Roma-per noi è appropriazione
I PADRONI E GLI OPPORTUNISTI SONO SPAVENTATI
Per noi e’ appropriazione
Le colonne dell’Unità e dei suoi supplenti locali, dal Paese Sera al Manifesto erano particolarmente inquiete Venerdì 14. La cronaca turbolenta della sera precedente ha fatto scatenare la fervida fantasia dei redattori. Poche ma efficaci parole come nelle più sante tradizoni del migliore giornalismo. Saccheggio e rapina, furto e assalto nonché razzia. Teppisti quindi banditi, rapinatori praticamente fascisti, suggerisce qualche cortigiano come al solito più realista del re. Poi una rapida carrellata sull’ammontare dell’estorto, cioè del bottino o refurtiva propriamente detta. Non è la recensione di un film di Peckmipah. Non è il Mucchio Selvaggio. Billy the Kid non c’entra anche se nei panni di Pat Garret più di un articolista della sedicente sinistra non stenderebbe a ritrovarvisi. Non ci interessa indagare. Il compito di fare luce lo lasciamo volentieri alla questura e ai suoi aficionados di A.O. (Avanguardia operaia) sempre validi in queste occasioni, come dimostrano recenti avvenimenti milanesi. Ci interessa piuttosto ragionare sui fatti, andare al di là di etichettare comportamenti ed azioni per i quali con puntuale monotonia si fa il nome di «quelli di via dei Volsci», del «covo di delinquenti comuni» come usa dire un noto boia fucilatore di partigiani.
CHI RUBA, A CHI?
Il grido di dolore per i profitti di Cefis è decisamente scomposto e va ben al di là della semplice indignazione. La gente per bene, i mass-media si sentono scoperti, presi con le mani nel «sacco». L’equazione dei valori, studio-lavoro-soldi-dischi e vestiti e tempo libero, non funziona. Non solo incontra estraneità e rifiuto ma viene attaccata.
«Usate tutti i mezzi per convincerci a comprare quello che volete ai prezzi di rapina che voi fissate. Ora se di soldi se ne vedono sempre meno noi non siamo certo disposti a rinunciare!»
L’ideologia del sacrificio è alleata della sconfitta e c’è sempre meno da prendere se non si vuole tutto. E quindi un atto d’accusa quello messo in pratica da dieci, cinquanta o cento giovani proletari. Ma c’è dell’altro. Ad esempio il «non professionismo» messo, in mostra. Sicuramente c’è chi avrà da ridirci sopra ma i padroni della merce in vendita hanno ben poco da rallegrarsene. Frasi come «tutti giovanissimi», «c’erano diverse ragazze», «notate giovani donne» ecc. ecc. non sono quelle che favoriscono sonni tranquilli. Finché il proletariato «under 21» agiva isolato, operava individualmente, la sua azione di disturbo era ritenuta «sopportabile». Questo ora non è più dato. Un comportamento d’approvazione che diventa di massa, nei bilanci ci va stretto, non è più programmabile, colpisce dove e come vuole, è insomma molto efficace.
SPESA POLITICA
Titola a tutta pagina un giornale della sera a Roma. «A Montesacro assaltata la Standa — Al Trionfale il magazzino Consorti» spiega il Messaggero e fa seguire la cronaca dei «due preoccupanti atti di saccheggio di massa». Scrive il giornale in cronaca cittadina: «Alle 18,40 ai magazzini Standa di piazza Talenti, una trentina di giovani alcuni con i fazzoletti rossi che coprivano parte del viso, hanno invaso il settore abbigliamento situato al piano terreno del magazzino. Gridando «tutto questo ci appartiene perché è del proletariato» e lanciando manifestini in cui si giustificava l’intervento hanno cominciato ad arraffare giacconi, pellicce, pantaloni e gonne. «Hanno infilato tutto dentro dei grandi sacchi scuri — ha detto un commessoso — di quelli che sevono per raccogliere la spazzatura.
C’erano diverse ragazze».
Naturalmente la clamorosa invasione, alcuni cantavano o ritmavano slogan, ha provocato un fuggì fuggì generale tra i clienti.
Prima di uscire i giovani hanno lanciato dei manifestini. Si rivolgono «a tutto il proletariato giovanile». Pochi minuti dopo, probabilmente un altro gruppo che agiva in contatto con il primo, è entrato cantando inni e slogan sulla base musicale di «Pueblo unido» nel negozio Consorti, specializzato nella vendita di dischi ed apparecchi stereofonici. Si è ripetuta più o meno la stessa scena. Alcuni citando slogan contro il capitalismo si sono impossessati di posters, molti dischi, di un giradischi con amplificatore e di un apparecchio stereo. «Non ce l’abbiamo, con voi — ripetevano ai commessi — non vi succederà niente se state buoni». Prima di andarsene hanno tagliato i fili dei due telefoni e si sono allontanati portandosi via il tutto nei soliti sacchi scuri della spazzatura». Fin qui le righe di un giornale. Nel resoconto entra comunque di diritto tutto il casino sollevato dagli enti di informazione, tutto lo spazio che quotidiani e settimanali, radio e tv hanno rivendicato come «parte civile» nel processo al «proletariato giovanile».
da «Rosso. Giornale dentro il movimento», 29 novembre 1975, n. 4
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