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Charlie Bauer scrittore rapinatore rivoluzionario

7 agosto 2011

Charlie Bauer è nato il 24 febbraio 1943 a Marsiglia ed è morto il 7 agosto 2011 per un infarto a Montargis, nel Loiret. Era stato un rapinatore, comunista, poeta, Robin Hood, rivoluzionario, vegetariano, esperto dei Distretti di Alta Sicurezza, scrittore, un po’ femminista, insegnante di filosofia e profondamente marsigliese.

“Charlie Bauer: vita e morte di un mafioso” titolava il quotidiano Le Monde  dopo la sua morte a 68 anni. Altri hanno annunciato la scomparsa di un “umanista”, di una “leggenda rivoluzionaria”, o di un semplice “luogotenente di Jacques Mesrine”. Ma che condividano o meno le sue affinità politiche, gli autori di questi necrologi hanno tutti, in un intero paragrafo o nel giro di una frase, tradito la loro ammirazione per l’uomo. Leggendo il suo libro “Frammenti di una vita (1990)”, scritto in carcere, non si può fare a meno di rendersi conto che tutti vorremmo avere un po’ di Charlie Bauer in noi. Il bello è sapere se ci commuovono di più il giovanissimo comunista rivoluzionario, il pirata adolescente che divide il suo bottino tra le sue convinzioni politiche e le sue responsabilità morali, l’uomo torturato che non molla mai niente o l’abile scrittore che mette la sua penna e la sua esperienza al servizio delle sue idee.

Il comunismo fuori dal grembo materno

Questo figlio di combattenti ebrei della resistenza è nato nel rude quartiere di L’Estaque, nel bel mezzo della guerra mondiale. Era un sobborgo profondamente operaio che partecipò alla resistenza, fino alla sua liberazione da parte dei goumiers marocchini nel 1944. In casa, il pane veniva tagliato sopra il piatto per non sprecarne le briciole. L’abitudine durerà per tutta la vita. Charlie conosce un’infanzia estremamente precaria.

È un tempo in cui si diventa precocemente adulti, un’infanzia scorticata non tanto deplorevole quanto spartana. Mentre suo padre, resistente Franc-Tireur e partigiano (FTP), va in guerra attraverso montagne e foreste, l’ometto sostiene i suoi quattro fratelli e sorelle. Prima colpevolizzandosi di qualche furto di ferraglia o di abiti di lusso, poi a titolo definitivo attaccando i treni merci. Si preoccupa di rubare rottami metallici a solo danno della macchina e non delle vite che trasporta, e si discosta citando Proudhon: “La proprietà è un furto! Non è più un padrone di casa, ruba qua e là, vola, non pensa molto, corre molto e rischia tutto. Ma piuttosto che “sprecare la tua vita volendo guadagnartela per a stipendio spesso pietoso, “preferisce” correre il rischio di perderlo per vincerlo senza stipendio, nemmeno quello della paura”.

“Quelli che ci sembrano alti lo sono perché siamo in ginocchio!” Charlie Bauer

Ciò che lo differenzia da un semplice delinquente è che si preoccupa di ridistribuire i frutti del suo furto alla sua famiglia: alla sua stessa famiglia prima, e poi agli altri, altrettanto indigenti, che popolano i quartieri a nord di Marsiglia. Sicuramente deve questo senso di condivisione a suo padre. A nove anni lo arruolò tra i Giovani del Partito Comunista. Si è poi immerso in un comunismo puro e duro, blindato di certezze, quello del dovere di insurrezione e della dittatura del proletariato. Accetta pienamente questo radicalismo ma lascia il partito, rimproverandogli la sua visione politica della guerra d’Algeria per aderire al Fronte di liberazione nazionale (FLN). Aiuta con le diserzioni, invia denaro, cibo e talvolta altro: ” Abbiamo rubato armi, abbiamo dirottato i container dalle piattaforme di Marsiglia e li abbiamo consegnati all’FLN. Per lui, che ama identificarsi con l’indiano Cochise, e di cui Geronimo e Toro Seduto sono gli eroi.

“Dietro le sbarre, la rissa”

Fu arrestato nel 1962 per furti notturni e prese una pena eccessiva di vent’anni, età che non aveva ancora. Né lui, né i suoi compagni, né il loro avvocato si lasciano ingannare. Non sono le effrazioni a essere così fermamente condannate secondo loro, ma le idee che le hanno motivate, quelle che Charlie descrive in Le Straighteur des Clous (2010): “La “lotta di classe”, è in questi termini che la mia le lotte sono definite L’oligarchia al potere cerca di eliminarci perché sfidiamo i suoi interessi, il suo sistema, il suo potere. In questa fase del confronto veniamo criminalizzati, siamo braccati per eliminarci con il piombo delle armi mercenarie o il cemento delle carceri. A questo livello di insurrezione, il ribelle si inginocchia solo per essere giustiziato».

Charlie non si inginocchia, lui che ripete che «quelli che ci sembrano alti lo sono perché siamo in ginocchio». Le guardie, molte delle quali di ritorno dall’Algeria, scoprono un uomo implacabile che non si piega mai. Né quando lo appendono nudo per i piedi, né quando lo sottopongono alla tortura dell’acqua, del regolo di metallo che un poliziotto gli infila nell’ano.

Al ritmo di queste disavventure, scopre un universo carcerario in piena crisi dove i prigionieri si cuciono le labbra in segno di protesta. Lui, al contrario, grida per il diritto allo studio al QHS di Lisieux. Conosce così Renée, la sua insegnante di francese, dalla quale avrà una figlia dopo la sua scarcerazione nel 1977. Il suo nome sarà Sarah Illioutcha, in omaggio al vero nome di Lenin.

Delle torture subite in carcere non tralascia il minimo dettaglio, ne attinge quanto basta per attraversare il ponte che separa il rivoluzionario, un po’ romantico, dal partigiano della guerriglia urbana: “Deve essere morta un po’ di umanità in me da questi vari dolori. Così, una volta fuori, assume e rivendica una violenza che gli piace. “La tensione, le armi, i pericoli…” si ripete. È in questo abisso di animosità che incontra Jacques Mesrine.

“Parlo a te che probabilmente hai un’opinione sulle virtù curative del confinamento, come hai potuto sopportare la prova della solitudine totale, delle ore che non smettevano di scorrere, dei cancelli delle carceri di massima sicurezza? Robert Doisneau, nella sua prefazione a Fractures d’une Vie (1990)

Ne diventa socio, ma qualunque cosa dicano i giornalisti, negherà sempre di esserne diventato amico. Questo perché l’intellettuale seguace della lotta di classe è mille miglia lontano dal bandito la cui unica preoccupazione è la lusinga del guadagno: “Mesrine era un ordinario jobard, felice di impressionare la galleria. Ed era un vero macho. Non si può essere contro l’autoritarismo e praticarlo con le donne. Sì, l’uomo è, contrariamente ai luoghi comuni, un preteso antimacho. E quando un giornalista gli chiede se questo non è in disaccordo con la sua approvazione di indossare il burqa, risponde che rivaluterà la sua opinione su “quegli stracci” quando le pubblicità smetteranno di vestire le donne con lo spago per vendere aspirapolvere.

“Da guerriero rivoluzionario a letterato rivoluzionario”

Durante l’ennesima collaborazione con il suo complice e alter ego, miete altri dieci anni per occultamento di riscatto e possesso di armi, mentre finanziava i Tupamaros. È un movimento uruguaiano di estrema sinistra che da allora ha preso il potere con uomini come José Mujica . Di questo decennio nell’ombra approfittò per conseguire due lauree in filosofia e in psicologia, oltre a un dottorato in antropologia sociale. Materie di studio sempre al servizio della sua lotta politica. E poi, continua a lottare per l’accesso alla televisione, alla lettura e alla stampa, “perché con l’80% di recidività, le carceri non svolgono il loro ruolo di regolatore sociale, lo diceva Foucault prima di me, il carcere non è solo una privazione della libertà, ma è lo sradicamento dell’individuo”.

L’uomo che ha trascorso venticinque anni in carcere, di cui nove in QHS, ammette dunque di essere un cattivo padre e un cattivo marito: “Ma che fare? Sono sposato con la rivoluzione. Quando uscì di prigione, scambiò definitivamente il kalashnikov con le parole, e passò dal liceo all’università a parlare di economia marxista, libertà e reclusione. Quello del QHS, che “le parole sono miserabili da tradurre” e anche quello generato dall’ignoranza.

“Date la cultura al popolo e ne faranno le armi contro i tiranni”, ha detto, citando Michelet. Charlie brandiva kalashnikov, fucili d’assalto, giochi di ruolo, granate e altri esplosivi provenienti dall’est, ma cosa sarebbe successo senza cultura? Una bestia feroce? Un miserabile Scarface de l’Estaque? Un nemico pubblico numero 2? Eccolo uno di quegli uomini che infestano la memoria di chi li ha conosciuti. Perché la traiettoria di Charlie non solo ha qualcosa per addolcire il candido bisognoso di emozioni o il rivoluzionario rassegnato, ha soprattutto qualcosa per illustrare le parole di Victor Hugo: “Coloro che vivono sono coloro che combattono».

Molte delle osservazioni di Charlie Bauer finalmente riecheggiano ancora le nostre notizie. Il suo discorso sulla violenza legittima prima, in un momento in cui i dipendenti vengono condannati al carcere per aver manifestato contro il loro licenziamento. Ma anche il suo eterno ottimismo, maratoneta di speranza qual è. Contemplando la sua vita con l’occhio onnisciente del lettore, sembrerebbe che il mafioso abbia dedicato tutti i suoi gesti all’idea di una rivoluzione. Non vedrà quello che sogna, ma esaminando i paragrafi che dedica a sua moglie, al suo amico, al suo compagno, si scopre che Charlie Bauer non ha mai trascorso la sua parte di felicità tanto quanto tra le braccia di Renee. Logico, se ripensiamo alle parole di Ernesto Guevara: ” Il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore».

Guarda “Charlie Bauer – brigand militant”: https://www.dailymotion.com/video/x195hpw

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