di aver tenuto i contatti con i Black Bloc…Genova ci consegna delle cose…Genova Social Forum non è l’unica maniera di essere movimento; Il movimento è una cosa che si fa da sé, perché si esprime. Oggi possiamo essere in trecentomila e domani, se non sono più in grado di convincere, non di vincere, non di imporre, non di costruire un programma di cui non gliene frega niente a nessuno, ma di convincere altra gente a scendere nelle piazze per un obbiettivo che convince questo è movimento”.
È quindi importante discutere e tornare su questi fatti, che sono determinanti per il movimento, senza presunzioni o idee particolari, che le tute bianche facessero della disobbedienza civile uno schema concordato non c’è nessun problema ad ammetterlo, ma che questa forma di mediazione sia fatta nei riguardi di altre componenti significative del movimento è intollerabile”.
Torino, 1° settembre 2001
Collettivo Universitario Autonomo
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