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Olympe De Gouges

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Uomo, sei capace d’essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi: chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata…»)

Fu battezzata (nel 1748) Marie de Gouges ma volle farsi chiamare come sua madre, Olympe.

Ghigliottinata, il 3 novembre 1793, per aver attaccato prima Marat e poi Roberspierre, denunciando la censura e le tentazioni dittatoriali che serpeggiavano. Si tentò di farla passare per una prostituta, una pazza, forse filo-monarchica. Fu invece scrittrice e rivoluzionaria, in prima fila contro lo schiavismo, ma soprattutto femminista… con secoli d’anticipo.

Nel 1791, sulla traccia del celebre testo del 1789, scrisse la «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina», dove chiede l’eguaglianza con una forza sino ad allora sconosciuta. Lì si può leggere questa frase che sembra un tragico presentimento: «La donna ha il diritto di salire sul patibolo; ella dovrà anche avere il diritto di salire sulla tribuna». Purtroppo le venne riconosciuto il primo diritto, “perdere la testa”, mentre veniva negato a lei (e alle altre) il secondo; infatti il procuratore Pierre Chaumette, compiacendosi per la condanna a morte, chiarì che la sua principale colpa era «aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso», in testa il silenzio e la sottomissione.

In carcere, Olympe de Gouges chiese (invano) di avere un processo regolare e riuscì a fare uscire clandestinamente dalla cella due suoi testi. Ma ormai era tardi.

Orgogliosa della sua indipendenza (anche economica e sessuale, rifiutava il matrimonio) sino a scrivere: «Non devo nulla al sapere degli uomini. Io sono la mia opera». Con i suoi scritti e con il suo impegno ottenne che le donne venissero ammesse alle manifestazioni più importanti (il 3 giugno e poi il 14 luglio alla commemorazione della presa della Bastiglia). Chiese che il divorzio fosse consentito… e non solamente, con sotterfugi, alle donne ricche. Con forza chiese protezione e diritti per i disoccupati ma anche per l’infanzia compresi i figli nati fuori dal matrimonio e non riconosciuti (come invece era accaduto a lei, certamente frutto di un amore extra-coniugale).

Nella impressionante «Risposta al cittadino Robespierre», scritta poche ore prima di essere ghigliottinata, Olympe fra l’altro attacca «quel miserabile Marat, vero pulcinella» della contro-rivoluzione e poi attacca: «Ti compiango Robespierre e ti aborro […] Come sei lontano dall’innocenza […] Dimmi Robespierre, perché ti hanno visto tuonare contro i filosofi […] cui dobbiamo la distruzione dei tiranni? Volevi forse istruire i cittadini mediante una convenzione ignorante, per trasformarla in un’assemblea di bifolchi? O non cercavi piuttosto di dominare su tutti?». Per concludere: «Tu non sei che la caricatura di un grand’uomo».

Lei fu di certo più rivoluzionaria della rivoluzione fino a credere che anche le donne e gli schiavi fossero «uomini», cioè avessero diritti.

Guarda “L’ultimo discorso di Olympe de Gouges, riscrittura di C.T.“:

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