Salvatore Rudilosso ucciso durante una rapina
Salvatore Rudilosso, militante rivoluzionario, viene ucciso durante una rapina ad una gioielleria a Ponte S. Pietro (Bergamo) mentre cerca di soccorrere un suo compagno ferito a morte.
Salvatore nasce il 7 aprile 1956 a Floridia, una cittadina in provincia di Siracusa, e si trasferisce a Catania con la famiglia subito dopo aver conseguito la licenza elementare. Per poter continuare gli studi Salvatore viene chiuso all’interno di un collegio gestito da preti; di questo periodo (durato tre anni) ci parlerà lui stesso in una delle tante testimonianze lasciate dopo la sua morte:
”Sono stato nella prigione dell’infanzia in cameroni freddi e chiusi. Ho studiato con la minaccia degli schiaffi ed ho mangiato nei refettori affamati sotto l’occhio dei guardiani che alzavano le mani sui bambini cattivi. In collegio ho pregato con la minaccia degli schiaffi ma non ho amato nemmeno Gesù perché con lui giustificavano la sofferenza di noi piccoli ribelli. (…)
Dal collegio uscii con la licenza media. Uscii da un deserto per entrare in un altro dove si impara a vivere con l’odio nel cuore per la propria esistenza”.
A causa delle condizioni disagiate della famiglia, Salvatore è costretto a frequentare l’Istituto Commerciale ”Olivetti” la mattina e, lavorare in nero il pomeriggio e la sera, a nemmeno quindici anni di età. Dopo poco abbandona la scuola per un lavoro più remunerativo (grazie al quale può aiutare la famiglia in difficoltà) e per gestirsi quegli spazi di libertà che per troppi anni gli erano stati negati dalle rigide e repressive regole del collegio.
L’insicurezza e l’angoscia del lavoro in nero, la paura di vivere all’infinito una vita disagiata porteranno Salvatore ad un passaggio radicale: dalla paura alla rabbia. Rabbia e ribellione verso una società che non permette agli ultimi di avanzare di un solo gradino. Il 28 febbraio 1975, a 19 anni, viene arrestato per una rapina ad una banca e condannato a sette anni e sei mesi di carcere.
Subito dopo la condanna per direttissima viene trasferito nel carcere penale di Noto, dove fa la conoscenza di Alberto Franceschini, del gruppo storico delle Brigate Rosse, e di altri militanti comunisti.
Il carcere diventa una sorta di università dei detenuti politici e i cosiddetti “comuni” finiscono con il politicizzarsi. E a Salvatore succede la stessa cosa. Dal contatto con i detenuti comunisti inizia a chiarirsi tante cose, comincia a leggere e a politicizzarsi; e arriva alla conclusione che in fondo la sua colpa non è tale poiché egli ha cercato semplicemente di vivere, di unirsi agli altri proletari e di non essere disposto a subire soprusi.
Alla fine dei cinque mesi di libertà vigilata Salvatore si ritrova esattamente nelle stesse condizioni di sei anni prima, quella medesima, identica situazione che lo aveva portato a “violare” le regole sociali: senza un lavoro decente, senza alcuna prospettiva di trovarlo e con l’aggravante del “marchio” di ex detenuto. Decide quindi di trasferirsi nel Nord Italia, dove a Torino incontra Marcello Ghirighelli, militante nelle Brigate Rosse, per un suo ingresso nell’organizzazione.
Trova ospitalità a Padova, dove lavora un’estate intera come lavapiatti per poi trovarsi nuovamente disoccupato, senza nessuna speranza di un futuro migliore.
Sa che i soldi non devono essere lo scopo della sua vita ma è anche consapevole che la società finisce col reprimere chi non sta al proprio posto.
Salvatore muore alle 18.45 del 3 novembre 1981, raggiunto da quattro proiettili blindati, sparati da una 38 Colt, tra cui alcuni alle spalle.
”Ho camminato sulla morbida terra, solcato il terreno straniero del
mio sogno
Ho guardato,
aspirato
ad un giorno incantato
ben sapendo che me ne andrò
un mattino con il viso bagnato”.
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