Nasce W. D. Haywood
“There was a time when you done twice as much work, you never asked for more wages, you never kicked about bad grub and dirty bunkhouses. Why has all this changed, what is the reason?”. “The I.W.W.”.
tutto questo è cambiato? Qual è la ragione? La I.W.W. Queste frasi componevano una vignetta del giornale “Industrial Worker” del 26 dicembre 1912 ad opera di E. Riebe.
William D. Haywood nacque il 4 febbraio 1869 a Salt Lake City. E ancora non lo sapeva ma sarebbe diventato uno dei sindacalisti più importanti degli Stati Uniti. Presto in adolescenza Haywood inizia a lavorare in miniera e a contatto con gli insegnamenti di un minatore irlandese impara le basi della lotta di classe e si iscrive ai Knights of Labor, prima vera organizzazione di massa degli Stati Uniti. Haywood dopo alcuni anni passa al Western Federation of Miners, combattivo sindacato dei minatori dell’Ovest. Dentro questa organizzazione diviene segretario-tesoriere, e col tempo si conquista un ruolo di rilevanza e popolarità. La fiducia dei lavoratori in lui si radica dopo cicli di lotte di intensa violenza e diviene presto figura di portata nazionale, tanto che è lui ad aprire a Chicago il “Congresso continentale della classe operaia”, atto fondativo della “Industrial Workers of the World”, la I.W.W.
Da allora molte sono le lotte che Haywood attraversa dentro l’I.W.W. alcune vincenti come quelle dei minatori di McKees Rocks o di Spokane o del tessili di Lawrence nel 1912, altre concluse con delle sconfitte come quella straordinaria dei setaioli di Paterson. Presto però inizia a farsi strada la repressione nei confronti dell’organizzazione sindacale che nel frattempo insieme ai socialisti si era opposta all’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale. Con lo scoppiare della Rivoluzione Russa i padroni colgono l’occasione per inasprire l’attacco ai sindacati e all’opposizione socialista e comunista, la polizia ne distrugge le sedi, i militanti vengono linciati e incarcerati a migliaia. Vengono vagliate leggi speciali contro “il sindacalismo criminale” e i giornali di sinistra vengono censurati o distrutti. Haywood stesso passa due anni in prigione ed esce su cauzione, riprendendo anche se con poco successo l’attività sindacale, fino a che giunse a termine il percorso legale che lo riguardava e che avrebbe messo fine alla libertà su cauzione di fronte alla condanna a vent’anni di reclusione.
Di fronte a questa situazione Haywood viene invitato ad espatriare in Russia dai bolscevichi per il varo dell’Internazionale sindacale rossa. Egli quindi lascia gli Stati Uniti fra la delusione e il dolore dei militanti dell’I.W.W. In questa occasione e per vari motivi nasce una spaccatura insanabile tra questi ed il partito comunista statunitense profondamente filosovietico. Imbarcatosi con un passaporto falso a Hoboken di fronte a Manhattan passando di fronte alla statua della libertà pensa: “Addio per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel paese della libertà”. A Mosca Haywood viene accolto come un eroe e in occasione di un dialogo con Lenin chiede se le industrie della Repubblica dei Soviet sono dirette ed amministrate dagli operai, Lenin risponde: “Sì compagno Haywood, è questo il comunismo”.
Ma più che in sé e per sé la vita di Haywood in questa rubrica ci interessa analizzare quella che fu la più radicale organizzazione sindacale e politica del proletariato americano. Una delle differenze di formazione dell’I.W.W. rispetto al Partito Socialista Americano e alle altre organizzazioni sindacali esistenti stava nel tentativo su molti piani di organizzazione non solo della classe lavoratrice bianca o immigrata dall’Europa arrivata già politicizzata, ma anche dei cosiddetti unskilled immigrati arrivati in un secondo momento con una mansione non garantita e ridotti a fare i peggiori lavori sul mercato (molti di questi provenivano dall’Italia e dal Messico). Oltre a ciò l’organizzazione sindacale tentò di radicarsi tra i lavoratori di colore e tra le donne (molte furono le leaders I.W.W.) cercando di costruire un fronte comune degli sfruttati. Proprio per questo suo assetto composito il sindacato del gatto selvaggio poté usufruire di tutte le pratiche e le strategie rivoluzionarie che avevano attraversato le lotte sul piano internazionale. In questa esperienza vediamo insomma il tentativo di far uscire le lotte dalle fabbriche per farle entrare nella metropoli.
Un altro aspetto abbastanza interessante e caratterizzante dell’I.W.W. stava nel come veniva intesa l’organizzazione. Infatti non era contemplato (o lo era in modo minore) il riconoscimento da parte dei padroni del sindacato in quanto tale, ma l’unica legittimazione era quella operaia. Nelle vertenze sindacali non figurava la richiesta di essere riconosciuta come organizzazione. “Se mancava da parte loro l’interesse a porsi come controparte organizzativa riconosciuta dai padroni, c’era però la precisa intenzione di non congelare mai le lotte accettando contratti a termine data la loro convinzione che la forza operaia sta nella libertà di scioperare a piacere.” (Primo Maggio)
Nel privilegiare lo spontaneismo, la mobilità e il ricambio degli iscritti però si insediava uno dei più grandi ostacoli al percorso dell’I.W.W. Infatti se in un certo spezzato come quello dei braccianti dell’ovest e dei lavoratori stagionali poteva essere una forma organizzativa valente, tra gli operai massa e i nuovi immigrati dell’est figli del nuovo paradigma industriale i risultati erano manchevoli. Dentro l’I.W.W. quindi si leggevano due correnti con diverse posizioni. Con lo scoppiare della guerra però la forma organizzativa si fa più stabile e le richieste dei lavoratori non sono più legate esclusivamente ai salari più alti ma anche a delle migliori condizioni di lavoro.
Uno dei grandi meriti che senza dubbio si possono attribuire all’I.W.W. sta nella capacità di saper leggere le novità del sistema capitalista e di sapercisi misurare su tutti i piani. Quindi mettere da parte l’eccessivo ideologismo da un lato e dall’altro la politica del compromesso per stare dentro i movimenti in modo radicato e intelligente. D’altro canto però il sindacato cadde di fronte alla repressione per mano padronale e davanti al problema dell’organizzazione, problema che si diede su due livelli. Da una parte l’incapacità di leggere il ruolo dello Stato all’interno del capitalismo e di comprendere la società capitalistica come totalità, dall’altra il non aver mai saputo strutturare una strategia complessiva che raccordasse le singole lotte.
In eredità da questa soggettività ci interessa cogliere e criticizzare l’intervento empirico da dentro le lotte e la capacità di sviluppo proprio da questa base di pratiche innovative e radicali (allora un esempio furono gli scioperi a “Gatto Selvaggio” e i sabotaggi).
E quindi a chiudere usiamo un’altra vignetta ad opera dell’I.W.W., un grosso orologio disegnato con una didascalia a fianco: “What time is it?”. “Time to organize”.
Guarda “The conflict and compromise of big Bill Haywood and the IWW labor strikes“:
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