La resistenza nella Libera Repubblica della Maddalena
Sono migliaia. Compongono un lunghissimo serpente che arde.
Questo cielo di montagna, ricoperto di un manto di immense stelle, rende la notte dell’attesa dolce. Le migliaia di fiaccole scaldano il cuore dei partigiani della Libera Repubblica. Il popolo No Tav risponde. Una comunità resistente in movimento da anni.
La stretta vallata è attraversata dal fiume Dora. Due ripide montagne boscose la stringono. Su una Chiomonte, un paese della Val Susa di un migliaio di anime. Sull’altra il presidio permanente che da più di un mese è stato costruito sui terreni dove vorrebbero cominciare i lavori per l’alta velocità. Un’opera dannosa e inutile. Come sono miseri gli schemi del Potere.
La fiaccolata rende evidente che se arriveranno stanotte, se anche occuperanno con le loro ruspe e i loro blindati il presidio, non ce la faranno lo stesso. Ne siamo tutti sicuri. Ma è comunque fondamentale domani dare un segnale forte. Resistere il più possibile. Lanciare un messaggio. E se anche ci manderanno via, dovranno sudarsela.
Nelle assemblee dei giorni precedenti si è deciso che la resistenza si farà barricata per barricata. Se arriveranno fino al piazzale centrale poi si vedrà.
Nelle chiacchierate, si sentono fare le previsioni più assurde. Mille scenari vendono delineati. Alcuni improbabili. Poi chissà…
Ma anche tra poco che ad illuminare rimarranno solo le stelle perché le migliaia di persone con le fiaccole riscenderanno, non avremo nessuna paura. La Val Susa paura non ne ha.
Tante volte l’abbiamo avuta. Non siamo né vogliamo essere cose tipo supereroi, saremo un po’ pazzi forse. Ma abbiamo passione e coraggio collettivi.
L’impresa è disperata. Una sconfitta annunciata. Ma alcune battaglie vanno combattute comunque. Per Loro è vitale partire coi cantieri entro pochi giorni. O non potranno più lucrare sui milioni di euro dell’Unione Europea. Noi invece abbiamo ancora tanto tempo davanti. La comunità valsusina vive qui tutti i giorni. E continuerà a battersi contro il Tav, per il proprio buen vivir, per il proprio territorio. Certo, qui non siamo nei Paesi Baschi o in Palestina.
Le persone si concentrano nel piazzale dove dal palco si alternano interventi di valsusini, intellettuali e artisti. Gli interventi finiscono che è mezzanotte passata. È incredibile pensare che tutte queste madri e padri con figli piccoli addormentati sulle spalle siano ancora qui. Dovranno farsi una discesa lunghissima e nuovamente una ripida salita per tornare alla macchina. E chissà quanto tempo per tornare al loro paese. Eppure sono ancora qui.
Domani i sindacati di base dichiareranno lo sciopero generale in Valle se arriveranno le truppe di Maroni. Forse anche la Fiom si schiererà con decisione. Magari qualcuno in più è rimasto anche perché se domani sentirà dalle radio o via sms che loro stanno arrivando, correrà qui senza andare a lavorare. Ma certo tutti gli anziani e tutti i giovani che sono ancora qui, tutte le persone presenti, sono qui perché hanno deciso di dare il loro contributo alla resistenza. Senza troppi ragionamenti individualistici.
Quando il deflusso composto volge al termine, in tutto il presidio, fra le centinaia di tende e il limitare del bosco, si formano capannelli di discussione. È tipico di qua: tutti discutono di politica, delle proprie vite. Della propria lotta. Stasera ci si prepara alla battaglia.
Le barricate sono tante e solide, collaudate da giorni e forgiate con la sapienza delle genti di qua.
Ci sono tre punti di accesso al presidio che dobbiamo difendere. Una strada che sale dal fondovalle fino a qui, l’Avanà, un’altra strada piccola e non cementata sul lato opposto. Collega con un paese vicino: Giaglione. È parallela alla valle. Costeggia le montagne a forma di archi accostati la cui corda è il fiume, e al cui punto di congiunzione passa l’autostrada. Questa è un’immensa costruzione a quattro corsie issata su imponenti piloni di cemento alti decine di metri che sbuca da un tunnel che perfora la montagna poco sotto di noi e guarda dall’alto la valle per nascondersi dietro un’altra montagna. Il tunnel inizia una manciata di metri da dove siamo ora.
È molto probabile che da lì arrivi il grosso dell’attacco. Le forze dell’ordine sono in duemila fra carabinieri polizia e finanzieri. Dovrebbero bloccare l’autostrada per ore con i loro mezzi, abbattere il guard rail e il muro laterale dell’autostrada e salire qui. Detta così pare incredibile. Ma si sa che non si faranno problemi a isolare la valle e distruggere quella parte di autostrada. Lo Stato vuol dare la sua misera prova di forza.
La barricata più grossa è stata dunque costruita lì, fra la parte di autostrada che esce dal tunnel e la radura sotto la spianata del presidio. La chiamano “Stalingrado”, la barricata.
Sono le due. Ci si divide in gruppi per le tre vie da difendere. Altri restano al campeggio cercando di dormire almeno qualche ora. Domani sarà una lunga giornata. Ma il tempo dell’attesa scorre veloce. Certo, c’è tensione. Ma anche tranquillità. Nessuno è nervoso.
Nei bivacchi formatisi sulle prime barricate di accesso gente che chiacchiera, sonnecchia, parla di esperienze, viaggi, di cos’è la Val Susa, di politica, di quando arriveranno, di cos’era successo a Venaus nel 2005 quando per la prima volta quelli là avevano provato a far iniziare i lavori. Allora si vinse. Oggi ci riprovano.
Verso le quattro dalle radioline ben distribuite per tutta la zona iniziano ad arrivare le prime comunicazioni. Ci siamo. È veramente il giorno.
Le vedette nei vari paesi dicono che le forze dell’ordine stanno preparandosi. Del resto, nessuno pensava che volessero giocare su blitz o sull’effetto sorpresa. Sono mobilitati migliaia di poliziotti, sistemati in alberghi e caserme per la valle. Sostano centinaia di mezzi. Non possono aspettare.
Chissà quanti milioni di euro avranno speso fra straordinari alla polizia, soldi per il cibo e gli alberghi, per la benzina ecc.. Un po’ ci rincuora che un simile dispiegamento non possono certo farlo tutti i giorni.
Va bene che quando lo Stato vuol usare il massimo della sua violenza non ha senso pensare di vincere le cose sul loro stesso piano. Sappiamo che solo riuscendo a spostare il conflitto sul nostro terreno di battaglia possiamo vincere. Sottraendoci a volte. Attaccando altre.
Qui in valle non è che sono contro la legalità. Ma hanno imparato sulla loro pelle che tra legalità e giustizia c’è un abisso. Spesso sembrano agli antipodi. E allora si farà finché possibile una giusta e legittima resistenza.
Legalità – illegalità. Questione non certo piccola a livello teorico. Oggi tante bocche ne parlano come del primo valore. Ma riportata alla realtà della vita di tutti i giorni la questione crolla. E non come dice qualcuno perché siamo in Italia. È sicuramente vero che qui c’è la Mafia. Ma sappiamo come spesso Mafia e Stato si compenetrino. Si accettino e collaborino. Come spesso Stato Mercato e Mafia si assomiglino, parlino la stessa lingua, indossino gli stessi costumi, abbiano le stesse ideologie abitudini comportamenti.
Capiamo le bugie del potere.
Un esempio: i valligiani hanno comprato, con un atto notarile in duemilacinquecento persone che potrebbe entrare nel Guinnes dei primati, dei pezzi di terreno sui quali dovrebbe sorgere il progetto. Poco dopo con un decreto straordinario è stato modificato di due metri il piano originario del progetto. Due metri più in là di dove termina le proprietà No Tav.
Pare che oggi vogliano spaccare l’autostrada per entrare al presidio. Non penso teoricamente sia legale. Ma si vede come chi comanda tiene alla legalità quando gli fa comodo. La cambia a suo piacimento o la infrange quando serve invece per i suoi scopi.
Si dice che arriveranno verso le cinque. A quell’ora si nascondono le stelle e tutto inizia lentamente a prendere nitida forma. Sembra un paradosso ma è proprio quella l’ora più fredda. Almeno così ci sembra.
Iniziano ad arrivare le prime macchine della digos che si appostano a filmare le barricate. Un elicottero inizia a ronzare per il cielo. Sono due in tutto. Carabinieri e polizia.
Quando le guardi da dopo queste esperienze, il tempo è accelerato. Un tempo collettivamente accelerato come quello del cambiamento. Ma in quei momenti il tempo semplicemente non esiste come categoria uniforme. Tutto è dilatato e compresso. Si pulsa di un battito più ampio, collettivo.
Inizia a divenire spasmodica l’attesa. Si aspettava che arrivassero alle cinque. Ma siamo già vicini alle sei. Qualcuno scherzosamente dice che magari fanno un bluff. Ci si scherza sopra.
Alle sei arrivano. Dalla strada di Chiomonte, scendono verso la Maddalena una colonna infinita di blindati ricolmi di reparti celere.
La colonna si ferma dopo aver superato il ponte sulla Dora: appena la strada accenna a risalire incontra la prima barricata con dietro tante persone di tutte le età.
Salgono veloci in cielo alcuni fuochi d’artificio. Il segnale che lì sono arrivati Loro.
Dalla parte opposta, sulla stradina che attraversa le montagne, si attestano pochi carabinieri e iniziano a segare ed abbattere gli impedimenti collocati sul breve pezzo di strada in cemento che porta dal secondo tunnel sino alla stradina. Sulla quale è situata la prima barricata con dietro un gruppo di persone. Ce ne si aspettava arrivassero molti di più. Forse non ci puntano perché si sapeva che era il punto più difficile per le truppe inviate dalla Lega del “Padroni a casa nostra”. Quando si dice “la faccia come…”. Impervia la stradina e con barricate fenomenali quel lungo e stretto lembo di terra ricavata fra i boschi che porta da tunnel a tunnel.
Sanno che stanno aggredendo una comunità e che la cosa suscita sdegno in tantissime persone. Non solo in Valle. Ma in tutta Italia. Nella mitopoiesi del movimento si è giocato con il paragonarsi al paesino di Asterix e Obelix: una comunità barbara in quanto radicalmente altra, differente delle forme dominanti, che resiste fino all’ultimo di fronte al tentativo di dominio, ma fortunatamente sono tantissimi i cuori che sappiamo in questo momento guardano qui cospiranti da migliaia di chilometri di distanza.
All’altro imbocco dell’autostrada si posizionano molto diversamente da come pensavamo. Sanno giocarsi bene la partita. Per evitare che già dai primi notiziari rimbalzi la notizia della valle bloccata e militarizzata e che sulla rete si vedano le foto di un’autostrada cosparsa di forze dell’ordine, esce dal tunnel di fianco alla barricata solo un gigantesco mezzo. Una gru con pinze.
Di quelle immense usate per abbattere i palazzi. Guidata da una persona col passamontagna. Plausibilmente un lavoratore della ditta vincitrice dell’appalto.
In questo modo la colonna di mezzi rimane nascosta nel tunnel. E nelle prime immagini dei canali di informazione si vede solo la gru e qualche casco che spunta timidamente.
Il tutto succede nell’arco di quelle che a posteriori saranno un paio d’ore. Ma lì queste sono solo un rincorrersi di notizie dalle radioline, apprese dai telefoni, o che corrono fra i differenti luoghi di difesa non si sa come. Un confrontarsi, attendere ragionare, chiedersi che starà succedendo dalle altre parti. Ovviamente si diffondono leggende. Qualcuno sostiene che si siano visti anche poliziotti calarsi da corde -non si sa bene appese dove e come.
Alle otto inizia la danza. La ruspa sull’autostrada, vista da lontano, pare una orribile bestia che muove il suo lungo collo meccanico e con le sue fauci dentate tenta di sfondare la barricata. Le persone si mettono su quest’ultima e il collo si sposta. Riprova ad affondare la sua morsa in un altro punto e la gente si sposta di nuovo. Entrano in azione gli idranti. Sulla barricata è uno scontro continuo. Rincorse dal potente getto d’acqua, le persone corrono e cantano a gran voce da un lato all’altro per evitare che la gru si schianti contro i tubi e le reti saldate, gli immensi mucchi di pietre incastrati come un mulo. Le decine di tronchi.
Da sopra il tunnel iniziano a piovere palloncini di vernice per oscurare i vetri del mezzo. Si spandono alcune nubi dense emesse da alcuni estintori per ostacolare la visuale del mostro in azione.
Ci sono i flash delle macchine fotografiche, gente che riprende e con gli smart phone aggiorna i social network minuto per minuto. Tuttavia, se si guarda da lontano, pare di assistere ad una scena preistorica. Sembra che un immenso dinosauro di acciaio stia attaccando un villaggio i cui abitanti, nonostante la sproporzione di forze, combattono come possono. Peccato che qui, dietro quella gru sia una battaglia di uomini contro uomini. Il popolo sulle barricate da una parte. Dall’altra un esercito invasore. E dietro di questo uomini in giacca e cravatta. Chiusi nelle loro stanze. Che comandano e indirizzano per il proprio profitto un esercito di mercenari. Oggi da una parte l’umanità, dall’altra la cinica razionalità del capitale.
Sull’Avanà, la via che collega con Chiomonte, ci sono ruspe e polizia. Il movimento ha deciso che inizialmente si cerchi di aprire una trattativa fra amministratori e avvocati del luogo e la controparte. Per ritardare il più possibile. Comunque si sa che oggi non c’è spazio per la mediazione.
Quando si vuole vincere, nel nostro mondo, bisogna andare fino in fondo. Non ci si può lasciar annacquare e disperdere, far sì che si finisca per perdere di vista cos’è vittoria e cosa no. Qui si sono assunti collettivamente la responsabilità di vincere. E si gioca la partita. Con audacia, coraggio, passione. Siamo dalla parte del giusto e la storia ce ne darà ragione.
Su questo accesso si riesce a resistere per quasi due ore. Barricata dopo barricata. Prima il tentativo di mediazione. Finché la polizia non abbatte la barricata. La gente va subito alla successiva.
Le ruspe abbattitrici per un istante ricordano quelle che in Palestina buttano già le case di Gaza tutti i giorni.
Durante questo lento retrocedere va avanti il combattimento alla barricata Stalingrado. Un pacifista radicale, conosciuto per i suoi gesti eclatanti – anni fa è riuscito a sabotare due F16… – si cala dalla cima del tunnel. Con una corda. Ha in una mano aglio. Nell’altra una pietra. Arriva in terra e corre davanti alla ruspa. Verrà portato via e malmenato un poco.
La resistenza sulla barricata continua. E allora l’invasione delle truppe cambia tattica e si concentra sul lato opposto della strada, sulla barricata davanti alla Stalingrado, anch’essa situata fra il tunnel e uno spiazzo. Dà esattamente sul lato opposto ed è meno robusta dell’altra.
A Giaglione invece la situazione è ferma. Hanno spostato i sassi, tagliato i guard rail in mezzo alla strada fino ad arrivare a qualche decina di metri dalla prima barricata sulla strada sterrata. Lì sostano. I resistenti dietro la barricata osservano con attenzione ciò che succede lontano, tra il tunnel e le barricate, e cercano di farsi un’idea di quel che succede sull’Avanà. Giunti a questo punto, l’inazione è snervante. Quando si vede il cambio di tattica della polizia che sposta mezzi per sfondare la barricata davanti alla Stalingrado, si capisce che se ce la fanno si rimarrebbe tagliati fuori. Non si potrebbe più tornare per la stradina fino al presidio. La casa sull’albero e la casa di legno costruite su quel pezzo di terreno diventerebbero chiusi su entrambi i lati dalla polizia. Non rimarrebbe che salire sui sentieri fra i boschi e tentare di arrivare così al presidio. Un’operazione lunga e inutile. Ci si consulta via radio con il presidio, e si decide di tornare indietro. Prima che la polizia sfondi la barricata.
Da molto ormai si combatte sui tre fronti. Il rumore delle pale di elicottero è costante. In molte fabbriche e luoghi di lavoro si sciopera. Arrivare a Chiomonte è impossibile. Code di camion sono ferme. Si vedono su tutte le strade.
All’Avanà la polizia ha distrutto le prime barricate. Rimangono le ultime due. Le più imponenti. La lenta ritirata metro dopo metro ha fatto attestare le persone su un sentiero secondario. Iniziano a piovere lacrimogeni. Da lontano, mentre la colonna di mezzi si è fermata sulla strada. La polizia decide di concentrare l’avanzata tutta da dove l’autostrada passa sotto allo spiazzo del presidio.
I No Tav si oppongono alla polizia che sfonda la barricata più piccola, creano nubi bianche con gli estintori e ricomponendo le parti di barricata che man mano cedono, ma alla fine i caschi blu riescono a filtrare. La gente passa sotto l’autostrada, sotto i piloni, e va ad ingrossare il gruppo nella radura dietro la Stalingrado. Ormai si resiste su soli due fronti. La grossa barricata regge ancora.
I lacrimogeni aumentano di numero. Oltre che dalla strada, iniziano a spararli anche dall’autostrada e dagli elicotteri. Li sparano alle barricate ma iniziano ad arrivarne moltissimi anche sul terreno del presidio. Non ci si aspettava così tanti lacrimogeni. Decine. Centinaia e centinaia. Che si dividono in tre parti a metà del loro volo. Ne cadono ovunque. Puntano diretti al centro del presidio. Molti avevano l’idea di fare resistenza passiva fino all’ultimo. Di farsi portare via di peso. Evidentemente la polizia non ha intenzione di permetterlo.
La partita si gioca anche sul tempo. Vogliono fare il prima possibile. Quindi sparano lacrimogeni ovunque e molte persone iniziano a non farcela più. Molti coi guanti alle mani spengono i lacrimogeni in grossi bidoni pieni d’acqua predisposti a quell’uso. Ma non basta. Sono davvero troppi. Gli occhi bruciano e manca il respiro. Chi non ce la fa più inizia a salire verso i boschi.
Dall’Avanà i resistenti risalgono verso il presidio sotto il lancio di lacrimogeni. La Stalingrado continua a reggere ma adesso anche la polizia, scesa dall’autostrada, passa sotto i piloni e sbuca sotto lo spiazzo della Stalingrado. Anche lì ci sono delle barricate. Ma l’aria è irrespirabile e le guardie premono e spaccano. Dopo un po’ non resta loro altro che risalire i due metri di dislivello che dalla radura di fianco all’ultima barricata portano al presidio. La gru continua a lavorare ormai indisturbata ma comunque non riesce ad abbattere la barricata, impedendo il dilagare di tutti i celerini.
Ormai le centinaia di No Tav che resistono da ore ed ore sono tutti asserragliati nello spiazzo del presidio. C’è un edificio in muratura nel centro del presidio. Un museo archeologico. Ovviamente i No Tav l’hanno lasciato chiuso e intatto. È il loro museo. Hanno costruito attorno alcune strutture come cucine e gazebi. Da uno di questi vengono distribuite bottigliette di acqua e Maalox. Dal camper del media point continuano le dirette su Infoaut, con radio Black Out, Radio Onda d’Urto e tante altre. Dagli altoparlanti si invita alla calma. Ma la nebbia è sempre più fitta e insostenibile.
Continuano a cadere ovunque lacrimogeni. Molte persone vanno verso la via di fuga del bosco. Tanti rimangono. Continuando a spegnere e rilanciare i lacrimogeni. Molti volti sono protetti da fazzoletti bianchi con la scritta No Tav in rosso. Monta la rabbia. Sull’Avanà la polizia ha deciso di non avanzare più. Costerebbe troppo tempo abbattere le barricate rimaste e far continuare la lenta ritirata. Si limitano al lancio ininterrotto di lacrimogeni. Che iniziano a piovere anche nella boscaglia costringendo le persone lì rifugiatesi a salire più in alto. I reparti di carabinieri scesi sul lato dell’autostrada che risalgono verso il piazzale del presidio decidono di fare lo sfondamento finale. Prendersi il presidio. Devono fare una breve salita di pochi metri fra la radura dietro la Stalingrado, di fianco all’autostrada, e lo spiazzo del presidio permanente.
La ritirata metro dopo metro è arrivata al cerchio più stretto. Quello finale. Bisogna difendersi con le unghie e con i denti. Non hanno guardato in faccia a niente e a nessuno.
Nell’aria irrespirabile dello spiazzo del presidio, chi è riuscito a rimanere prova a fermare la salita dei reparti. Inizia a volare di tutto verso di loro. Sedie, rami di albero, pietre, bottiglie. Siamo all’ultimo tentativo di difesa. La polizia indietreggia e subito una nuova ondata di lacrimogeni cade per terra. Sono tantissimi. Li si rilancia verso la polizia che tenta nuovamente di salire. Non si sa come ma anche il secondo attacco viene respinto. Ma è sempre più difficile capire qualcosa. Non ci si vede più e non si respira più. Al terzo tentativo il grosso delle persone è retrocesso al limitare del bosco per prendere qualche boccata d’aria. Sotto il bosco si alza nuovamente la malefica nube bianca. Il presidio è chiuso in una coltre fumogena. I celerini riescono a salire. Si continua a resistere metro per metro fino al bosco. Ormai sono ovunque.
Non si può fare più molto. Inizia un lento flusso di uomini e donne su per il bosco. La salita è ripida e i minuscoli sentieri sono pieni dei rami posti lì nei giorni precedenti per coprire la ritirata finale. Dopo i primi istanti concitati torna la calma. Le persone prendono a salire tranquille.
Oggi si giocava una battaglia. Ce ne saranno altre.
Man mano che si risale l’altissima montagna il ronzio degli elicotteri si attenua. Saliti di moltissimi metri di dislivello, da alcuni punti visuali si vede il presidio, la strada e l’autostrada cosparsi di punti e rettangoli blu. La Valle è ferma. Molti municipi vengono occupati. I blocchi stradali proseguono. Su Internet iniziano a circolare gli appuntamenti di solidarietà in tantissime città italiane.
La polizia spacca le tende e danneggia il museo. L’assessore alla cultura di Chiomonte si dimetterà per questo. Per il museo.
Tutti parleranno e ricorderanno la giornata di oggi. Stasera ci sarà un’assemblea a Bussoleno e saremo migliaia. Ancora di più alla nuova fiaccolata che partirà domani da Susa. E più e più ancora nei prossimi giorni.
Giunti in cima alla montagna si ammira la splendida visione della vallata e delle montagne. Tutto luccica nel sole. Inizia a fare caldo. I volti non sembrano stanchi, nonostante tutto. Anche gli occhi luccicano. Di determinazione.
“Torneremo”, paiono dire.
Guarda “No Tav: battaglia contro lo sgombero della Libera repubblica della Maddalena”:
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