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L’esilio di Trotsky

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Inizia con la rimozione di Leon Trotsky dall’incarico ministeriale la serie di provvedimenti presi dal governo stalinista nei confronti del politico, che culminerà con il 17 gennaio 1929, quando egli viene esiliato insieme ad alcuni compagni del soviet di Pietrogrado ad Alma Ata.

Così inizia la lunga diaspora che condurrà Trotsky fino alla morte in Messico il 20 agosto del 1940 assassinato da un agente stalinista in incognito. La vicenda di Trotsky è dal punto di vista autonomo molto interessante per una serie di aspetti e innanzitutto perché sancisce il fallimento di un certo tipo di socialismo reale e delle sue strutture politiche e sociali. Molti sono gli interessanti spunti che lasciò a chi attraversa in un’ottica marxista i movimenti, ma molti furono anche gli errori di valutazione che pesarono profondamente sia sul destino della rivoluzione russa, sia sui partiti comunisti istituzionali che staccandosi dalla sfera d’orbita sovietica aderirono a questo modo di intendere la lotta di classe. Come sempre sta a noi dare una lettura critica e attualizzata, in rapporto con le dinamiche storico-sociali che attraversiamo di alcune linee di tendenza intuite da Trotsky. Interessanti sono ad esempio gli approfondimenti sulla teoria della Rivoluzione permanente, molto meno le pratiche dell’entrismo nei partiti socialisti.

Trotsky insieme a Lenin leader della rivoluzione russa è stato molto presto visto dai burocrati del socialismo reale, oppressivo e mortificante come un pericolo, un pericolo capace di scatenare le contraddizioni palesi che attraversavano la teoria del “socialismo in un paese solo” e del capitalismo statale di cui era intrisa la ormai tradita rivoluzione bolscevica. Una paura che era lo stesso volto dei padroni dei paesi attraversati dalle lotte operaie e del proletariato.

Dal punto di vista autonomo e antagonista Trotsky ci insegna che una rivoluzione è sempre perfettibile e che le contraddizioni insite allo sfruttamento capitalista non sono conciliabili con il socialismo e con le sue espressioni. Ci insegna anche con i suoi errori che tentare di cambiare dall’interno una forma partito di stampo terzointernazionalista che è a sua volta rappresentazione del potere istituzionale e borghese è impossibile. Anzi anche questa va distrutta e delegittimata.

Presentiamo ora un documento di Danilo Montaldi su Lev Trotsky.

CURVA DISCENDENTE:

TROTZKY, TROTZKISMO, TROTZKISTI Negli anni 1926-’28 il movimento operaio internazionale subisce una crisi i cui caratteri si presentano in una forma del tutto nuova. Non è più una crisi legata ad una battaglia perduta e sanguinosamente repressa, quale era stata la Comune di Parigi, non è più il fallimento della rivoluzione come nel 1905 in Russia, esperienze l’una e l’altra che serviranno di base alla ripresa politica del proletariato. Questa volta si tratta di qualche cosa di infinitamente più tragico in quanto è proprio questo stesso patrimonio, l’unico, se si eccettuano le ereditarie catene, che viene saccheggiato e manomesso precisamente da che usurpava in quegli anni la rappresentanza dell’avanguardia nel Paese che per primo aveva ceduto all’assalto vittorioso della Rivoluzione.

Le ragioni dell’arretramento politico degli operai vanno ricercate nell’impossibilità di mantenere il controllo in una situazione che si va sempre più evolvendo, tanto in Russia che nel resto del mondo, a svantaggio della classe nel suo complesso.

L’affermazione dell'”Opposizione di Sinistra” è legata strettamente all’evoluzione della lotta di classe in Russia che si esprime ancora in quegli anni in termini di contrasti ideologici prima di scendere sul terreno della lotta politica aperta fino all’eliminazione fisica di chi non aveva saputo rinunciare, in un modo non formale, alla tradizione e alle lezioni dell’Ottobre 1917. Il nuovo corso dell’economia sovietica, vale a dire il consolidamento della NEP e i primi piani di industrializzazione che in queste condizioni non porteranno ad altro che alla nascita di un capitalismo statale ed allo sfruttamento sempre più vasto del proletariato, induceva gli strati dirigenti della politica russa a forgiare nuove teorie e nuove tattiche che, coerenti con l’impegno della “Difesa dell’URSS”, sono in netto contrasto con gli interessi della Rivoluzione mondiale. Di conseguenza i movimenti dissidenti dell’Internazionale si vanno sempre più intensificando. Sotto l’incalzare degli avvenimenti le coscienze individuali, i gruppi d’avanguardia sono costretti a definire la loro condotta, a cercare una loro giustificazione, e con questo stesso a proporre la validità della loro particolare esperienza sul piano più vasto della lotta del proletariato.

Lev Trotzky pur dibattendosi tra le infinite difficoltà che il ritorno alla vita d’esilio gli imponeva di superare, seppe improntare il movimento d’opposizione della sua personalità di vecchio combattente delle lotte sociali.

Da quando il ministro zarista Miljukov lo aveva usato con disprezzo per la prima volta, il termine “trotzkismo” aveva fatto molta strada, ma solo ora si presentava come una tendenza che si andrà sempre più definendo nel senso del movimento operaio. La Rivoluzione, immensa divoratrice di esperienze e di uomini non dovrà tardare molto a sottoporne all’esame delle situazioni la consistenza e la necessità. In questa fase il proletariato si presenta sotto la guida di una direzione che ha ormai smarrito il senso di una lotta di classe e di conseguenza fin dall’inizio è votato a sicura sconfitta.

gli avvenimenti cinesi non sono che il prologo sanguinoso di una lunga serie di disfatte. Lo slancio rivoluzionario delle masse viene soffocato dal mostruoso sviluppo di un capitalismo in crescita, i cui rappresentanti costituiscono la direzione del movimento.

La crisi apertasi nel senso del capitalismo nel 1917 stava per concludersi ancora una volta a svantaggio della classe oppressa: il mondo operaio europeo viveva gli ultimi fremiti operai in Germania dove, strada per strada si sparavano gli ultimi colpi disperati di tre lustri di lotte civili iniziate vittoriosamente a Kronstadt sotto la guida del partito bolscevico. Se la borghesia tedesca aveva represso nel 1919 Spartacus , il cui sangue sigilla i documenti costitutivi della Terza Internazionale, non aveva pertanto saputo li berrai altrettanto facilmente delle intime contraddizioni che tessevano il suo contenuto di classe, anche se in quegli anni stava finalmente generando “l’atteso rimedio” che non tarderà, quando si sfogherà nella violenza del suo terrorismo, ad essere benedetto non solo dagli strati più reazionari della popolazione, ma da tutti coloro che avevano ancora qualche superstizione da salvaguardare nella generale catastrofe dei sedicenti “valori tradizionali”. La Germania della disfatta militare ed economico sfogava l’avvilimento in cui si concretizzava la sua vita quotidiana nell’istinto di conservazione, e si vennero a creare la premesse per la distruzione sistematica di tutte le istituzioni del proletariato: a questo infatti si riduce la funzione essenziale del fascismo.

Fu l’assalto più brutale e completo nei confronti della classe operaia. Fu Hitler.

Di fronte ad una socialdemocrazia che si vedeva derubare del suo capitale eletto – la media borghesia -, e che non solo sui era già infinite volte rivelata incapace di guidare il proletariato nella lotta ma che sperava in una “pacificazione del popolo tedesco” puntando tutto su questa parola d’ordine lanciata alla sua giusta ora da quegli strati dell’opinione pubblica che si nutrono al contrario delle profonde divisioni sociali come un ultimo tranello nel momento in cui lo scontro si stava preparando più sanguinoso, lo stalinismo trova il bel tempo di forgiare la teoria del “socialfascismo”, il più aberrante bubbone cresciuto sulla ideologia marxista.

“Il fascismo è l’organizzazione di lotta della borghesia che si appoggia sull’aiuto attivo della socialdemocrazia. La socialdemocrazia è oggettivamente l’ala moderata del fascismo” aveva detto l’antidialettico Stalin aggiungendo che ” il fascismo e la socialdemocrazia non sono nemici, ma gemelli”. Thälmann, allievo di tale maestro, ne applicò gli insegnamenti al punto che ripudiava la massa industriale tedesca, che dal tempo delle prime lotte sociali aveva sempre costituito la speranza del marxismo, e che come entità fisica rimaneva perlopiù inquadrata nei sindacati riformisti, creò a parte un sindacato di disoccupati che come tutti sanno non potranno mai costituire l’avanguardia del proletariato poiché nelle condizioni in cui si trovano sono assai vicini sentimentalmente alla classe avversa di cui subiscono più direttamente l’assalto.

La tattica disastrosa dell’Internazionale ha a sua scusante il fatto che gli interessi proletari e il proletariato stesso diventavano sempre più estranei alla politica dei dirigenti burocrati, i quali, date le nuove strutture economiche che si andavano a creare in Russia, erano costretti a portare altrove la lotta, ai fini della loro stabile affermazione. Le contraddizioni tattiche dell’Internazionale provengono tutte da questa origine.

Non vogliamo tornare a ripetere la storia ben nota dei fatti tedeschi dal 1928 al 1932, ma vedere unicamente in che modo il trotzkismo non seppe opporsi allo smarrimento in cui caddero i militanti e la classe e richiamare gli uni e l’altra ai loro compiti essenziali nei quali si raccoglie il senso stesso della loro esistenza fisica. Abbiamo detto “trotzkismo” appositamente perché sarà proprio in questa situazione che, sotto i colpi di maglio della lotta di classe, si andrà forgiando il movimento che diverrà la Quarta Internazionale. Ed è proprio qui che subisce la prova generale che ormai lunghi anni di vita gli impongono. Una prova fallita

Il Partito Comunista Tedesco non aveva saputo cogliere il momento di contraddizione, di divisione nel campo della borghesia, non aveva saputo metterlo a frutto al fine di mobilitare il proletariato, tutto il proletariato e lanciarlo alla conquista del potere.

Ben presto questa occasione mancata tornerà a totale vantaggio della borghesia che saprà riunirsi in vista della vittoria, eliminando dalla vita nazionale quelle forze che, se l’avevano rappresentata fino a ieri, sono oggi superate dai tempi. Così come ieri in Italia la socialdemocrazia viene messa in condizioni del tutto nuove e deve difendersi: deve abbandonare il terreno delle lotte parlamentari sotto la pressione della reazione incombente, ed è costretta a dover subire giorno dopo giorno l’offesa di chi non riconosce più diritti agli avversari politici.

Non era buona ragione per sollecitare un fronte unico con quei partiti che se non erano stati la causa principale della nascita del fascismo, pure non avevano nemmeno tentato di opporglisi nettamente come la situazione richiedeva.

Invece Trozky seguirà proprio questa sfida rifacendosi a quanto era accaduto in Russia nell’agosto 1917 al tempo di Kornilov, contro il quale Lenin sostenne un fronte dei partiti socialisti. Precedente che non era possibile riesumare per varie ragioni. Al giornale dei comunisti di sinistra “Rote Kämpfer” il quale ricordava che Kornilov rappresentava forze completamente diverse da quelle che si fanno sostenitrici di Hitler, Trozky non sa rispondere altro che con l’ironia. E sfoggiando la sua arte di polemista continua a sostenere una tesi che se rappresenta un tentativo di di comprendere le situazioni secondo un “metodo”, che era stato ripudiato dai teorici dello stalinismo, non riuscirà meno dannoso, appunto perché il marxismo è usato come metodo e non dialetticamente, ai fini della questione maggiore che era messa in gioco: la Rivoluzione.

Vero è che Hitler giunto al potere eliminò ben presto il “kornovilismo tedesco” delle associazioni dei generali monarchici, che anch’esso era “rimasto indietro” con i tempi, e quindi era nocivo alla politica del nazismo. E non fu una eliminazione pacifica. Naturalmente Trozky non giunse mai a sostenere una identità di scopi nell’azione comune del fronte unico. Ma “marciare separati e battere insieme” significa rimanere sonni al momento opportuno. Bisognava dunque premunirsi nei confronti di questo pericolo, dato che la funzione della socialdemocrazia nell’azione diretta si esaurisce ben presto: l’esperienza italiana insegni. Di fronte al fascismo che ha preventivamente battuto la socialdemocrazia sullo suo stesso terreno soffiandole la piccola borghesia per rilanciarla arrabbiata e delusa contro le organizzazioni del proletariato, massa di manovra ispirata dai grandi affari, solo il partito di classe aveva dimostrato di saper portare la lotta per l’emancipazione dei lavoratori fino alle sue naturali conseguenze. Dopo il fallimento del fronte unico in Germania nell’aprile del 1922 alla conferenza di Berlino, fallimento che fu sancito dalla “Pravda”, e dopo l’insegnamento della lotta in Italia, non era necessario rifare a ritroso le esperienze già scontate, ma passare, nella misura in cui era possibile, al riarmo della classe e all’offensiva sul fronte borghese. Il Partito Comunista d’Italia era stato il primo a dover subire l’attacco fascista, era stato il primo a dover tentare il fronte unico con quelle forze “socialiste” che a un certo momento firmeranno con il patto di pacificazione il proprio suicidio, ma è rimasto anche il solo ad esprimere nelle Tesi di Roma l’insegnamento che aveva saputo trarre dalla amara situazione oggettiva. Se per il Partito Comunista d’Italia il fronte unico comportava soprattutto azione comune di tutte le categorie organizzate nei sindacati, non significa che nella formulazione delle tesi che sostenevano questa posizione vi fosse un particolare “vizio” sindacalista, ma che era stato impossibile raggiungere le premesse per il fronte unico sul terreno politico con quelle forze dalle quali il giovane partito si era salvato a tempo. Ora, l’avanguardia militante si riprometteva, secondo l’insegnamento di Lenin, di saper trasformare la lotta sindacale in lotta politica che ne è in fondo il suo naturale sviluppo. Staccatosi dal “glorioso” Partito socializza proprio nel 1921 mentre la battagli si andava facendo sempre più dubbiosa (“l’unità sta nella scissione”, aveva proclamato il vecchio Maffi a chi col ricatto dell’unità del partito voleva evitare che si concretizzasse lo slancio del proletariato rivoluzionario) il Partito comunista non poteva, così come suggeriva Zinov’ev, solidarizzarsi con la compromessa socialdemocrazia: ascrivere il valore dell’atteggiamento scelto in nome di qualcosa che non fosse la Dittatura del proletariato significava arretrare e convalidare la sconfitta sul terreno ideologico prima, su quello pratico di conseguenza. . Dopo Lenin, l’organizzazione del marxismo non può dividere la sua strada con nessuno, questa era stata la lezione che il proletariato italiano aveva creduto trarre dall’Ottobre russo dove la Rivoluzione si era compiuta nonostante i partiti socialisti. Naturalmente si passò oltre le evidenze. Nessuno volle esaminare oggettivamente quella situazione: si parlò ancora una volta di “ultrasinistrismo” e di “malattia infantile”. Ai metallurgici di Torino precipitati negli altoforni, ai contadini della Valle Padana uccisi nei luoghi stessi del loro lavoro, si aggiungeranno ora anche gli operai martirizzati di Essen e di Amburgo. L’avanguardia proletaria del Partito Comunista Tedesco dovrà arretrare colpo per colpo mentre il “fronte” dei disoccupati nel quale la politica dei dirigenti ha voluto isolarla, si sfascerà con la stessa inerzia con la quale si era formato. Slo qua e là gruppo di rivoluzionari raccolti attorno a qualche giornale sanno mettere a frutto queste esperienze negative per la futura nascita del movimento del lavoro.

Le polemiche tra il trozkismo e il partito ufficiale sono estremamente interessanti.

Si tentava di sapere se il regime “democratico” era già fascismo, e se il fascismo, quello vero, avrebbe mai trionfato. Rispondeva la “Rote Fanhe”, organo del Partito Comunista Tedesco, che l’anno 1930 segnava il punto limite dell’ascesa del nazismo, da quel momento “logicamente” iniziava la sua decadenza. La socialdemocrazia era il nemico vero, quello che bisognava abbattere. Gli strateghi stalinisti come ieri avevano incolonnato il proletariato a votare nel referendum di Hitler, il quale in questo modo spingeva i suoi tentacoli fin dentro le organizzazioni operaie, puntavano ora tutte tutte le loro artiglierie polemiche nei confronti del Partito socialdemocratico, ma incapaci pertanto di porre un’azione di massa con un sindacato di disoccupati finivano per esaurire le loro scarse cartucce in un gioco sterile di fuochi d’artificio. Il trozkismo era molto più sensibile al pericolo imminente. Ma smarrito il filo che lega una battaglia ad una battaglia, Trozky non seppe esprimere il reale indirizzo della politica di classe nella parola d’ordine di “Dittatura del proletariato”. Caduto nel possibilismo, Trozky andava reclamando la formazione di un governo composto dal Partito comunista socialdemocratico, Sozialistiche Arbeiter Partei e i sindacati, aggiungendo in nome, ahimè, dell’unità del partito che venisse reintegrata l’Opposizione di Sinistra nell’organizzazione ufficiale.

La “rivoluzione” di Hitler si compie senza che venga infranto nessuno dei sacrosanti articoli della Costituzione, ma, ed è ancor più doloroso, si compie soprattutto sulle macerie dell’Internazionale di Lenin, mentre Trozky aveva contribuito a sconvolgere l’ideologia marxista nel momento in cui era più necessario salvarla dalla cancrena che l’andava invadendo.

Negli anni successivi, la situazione stessa impone a Trozky di mettere a fuoco i problemi del momento, di “provare” quale fosse la sua capacità di penetrazione nelle vitali questioni della rivoluzione. E qui dobbiamo constatare un nuovo fallimento.

Già pregiudicato da una falsa partenza il trozkismo vivacchiò più o meno male, nel periodo tra le due guerre in ragione dell’incapacità di sviluppare dai princìpi marxisti un programma. E “crisi di programma” significa sempre mancanza di approfondimento dei compiti dell’avanguardia in un periodo storico.

Riguardo al regime interno dell’URSS, Trozky ha sempre insistito sulla questione di abusi personali da parte della burocrazia giustificando la restaurazioni dei privilegi e delle sovrastrutture decadute col sofisma di un carattere “borghese” della ripartizione del prodotto sociale opposto al carattere “socialista” dei rapporti produttivi, dimenticando con questo quanto aveva sostenuto Marx, per il quale il metodo di ripartizione del prodotto è assolutamente inseparabile dal suo modo di produzione. Secondo Trozky, la burocrazia non ci sa offrire tra garanzia di quanto afferma se non citandoci il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione è nazionalizzata, dimenticando questa volta che per Lenin era insufficiente che una economia fosse pianificata perché la si potesse considerare socialista. Un’altra “garanzia” la riscontrava nel fatto che la direzione politica dell’URSS era pur sempre rimasta la stessa, non essendo avvenuta nessuna presa del potere da parte della borghesia. Trozky negava insomma un ritorno all’economia borghese, ma nessun marxista avrebbe mai contestargli questa fiducia se non nel senso che, dopo l’azione unificatrice dell’Ottobre, “ritorno” all’economia di sfruttamento significava infine affermazione del capitalismo di Stato.

Solo più tardi Trozky giunse a comprendere la necessità di una nuova direzione rivoluzionaria del proletariato. “Il vecchio partito bolscevico è morto, nessuna forza al mondo può resuscitarlo.” Nasce la Quarta Internazionale. Erede di tutti gli errori ideologici di un decennio di analisi difettose, la Quarta Internazionale non riuscirà mai ad acquistare una perfetta autonomia nel mondo opertaio, ma rimarrà fatalmente incatenata alle situazioni dello stalinismo soprattutto perché Trozky nel momento stesso in cui intuisce la necessità di una nuova rivoluzione contro la burocrazia in Russia, insiste sul carattere proletario del regime. I temi di “stato operaio degenerato” nell’apprezzamento del Paese sovietico “difesa incondizionata dell’URSS” fusi contraddittoriamente in un’unica sintesi costituiranno d’ora in avanti la spina dorsale del movimento. Né la fortuna che conseguì presso i circoli intellettuali e d’avanguardia al tempo dei criminali processi di Mosca, durante i quali da accusato principale Trozky seppe trasformarsi in spietato accusatore e nel difensore irriducibile degli uomini del 1917, è sufficiente a farci dimenticare le sue molte esitazioni e i dubbi nei confronti della Seconda Guerra mondiale.

Mentre la disfatta del proletariato andava diventando un fatto sempre più definitivo, Trozky elaborava dei programmi sempre più transitori. La tattica dell’”entrismo”, applicata nei riguardi dei partiti riformisti, era giustificata dal fatto che questi partiti messi di fronte alle nuove condizioni di lotta provocate dal fascino erano costretti a battersi. Ma non bisogna dimenticare che i cosiddetti “socialisti” hanno un loro modo di difendersi che in Italia era stato il patto di pacificazione, in Francia sarà l’adesione ai primi governi di Pétain (“vergognosi” solo dopo che ne furono cacciati) e in Inghilterra e in tutto il mondo l’appoggio assoluto ai governi della guerra borghese. Trozky non doveva dimenticare che è anti-marxista il tentativo volontaristico di correggere dall’interno il corso di questi partiti. Con l’entriamo non riusciva ad altro che a creare gravi responsabilità ai militanti che questa tattica avevano seguito. Ma poiché la Quarta Internazionale si era rivelata incapace di premere sul proletariato perché ne uscisse il nuovo partito di classe, e poiché lo stalinismo era ancora ben presente, la fiducia veniva a spostarsi verso le “sinistre socialiste” la cui costante preoccupazione è appunto di solidarizzarsi continuamente con il “centro” e le “destre”, e la cui natura non è di carattere rivoluzionario, ma è semplicemente un riflesso delle contraddizioni ineliminabili dei vari strati della borghesia.

D’altra parte seguendo una sua logica, mentre ribadiva la parola d’ordine di “difesa incondizionata dell’URSS” scrisse nel settembre 1939: ” la guerra accelera i diversi processi politici. Essa può anche accelerare il processo di rigenerazione rivoluzionaria dell’URSS. Ma può anche accelerare il processo di finale degenerazione.”

Il che ci fa supporre che non fosse più perfettamente sicuro della base “socialista” del regime russo.

“Per questa ragione è indispensabile che noi seguiamo attentamente e senza pregiudizi le modifiche che la guerra può introdurre nella vita interna dell’URSS, affinché si possa fare un giusto apprezzamento dei loro ritmi.”

Ma il 21 agosto del 1940, colpito da quella stessa mano della guerra che seminava da mesi e mesi la morte nelle case dei lavoratori di tutti i paesi, cadeva l’agitatore che da Brest-Litowsk aveva, voce di milioni di operai e contadini, espresso la condanna con la quale il nuovo mondo della rivoluzione giudicava la borghesia, che non potrà più vivere se non a prezzo di periodici massacri. La nuova e più feroce razione aveva colpito giusto: l’antico cospiratore di Odessa, il giovane teorico che nella Vienna espressionista e Freudiana aveva concepito da Marx la teoria della rivoluzione permanente, il presidente del Soviet rivoluzionario del 1905 era stato eliminato. La borghesia internazionale era stata ben vendicata. Ma l’arma dell’assassino non aveva solo atterrato il compagno che aveva lavorato spalla a spalla con Lenin per l’affermazione della Dittatura proletaria, il nemico della burocrazia e dei suoi rappresentanti, L’infaticabile polemista che aveva difeso la dialettica Marxista dal neo-revisionismo degli intellettuali: l’arma dell’assassino aveva soprattutto spezzato il vero “polmone d’acciaio” che alimentava il movimento della Quarta Internazionale, il cui respiro era diventato di anno in anno sempre più faticoso.

In quanto al “socialismo” russo, come ognuno sa, preferì farsi difendere dal capitale “alleato”. La teoria della convivenza del socialismo e del capitalismo aveva trovato a Teheran le sue assisi ufficiali e in Churchill e in Roosvelt i più ardenti sostenitori prima che Stalin nel dopoguerra la definisse come una tesi “marxista”. Le parole di incitamento che il vecchio rivoluzionario aveva ancora avuto la forza di proferire durante la sua angosciosa agonia non erano un invito a conservare intatto il capitale da lui lasciato se non nel senso di disperderlo e dimenticarlo per riproporlo quotidianamente nella esperienza. Solo in questo modo si poteva mettere a frutto la fedeltà alla memoria di Trozky.

Invece si continuò a coltivare i soliti difetti ereditari. Se in Russia la burocrazia si andava sempre più definendo come una casta, il regime interno permaneva indiscutibilmente socialista. Abusi da parte dello strato dirigente, indubbiamente, ma niente più. Sarebbe interessante se per gli epigoni di Trozky la guerra stessa, con tutto il suo sanguinoso significato di assalto del capitale nei confronti del proletariato, non fu un ben riuscito tiro da parte di alcuni generali in cerca di decorazione. Dopo che il rullo aveva tutto livellato e aveva tutto ridotto ad un unico denominatore, dai fascisti ai democratici, dai conservatori agli stalinisti, ognuno aveva perduto le proprie caratteristiche particolari per acquistare quelle molto più adatte del tradizionale nemico di classe. Lenin a questo proposito aveva definito esattamente qual era il significato intimo della guerra e la natura dei rapporti che essa creava: “la guerra lega tra loro le stesse potenze belligeranti. La guerra lega gli uni agli altri con catene di ferro, i gruppi belligeranti dei capitalisti, i padroni del regime, i padroni di schiavi della schiavitù capitalista”. “un grumo di sangue” non ha mai cessato di essere la vita politica del continente. Da Barcellona a Stalingrado a Berlino ieri, da Atene a Praga a Seul oggi. Contro i chiari concetti di Lenin e le sue nude parole, non vale il caotico vortice di tesi e controtesi che quando non sono contraddittorie tra loro rimangono le stesse, con monotonia, per decenni, al di fuori di ogni legame con la realtà.

Perché è precisamente con questo materiale corrotto che si rappresentano i trotzkisti, dopo aver sostenuto, nel corso del conflitto capitalista, un ben debole internazionalismo proletario condizionato al tema ormai classico di difesa dell’URSS, invece di riprendere la dura ma lucida ed esatta parola di Lenin, che la guerra imperialista deve essere trasformata in guerra civile, portando così un valido, anche se non richiesto aiuto a chi, in Spana ed altrove, era riuscito all’opposto a trasformare la rivoluzione proletaria in guerra imperialista.

Posto di fronte ai nuovi problemi che, con la tregua delle armi, la situazione del dopoguerra aveva trascinato con se, abbiamo visto il trotzkismo dibattersi nelle sue ormai troppe contraddizioni per concludere il suo ciclo di errori in un comodo e sereno adattamento alle posizioni del passato. Inoltre bisogna segnalare una novità del tutto negativa: laddove i sofismi di Trotzky non bastavano più (“dalla dialettica al sofisma” rimane pur sempre la strada di ogni revisionismo, da Kautski a Bordiga), là dove bisognava “ripensare” i motivi fondamentali della vita del proletario, i trotzkisti non hanno trovato meglio che arretrare dalle posizioni del “maestro”.

Se durante il travaglioso parto della IV Repubblica borghese di Francia, anche la Quarta Internazionale ha presentato i suoi suggerimenti “costruttivi” ma demagogici quale l’ambizione dell’istituto del Presidente della Repubblica, l’abolizione del Senato, il servizio militare retto dai sindacato ed altri, di fronte alle perenni crisi della stessa, non hanno fatto altro che rinfoderare la vecchia storia del fronte unico, ancora più assurda oggi, in una situazione di così aperto conflitto tra riformisti e stalinisti rappresentanti ognuno di un diverso blocco di interessi che non tarderà a scontrarsi sul tragico terreno della guerra. Uno strano ottimismo fa si che i loro occhi si chiudano su tante cose: sempre pronti a rassicurarci sul carattere proletario di una Russia che se è ancora socialista per metà, per l’altra metà non è capitalista, non fanno dipender la lotta tra i due colossi imperialisti dalle vere ragioni economiche. No, “è la Rivoluzione che continua” pure attraverso le armate “operaie e contadine” di Stalin. Né siam ben certi che non correggeranno questo loro vizio d’origine, dopo che lo stesso Stalin a data 1952 ci ha rassicurati su quale genere di socialismo si stia vivendo oggi in URSS. Inoltre hanno restituito una funzione ai partiti stalinisti dei Paesi occidentali. Non ci troviamo più davanti al “flagello dell’URSS e lebbra del movimento del movimento operaio internazionale” (Trotzky), ma a un “riformismo di nuovo tipo”. In contraddizione con Trotzky stesso, che aveva appunto creato la Quarta Internazionale perché non c’era più nulla da salvare della Terza e dei partiti da essa dipendenti, recentemente si è sostenuto che “nessuno può discutere oggi ciò che fanno gli stalinisti”. Sembra che siano applicati ad offrire “l’altra guancia” all’assalto dell’inganno ideologico dei nemici della rivoluzione, tentando di correggere lo stalinismo dai propri difetti, di salvarlo insomma da sé stesso.

Il trotzkismo oggi non ha più molto da difendere, se si esclude la memoria del “vecchio”, e la Russia, ma quella “incondizionatamente”. Eppure questa stessa “difesa” soffrì un grave colpo dell’affare jugoslavo. Tito si vide preferire dalla Quarta Internazionale, alla quale non sembrava vero di potersi finalmente inserire nello stalinismo così a buon mercato. Ma a sua volta Tito preferì altre tutele, nonostante gli ammonimenti dei teorici e dei moralisti. Fu durante lo svolgimento di questo affare, che il trotzkismo, entrato direttamente in causa in difesa della controrivoluzione, rivelò clamorosamente di essere uno dei puntelli, e non importa se dei più fradici, di quella concezione e di quella prassi di cui vorrebbe ergersi a censore. E non era, del resto, a prima volta.

Dopo aver saccheggiato il marxismo, l’insegnamento di dieci anni di lotte operaie, e Trotzky stesso, si scoprì in un pericolo più vicino a noi che, dato il “corso centrista di sinistra progressivo” al quale i partiti riformisti e stalinisti erano sottoposti, ci si poteva inserire di nuovo negli stessi per svolgervi un’opera “pedagogica”.

Mentre la linea politica del partito russo e dei suoi confratelli non subisce mai delle svolte a “sinistra” o a “destra”, ma rimane costantemente la linea politica dell’opportunismo, la direzione trotzkista confuse l’evoluzione nel senso della guerra con un preteso “gauchissement”. La quale tesi stupì alquanto la base stessa del movimento. (bisogna ricordare che la Quarta Internazionale è forse il movimento politico nel quale si operano più scissioni. Per dissensi sul problema dell’URSS ne uscii nel dopoguerra la stessa vedova Trotzky.)

Ma dopo che furono appianate le divergenze la proposta passò, e certo fu applicata fino in fondo. I teorici non mancheranno di raccontarci il risultato della nuova esperienza con la stessa esperienza con cui nello stesso tempo che, tirando le somme delle esperienze entriate del passato e mentre si doveva constatare un fallimento, si lasciava aperta una porta alle nuove speranze.

Il tono apparentemente deciso e sicuro delle frasi che seguono, nasconde soprattutto il vuoto e il disagio di una assurda presa di posizione che conosce fin dall’inizio i propri penosi limiti:

“noi entriamo [nei partiti socialisti e stalinisti] per restarci lungamente, basandoci sulla notevolissima possibilità che esiste di vedere questi partiti, posti nelle nuove condizioni, sviluppare tendenze centriste che dirigeranno tutta una tappa della radicalizzazione delle masse e del processo oggettivo rivoluzionario nei loro rispettivi Paesi.” e ancora:

“la burocrazia sovietica è ridotta alla lotta finale e decisiva; Il movimento stalinista è in ogni Paese preso tra queste realtà e le reazioni delle masse di fronte alla crisi permanente del capitalismo. In queste condizioni nuove, che la burocrazia sovietica non ha creato volontariamente ma che è obbligata a subire, lo stalinismo fa riapparire delle tendenze centriste che vinceranno sull’opportunismo di desta”. Poiché, “ciò che noi sappiamo, ciò che noi dobbiamo sapere è che l’essenziale del partito rivoluzionario di domani uscirà da queste tendenze e che questo si produrrà in ogni modo attraverso una rottura con la burocrazia sovietica. Sotto quale forma esatta noi possiamo ora predire.”

Se noi diciamo che sarà attraverso la lotta di classe e sotto la guida dell’organizzazione marxista che il proletariato non mancherà di avere nel momento in cui si verificherà lo scontro decisivo, pensiamo di non cadere nella critica di questi “pratici” ad ogni costo, che vogliono nello stesso tempo che dedicarsi a grandi cose, rifiutarsi ai compiti veri del rivoluzionario e cioè contribuire efficacemente al riarmo della classe, magari fuori dalle organizzazioni di massa, ma nell’esperienza quotidiana sotto l’indirizzo dell’ideologia del partito di Lenin.

Ma al di fuori di ogni pietà, che ci sarà concessa solo “dopo” la Rivoluzione, è rendere un cattivo servizio alla memoria degli operai e degli intellettuali trotzkisti caduti, sostenere che: “per poter reintegrare i sindacati della Confèrèdation Gènèrale du Travail quando se ne è stati esclusi, o per entrare in un organismo sindacale unitario qualsiasi, non si esiterà se necessario a sacrificare de “l’Unite” e della “Veritè”, e mettere decisamente in secondo piano la propria qualità di trotzkista se le direzioni burocratiche lo esigono e se noi stessi arriviamo alla conclusione che è questa la condizione per facilitare la nostra integrazione”. Le quali parole firmano l’atto di capitolazione di fronte allo stalinismo.

Il trotzkismo, sorto nel periodo di estrema decadenza del capitalismo, rappresenta il tentativo di ridare al proletariato, rimasto allo scoperto dopo la caduta delle speranze dell’anno 1917, l’arma di combattimento per la sua lotta. Tentativo legittimo ma abortito.

Poiché oltre l’equivoco, al di là del giro vorticoso, dove comincia veramente l’arido terreno che battuto oggi da pochi militanti sarà domani di tutta la classe, la Quarta Internazionale ha dimostrato, da sempre, di non sapere andare.

Guarda “3 Mexican Songs About Trotsky“:

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