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Le Banlieue in fiamme

27 ottobre 2005

Giovedì 27 ottobre 2005. La luce del sole si sta ritirando dalla banlieue nord di Parigi mentre un gruppo di ragazzi cammina per tornare a casa. Hanno passato una parte del pomeriggio a giocare a pallone nel parco Vincent Auriol – un socialista che si oppose a Pétain e, dopo aver preso parte alla Resistenza, fu presidente della Repubblica fino al 1954 – di Livry-Gargan, stesso dipartimento della Seine Saint Denis, la più grande banlieue parigina, nella periferia nord della città, quello di Clichy sous Bois. Sono stanchi dopo la partita e a seguire la via principale ci vuole molto tempo, meglio tagliare per i prati attraversando la zona dove c’è il cantiere di un edificio in costruzione.

Saltata la bassa rete metallica che sbarra la strada, il gruppo, formato da una decina di ragazzi «black-blanc-beur», come successivamente li definirà la stampa francese per mettere in evidenza la loro identità «mista», simile a quella della popolazione di buona parte delle periferie del paese, perde un po’ di tempo nell’area del cantiere. Troppo, evidentemente, visto che qualcuno che sta osservando la scena, forse pensando a un tentativo di furto, chiama la polizia. Sul posto non arrivano però gli agenti della Brigade Anti Criminalité, (Bac), che operano, spesso in borghese, in questa come in tutte le altre banlieues «calde» della regione di Parigi. Dalla volante scendono invece due poliziotti in divisa del commissariato di Livry-Gargan. Non capiscono bene quanta gente ci sia dentro al cantiere. Forse hanno paura, esattamente come i ragazzi che, dall’interno, cercano di trovare una via di fuga. Gli agenti chiamano rinforzi, arrivano altre tre volanti. Ora ci sono undici funzionari di polizia sul posto.

I giovani provano a scappare, ma sei di loro sono bloccati subito in un terreno abbandonato che costeggia il cantiere. Bouna Traoré, quindici anni, Zyed Benna e Muttin Altun, entrambi di diciassette anni, riescono invece ad eludere la stretta dei poliziotti e scappano attraverso un boschetto trasformato da tempo in una sorta di discarica. Dove finiscono gli alberi, però, trovano un muro. Un muro di più di tre metri che delimita il perimetro di una piccola centrale dell’Edf, l’azienda elettrica transalpina. Si arrampicano a fatica, ma ce la fanno. Una volta dentro cercano un posto dove nascondersi. Ma l’unico spazio riparato, dove gli agenti non possano scorgerli, è accanto a un grande trasformatore elettrico. I tre ragazzi vi si rifugiano senza capire il pericolo a cui vanno incontro. Alle 18 e 12 un corto circuito toglie la luce a tutta la zona di Clichy sous Bois. Zyed e Bouna muoiono sul colpo, uccisi dalla scarica elettrica, mentre Muttin, per quanto gravemente ustionato, riesce a salvarsi e a dare l’allarme.

MORTI INUTILMENTE

La notizia della morte dei due ragazzi fa subito il giro di Clichy, poi si diffonde in tutta la Seine Saint Denis, infine arriva nelle periferie di ogni parte del paese. «Sono morti perché inseguiti dalla polizia» dice il tam tam dei ragazzi delle cité. Muttin è di origine turca, mentre i genitori di Zved e Bouna sono arrivati in Francia rispettivamente dalla Tunisia e dal Mali. Forse sono ragazzi come questi, quelli ai quali due giorni prima, il ministro degli Interni Nicolas Sarkozy, in visita a Argenteuil, altra località della periferia parigina, si è riferito definendoli «racaille», feccia. Tanto basta perché le banlieues prendano fuoco.

Il segnale della rivolta arriva proprio da Clichy sous Bois, dove la polizia intervenendo contro i giovani del quartiere spara un lacrimogeno anche dentro la moschea, molto frequentata in quel momento per l’approssimarsi della festa che conclude il mese di ramadan. A Clichy, dove sabato 29 ottobre si svolgono i funerali dei due ragazzi uccisi, a cui partecipano moltissimi giovani del quartiere che indossano delle t-shirt su cui è stata stampata la frase «morti per niente», già nelle prime notti che seguono la tragedia si contano diverse centinaia di auto date alle fiamme. Sarà questo il modello seguito in tutte le periferie di Francia a partire dai giorni successivi: pochi gli scontri diretti con le forze dell’ordine, molte le auto, e talvolta gli edifici dati alle fiamme.

Da Clichy sous Bois gli émeutes (i «moti» come li chiamano i francesi) si allargano rapidamente all’intero dipartimento della Seine Saint Denis, poi a molte altre zone dell’Ile de France, la regione della capitale. Infine si estendono ad altre periferie urbane del paese, a cominciare da Rouen, Digione, Marsiglia, Lille, Tolosa e Strasburgo. Gli incendi di auto si moltiplicano giorno dopo giorno, come anche il lancio di oggetti e molotov contro la polizia. Nella sola notte tra il 6 e il 7 novembre si contano oltre 1400 veicoli bruciati e 395 persone arrestate. In tutto, dopo oltre due settimane di incendi e scontri notturni da un capo all’altro del paese, le macchine date alla fiamma saranno diverse migliaia, oltre 2500 le persone fermate, quasi quattrocento quelle arrestate. E un uomo di sessantuno anni, Jean lacques Le Chenadec, colpito da un giovane sconosciuto il 4 novembre mentre si recava al parcheggio vicino a casa a Stains, nella Seine Saint Denis, per verificare le condizioni della sua auto, è morto tre giorni dopo in ospedale senza aver più ripreso conoscenza.

Mentre l’incendio delle periferie si allarga, il governo si affretta a negare ogni responsabilità, diretta o indiretta, delle forze dell’ordine nella tragica fine di Bouna e Zyed. «Non c’è stato nessun inseguimento tra gli agenti e i ragazzi», dichiara già all’indomani della tragedia il ministro Sarkozy. E dal tribunale di Bobigny, dove è stata aperta un’inchiesta sui fatti, trapela una bizzarra indiscrezione secondo la quale i giovani «si sarebbero messi a correre per emulare altri del gruppo che già stavano correndo per gioco». Dal canto suo, l’avvocato dell’unico giovane sopravvissuto nel rifugio di fortuna della centralina dell’Elf, Muttin Altun, spiega che il suo assistito conferma che effettivamente un inseguimento da parte della polizia c’è stato e che lui stesso, girandosi due o tre volte mentre correva, ha scorto gli agenti che lo stavano rincorrendo. E uno dei ragazzi che quella sera furono fermati dalla polizia nell’area del cantiere abbandonato, ha descritto al settimanale Nouvel Observateur una scena simile: «Ero dietro a una macchina abbandonata per nascondermi dalla polizia, quando ho visto i miei tre amici correre inseguiti da un agente in borghese che stringeva in mano un flash-ball», una pistola speciale che spara proiettili di plastica grandi come palle da tennis.

Guarda “LA RIVOLTA DELLE BANLIEUE | La guerra delle seconde generazioni (con sottotitoli)“:

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