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I moti di Stonewall

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È il giugno 1969. La situazione per gli omosessuali americani è particolarmente difficile, le irruzioni della polizia nei locali gay sono all’ordine del giorno, fino a pochi anni prima l’identità di tutti i presenti al momento di una retata veniva pubblicata sui quotidiani locali, qualsiasi scusa viene usata dalle forze dell’ordine per procedere ad un arresto per “pubblica indecenza”, i poliziotti addirittura sono soliti usare l’entrapment (adescamento), per spingere le persone ad infrangere la legge e quindi arrestarle.

Proprio in quest’anno esce il Manuale diagnostico e statistico dell’Associazione americana di psichiatria che ancora definisce l’omosessualità come una malattia mentale. A tutto il ’69 non esiste nessun movimento di diritti per gli omosessuali, proprio mentre la questione dei diritti civili (per i neri, per le donne, per i poveri, per le minoranze in genere) raggiunge la massima importanza negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.

A New York i locali gay sono molto numerosi, soprattutto nel quartiere Greenwich Village, e la maggior parte di essi si sono vista revocare la licenza per la vendita degli alcolici proprio a causa delle frequentazioni omosessuali. Lo Stonewall Inn, in Cristopher Street, è sicuramente uno dei locali più famosi, ed è gestito dalla mafia newyorkese che ha fiutato nella clientela omosessuale un lauto guadagno, e che spesso riesce a contenere i danni delle retate e a continuare a vendere alcolici con qualche bustarella.

Venerdì 27 giugno lo Stonewall Inn è come sempre strapieno: ci sono alcune drag queen, ma soprattutto tantissimi giovani clienti. Verso l’una del 28 giugno sei agenti irrompono nel locale, rompendo gli oggetti a colpi di manganello e minacciando gli avventori. Circa duecento clienti vengono identificati e fatti uscire uno a uno mentre tre travestiti vengono fermati (la legge impone infatti che sia illegale indossare meno di tre capi di vestiario “adatti al proprio genere”).

Ma per la prima volta qualcuno reagisce. La miccia si accende , forse quando la trans gender Sylvia Riveira lancia una bottiglia contro un’agente, oppure quando una lesbica oppone resistenza all’arresto: la folla riunitasi davanti al locale attacca la polizia con un fitto lancio di pietre, i bidoni vengono dati alle fiamme, e i poliziotti sono costretti a barricarsi dentro al locale per alcune ore, fino al sopraggiungere di ingenti rinforzi.

Il giorno successivo i giornali parleranno di tredici persone arrestate e tre agenti feriti.

Nelle serate successive, quelle di sabato e domenica, il neonato movimento omosessuale si fortifica, dando vita ad altre manifestazioni davanti allo Stonewall Inn, e ad altre tumulti con le forze dell’ordine: il seme è gettato, per la prima volta gli omosessuali utilizzano il termine gay nelle proprie rivendicazioni e non chiedono più solo di “essere lasciati in pace”, ma rivendicano parità di diritti. Gli scontri, una sorpresa per tutti, dimostrano per la prima volta che la comunità omosessuale è diventata movimento, deciso a combattere e a rifiutare il ruolo canonico di vittime.

Ben presto, dopo la svolta segnata dalla rivolta dello Stonewall, vedranno la luce altri gruppi ed organizzazioni come la “Gay Activists Alliance” dapprima a New York, quindi nel resto del paese. In altri paesi ci saranno negli anni successivi simili rivolte, come ad esempio in Canada nel 1981, quando a seguito dell’irruzione della polizia in un locale gay, ci sarà quella che sarà ancora ricordata come la “Stonewall canadese”.

Guarda “Stonewall 1969“:

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