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I futuri Autonomi romani escono dal MANIFESTO

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Nel Febbraio del 1972 gli appartenti al Comitato politico ENEL e al Collettivo Lavoratori e Studenti del Policlinico abbandonano IL MANIFESTO. Cosi descrive quel momento Daniele Pifano: „ Noi allora eravamo legati al IL MANIFESTO, che da gruppo di opinione si stava trasformando in partito con l’apertura di sezioni territoriali. Noi non volevamo, sul contratto o altro, alcuna mediazione parlamentare, alcuna delega sindacale, ma gestire direttamente a livello di base. Facemmo lotte molto dure, nel’73 ben sei mesi di sciopero: chiedevamo la regionalizzazione- cominciavano a nascere le Regioni-per togliere il controllo sull’asistenza ai „baroni“. I gruppi extraparlamentari si mostrarono spesso estranei alle esigenze delle lotte, prestavano piu attenzioni al loro „modello di partito“.

A Roma lo scontro con Il MANIFESTO fu per la presentazione delle liste: loro sostenevano che la scarcerazione di Valpreda si sarebbe ottenuta solo con le elezioni, ma noi non accettammo quello che ci sembrava un ricatto „

Compagni del Manifesto,

la fase della stretta organizzativa è cominciata; le scadenze dell’organizzazione sono davanti a noi; abbiamo anzi spinto perché questo processo fosse accelerato in rapporto ai nuovi dati della situazione politica. Ma la strada imboccata non è più quella giusta. Nostro compito di militanti è la denuncia dell’errore o la pressione per correggerlo. Toccato il punto più alto della spontaneità, le lotte debbono esprimere livelli sempre più alti di autonomia. E’ questa la promessa per uscire dal cerchio del riformismo e spezzare il vincolo delle istituzioni che ne sono il supporto. E queste sono premesse per un ciclo di lotte sganciate dalle condizioni poste dalle esigenze dello sviluppo capitalistico, ma anche conseguenze necessarie di queste lotte. E’ per ciò che l’autonomia dev’essere organizzata: alternativa di massa al movimento istituzionalizzato.Compagni, non c’è risposta alla crisi senza la scelta dell’autonomia; scelta soggettiva della crisi è scelta dell’autonomia, è lotta organizzata alla strategia produttivistica delle istituzioni tradizionali della classe. E non c’è costruzione del partito senza questa premessa dell’autonomia, senza questo movimento alternativo da cui escono avanguardie e militanti. Ma la strada imboccata non è più questa. Dopo il convegno nazionale di Milano, la liquidazione dell’obiettivo dei comitati politici, quali espressioni dell’autonomia organizzata, alternativa alle strutture del movimento sindacale, è il primo passo su una strada segnata da una serie di cedimenti obbligati. Scelta soggettiva della crisi, volontà cioè di cavalcarla, non si accorda con una politica equivoca sull’alternativa di movimento. E’ così che si mette in moto una catena di azioni-reazioni, che spingono, da un lato, sempre più verso una politica d’alleanza con le strutture istituzionali di movimento o, dall’altro, portano all’impossibilità di premere sulla crisi per uno sbocco di regime e di puntare subito ai contratti del ’72 con una linea di radicalizzazione delle lotte del ’69. La piattaforma di Rimini è il primo segno macroscopico del cedimento in atto. All’interno di questo cedimento, che esprime una difficoltà di alternativa, spunta allora necessariamente l’esigenza di costruire lo spazio per un movimento d’opinione: la battaglia sul fanfascismo assume questa valenza arretrata – e il raduno nazionale di Milano ne è un segno -, apre la strada al neo-frontismo, mette dunque un’ipoteca sulla piattaforma di lotta contrattuale, precipita verso l’obiettivo elettorale del ’73. Senza un’alternativa di autonomia dalle istituzioni e – solo perciò – dal ciclo capitalistico, il percorso verso l’istituzionalizzazione dell’organizzazione e verso lo scadimento parlamentaristico è obbligatorio. Dobbiamo respingere e battere questa prospettiva. L’ uso principale della nostra organizzazione, dalla primitiva scelta fatta per tenere in piedi il giornale, deve spostarsi oggi non sulle campagne d’opinione, come ieri quella sul fanfascismo e domani certamente sulle elezioni, ma sulla costruzione del terreno necessario per impostare il problema stesso del partito: il terreno dell’organizzazione (alternativa) dell’autonomia operaia. Ma questo cedimento è diventato possibile perché è il partito stesso che si preconfigura già ora, nel suo primo embrione organizzativo, come direzione elitaria: centralismo (democratico) anziché centralizzazione dal basso; impossibilità di un uso politico costruttivo del dissenso e dell’organizzazione di tendenze; uso coercitivo del giornale; sostanziale identificazione della direzione nazionale con la redazione e il gruppo parlamentare. Senza movimento autonomo di classe, neppure costruzione corretta del partito. C’è un errore politico grave nella pretesa di puntare al partito muovendo dal terreno delle organizzazioni tradizionali del movimento ed equivocando sull’autonomia. C’è incomprensione sostanziale della scelta extraistituzionale. E ci accusano invece di astratto ideologismo. Compagni, non possiamo spacciare per realismo politico un errore teorico e strategico atto soltanto a mascherare il cedimento in atto di fronte alle difficoltà politiche del movimento e soprattutto la paura isterica di un isolamento minoritario (ma gli errori non ci portarono proprio a questo isolamento? a coprire il vuoto del PSIUP?). Compagni, noi vogliamo lottare nell’organizzazione. Dobbiamo, però, denunciare che i normali canali del dibattito si sono chiusi: direzione nazionale e redazione hanno fatto blocco su una linea che non esprime la volontà di ampia parte della base. La gestione politica dell’organizzazione è in loro pugno ed il dissenso è solo formale o di fatto esterno. Noi vogliamo batterci ancora per un’ipotesi politico-organizzativa che parta dall’autonomia operaia, ma non crediamo al partito del Manifesto e non intendiamo restare dentro un’organizzazione a costo di una scelta opportunistica. Per questo, compagni, organizziamo il dissenso, diamoci scadenze organizzate di lotta interna sulla piattaforma dell’autonomia operaia e di una nuova organizzazione di partito fondata sulla centralizzazione dal basso. Portiamo questa battaglia ai centri nazionali, portiamola al convegno nazionale costituente dell’organizzazione.

Febbraio ’72

 

MILITANTI ROMANI DEL MANIFESTO

PROLETARI DELL’AUTONOMIA OPERAIA

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