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I Volsci: marzo 1980

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Vorrei dire qualcosa sulla manifestazione di sabato 22.

 

Chi ha bruciato l’autobus per le olimpiadi di Mosca?

 

Che vi fossero diecimila compagni alla manifestazione di sabato 22 è un fatto assodato da chiunque, tanto più assodato da quegli addetti ai lavori, i pennaioli, che da sempre hanno zigzagato tra le cosiddette cifre politiche. Probabilmente non meno erano i compagni presenti lunedì 24 ai funerali di Valerio. Diecimila compagni li possiamo considerare un movimento, seppure col beneficio della disomogeneità, che, dopotutto, è una caratteristica implicita in tutti i sacrosanti Movimenti di questo globo. Non si può dire che si tratti di un Movimentone quali eravamo abituati a vederli nel ’77, bensi di un movimento sufficientemente di massa. Certamente qualcosa in più dei cinquecento presenti alla commemorazione di Walter Rossi; o di tante altre occasioni soffocate sul nascere dai blindati. Ricordate quegli autobus bruciacchiati?… Quelle auto messe di traverso sulle quali Lotta Continua (giornale) ha sempre fatto delle ottime battute di spirito?… Proprio quelle. Be’, non temete; da romani caciaroni quali siamo sempre stati, accogliamo di buon grado l’umorismo, anzi, là dove la drammaticità del momento non ce lo impedisce siamo i primi a farlo. Del resto quando leggevamo sulla cartaccia quotidiana in circolazione che a combinare quei microcasini urbani erano sempre gli stessi trenta esagitati (concetto divenuto norma giuridica nel caso di Marcello Blasi arrestato tre ore dopo la manifestazione e a distanza di dieci chilometri perché aveva in macchina un tubo che odorava di benzina) non proponevamo forse, in sede dei nostri attivi (?) di costituire una squadra di atleti olimpionici e partire per Mosca con discrete possibilità di successo?… Ahinoi, le sventure del Socialimperialismo ci hanno fatto desistere anche da ciò, sicché, in attesa che in qualche dannatissima parte della terra venga su qualcosa di più decentemente simile al comunismo, niente Olimpiadi… Peccato… Ci eravamo allenati tanto per bene. Quest’anno gli esercizi ginnici li avevamo iniziati presto. Anzi, non li avevamo interrotti nemmeno d’estate. Infatti, per mettere a dura prova la resistenza del nostro fisico e sputare le tossine, abbiamo galoppato per tutto il mese d’agosto su è giù tra l’Italsider di Taranto, l’Anic di Pisticci e i campi di fragole della Trisaia per convincere, più di quanto già lo fossero, le genti di laggiù a lottare contro le centrali nucleari. E’ finita che in cinquemila poi ci siamo recati a passo di marcia lungo la Basentana: è stato difficile nei giorni successivi trovare sui giornali la notizia di questo fatto. Tuttavia, ricominciato l’anno scolastico, ci siamo subito schierati al nastro di partenza del Caro Libri. Una gara che ci seccava terribilmente perdere e; dovete crederci, eravamo sempre i soliti trenta, belli freschi. In seguito ci siamo presentati anche alla gara indetta per quartieri, e li è stata veramente dura. Nostri avversari più diretti erano: la squadra politica, la Poli-sportiva Gramsci e i blindati… Che inseguimenti… Voi non potete immaginare cosa significhi oggi affiggere un manifesto o distribuire un volantino con su scritto di fare l’Autoriduzione. Ma i proletari, questi imprevedibili, invece di dare retta a noi andavano in massa a pigliarsi la roba dentro ai supermercati, ed anche lì, a sentire certi, eravamo sempre gli stessi. Pensate che una volta gareggiammo con certi atleti dell’Opr in un incontro di boxe, ma quella fu un’amichevole e l’equivoco venne presto risolto. Venne risolto, per cosi dire, nel corso della manifestazione dei precari della 285 e della scuola. In quell’occasione si disse che i soliti trenta esagitati volevano partecipare al corteo per fare i “casini”. Strano visto che di “casini” quei trenta ne avevano combinati a sazietà. Fa niente, qualcuno si slogò un dito a forza di contare i cordoni di compagni che sfilavano al grido di: “Autonomia Operaia, ecc., ecc.” Qualcunaltro in seguito si slogò il polso contando i cordoni dei compagni che parteciparono al corteo contro i Decreti Delegati e Valitutti. Stavolta erano talmente tanti che qualcuno, di sicuro uno zombie, ebbe il coraggio di esclamare: “Uh, sono resuscitati!”. Eppure anche quella volta accaddero cose inspiegabili. Come si fa a dire, sono resuscitati, a coloro che in occasione della estradizione di Piperno, della condanna ai compagni del Policlinico, della chiusura della di tutti Radio Onda Rossa, avevano comunque sfidato la repressione ed erano scesi in piazza? Già, ma eravamo sempre gli stessi… Eh, no. La sola idea di partecipare a due delle iniziative su elencate è di per sé stressante… No, troppa fatica. Non eravamo sempre gli stessi. Lo eravamo forse per coloro che pensano che dietro un autobus bruciato ci sia solo un autobus bruciato. Ma gli autobus si sono sempre bruciati. Cosa fareste voi di fronte alla cieca carica di un ottuso blindato? Cosa ha sempre fatto il movimento rivoluzionario dalla Comune di Parigi in poi per proteggersi dalla violenza degli sbirri? Una volta caricavano con i cavalli e si ribaltavano i carretti. Oggi caricano con i blindati, dunque si ribaltano i pullmans… o no? Tornando alla manifestazione contro Valitutti c’è da ricordare che in quell’occasione i Dippini, si dissero: “Quelli, approfittano del corteo per inserirsi e fare i “casini”. Qui ci vuole un bel servizio d’ordine”. Facciamo una manifestazione contro il terrorismo e le leggi speciali, dicono, ma poiché terrorismo significa tutto o niente, pensano: “non diamo la parola a quelli di Onda Rossa”. Ma… hanno chiuso la radio e… – replicano gli ascoltatori di Onda Rossa. La macchina con le trombe per il comizio fugge, i cavi penzoloni, prima ancora che gli autonomi si facciano minacciosi e travolgano il servizio d’ordine di Dp. Avevano negato la parola ai ben tre quarti dell’intero corteo. Ora, prima che il discorso diventa un terno al lotto, piantiamola con questi numeri e neghiamo con procedura hegeliana la parola eravamo, usata fin qui per comodità di discorso. Magari solleviamo qualche sano dubbio. Ad esempio: non potevamo pensare che i soliti trenta in realtà non fossero altro che un movimento in gestazione, articolato, che aveva scelto di dirottare le proprie forze su un necessario decentramento atto a collegare realtà di lotta in via di sviluppo? (ricordiamo che gli studenti venivano ricacciati giorno per giorno nelle scuole a suon di cariche di blindati e colpi di pistola). Perché credere alle panzane della stampa e compiacersi dell’idea che l’autonomia di classe, presi i suoi “capi” o eletti tali dalla logica del potere, fosse un’ “animale ferito a morte” (Tolstoj “Guerra e Pace”) incapace di risollevarsi? Perché non pensare che l’insieme di quegli episodi fosse come una creatura che a capocciate esce fuori, si raddrizza e impara a camminare. Una creatura o un Movimento. Così si ritorna alla giornata di sabato, e a quella di lunedì o a quella di oggi dove, ma guarda un altro autobus s’è incendiato. Perché tanto isterismo nel profanare barbaramente i funerali di Valerio? E di nuovo i blindati, le squadre speciali, i poliziotti che sparano dalle finestre. Poi i blocchi, le auto messe sottosopra a mani nude, le sassate (non c’era l’ombra di una “boccia” quel giorno, solo bandiere con l’asta di plastica, quella con cui da piccoli facevamo le cerbottane). Togliamo dunque la parola eravamo e trasferiamoci nella concretezza di uno dei termini di per sé più astratti: volevamo. Volevamo, abbiamo sempre voluto che fosse così: cioè che l’ultimo degli studentelli, il più timido tra gli operai, la più sfruttata delle donne, si ribellasse alla violenza cieca del potere. Volevamo ciò come vogliamo che la natura stessa delle cose si esprima, come anche quando piove sia perché è giusto che piova. Volevamo, e se siamo organizzati è in funzione di ciò, che questo movimento stretto oggi attorno alla bara di Valerio, il quale non saprà mai che tra i suoi amici quel giorno c’erano anche quelli di Dp, esprimesse la propria natura opposta ad ogni forma di repressione, siano essi i blindati o gli sbirri speciali. Sul numero 30 di Lc del 20 febbraio era pubblicato un inserto con un intervista a Paul Mattich, il quale narrava d’aver visto, durante i moti Spartachisti nel ’20 in Germania, una donna levarsi lo spillone dai capelli e ficcarlo con forza nelle chiappe del cavallo di un gendarme che pestava i manifestanti… Tutto lì quello che è successo al Verano. E’ emersa, al di là dei desideri di chi è più o meno organizzato, l’irriducibilità, perciò anche la violenza; di un settore di classe, di un movimento, dei compagni, dei comunisti, chiamateli come accidenti vi pare, ma imparate a riconoscere la differenza tra essi ed i giornalistici “soliti trenta”. In tal caso vi sarebbero assai meno cattive interpretazioni della realtà. I blindati avevano messo un po’ paura a tutti, ma quel giorno sono stati fronteggiati… Per poco si sa, ma sempre qualche minuto in più di ieri o, peggio. dell’altro ieri. Non è fantastico chiedersi come sarà domani? Ed ora, avviandoci alla conclusione, riferiamo un fatto che sta tra l’ironico e il patetico. Ricordate su La Repubblica di domenica 23 l’articolo che trattava della derubricazione, realizzata in massa, della sede del Fuan? In quell’articolo il cronista, su diecimila persone (ma tu guarda), è riuscito a pizzicare proprio l’unico nostalgico del ’68. Il quale lamentava appunto il vuoto esistente tra la scelta clandestina e chissachè d’altro. Meglio sarebbe stato pizzicare qualche nostalgico del ’77. Perché? Non ce ne sono? Suvvia, siamo onesti. Eravamo in parecchi ad esserlo ieri, o l’altro ieri. Diciamo la verità che tutta questa propaganda armata che c’è in giro pareva averci messi col culo a terra (i nostalgici del ’77). Se, detto fra noi, in questi tre giorni abbiamo rubato ai clandestini la prima pagina dei giornali, e lunedì, nonostante quella mirabolante rapina, essi sono scivolati in terza pagina… Grave per loro che hanno il problema di strabiliare il “pubblico”. Andiamo; noi che non crediamo nelle guerre per bande, nei superguerriglieri, non possiamo non far notare, “noi” nostalgici del ’77 ai nostalgici del ’68, che lì in mezzo a quel banale dualismo passa lo sferragliante convoglio dell’Autonomia Operaia, non i Volsci eh? per i quali i sottoscritti spudoratamente parteggiano, ma l’Autonomia Operaia in ciò che è. L’ultimo degli studentelli che ruba la prima pagina al superguerrigliero, le lancette marciano nel senso giusto.

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